Oman, un Paese ancora in
cammino
di Giovanna Baldini
Il libro Corpi
celesti di Jokha Alharthi, Bompiani, 2022, è un romanzo sulla vita di oggi in
Oman, con frequenti incursioni nel passato. Abbraccia un arco di tempo che va
dalla fine dell’Ottocento, quando quel territorio della penisola arabica era un
grande mercato di schiavi, ai nostri giorni e ne descrive i mutamenti e le
modernizzazioni attraverso le vicende di una famiglia di ‘Awafi, piccolo paese
lontano dalla capitale.
Il titolo si spiega
perché le storie non scorrono in modo lineare, ma intrecciate tra passato e
presente, tra vivi e morti, nei ricordi di ‘Abdallah, uno dei personaggi
principali del romanzo.
Un flusso di coscienza, mentre ‘Abdallah, marito di
Mayya e padre di London, vola in aereo verso Francoforte.
Basterebbe pensare ai nomi dei protagonisti per
renderci conto del profondo cambiamento nella società omanita odierna.
La figlia di Mayya viene chiamata, per volontà della
madre, London, nello sconcerto totale della famiglia. Un nome che esce dalla
tradizione, che non è nemmeno un nome di persona, ma di città. Salima, la nonna
della piccola, rimane sbigottita e si oppone, ma la figlia è irremovibile: un
buon auspicio, un augurio. Pensa che sua figlia sarà diversa da lei, studierà
all’università, andrà a Londra.
Infatti, nel romanzo la troveremo medico, realizzata
nel lavoro, ma delusa e infelice nella vita privata, perché, per superare la
tradizione, la cultura secolare, i rapporti sociali fondati su quelle antiche
consuetudini, non basta portare un nome eccentrico, originale, straniero.
Il libro descrive bene, attraverso i componenti di una
famiglia omanita, allargata ai parenti più stretti e ad alcuni schiavi poi
liberati e rimasti nella Grande Casa, come persone di servizio, i rapporti di
potere dei maschi sulle donne, madri e figlie. È intorno agli anni Settanta,
infatti, che quella società comincia a cambiare e la figlia di Mayya, nata nel
1981, può chiamarsi London.
Un albero genealogico, inserito all’inizio del libro,
dà conto dei personaggi che, con capitoli a loro intitolati, diventano tutti
protagonisti dell’intera vicenda del romanzo. Inoltre, i rami della famiglia
mettono in luce i nomi delle donne, che partoriscono i figli attraverso un
matrimonio che mai è stato scelto dalla donna stessa.
Mi è sembrato molto interessante questo aspetto. La
continuazione della famiglia è nelle mani delle donne, che si devono sposare,
ma con un uomo che non conoscono e che naturalmente spesso non amano. Così la
vita va avanti nel presente come nel passato, che sembra immodificabile,
nonostante gli stimoli di novità che arrivano dal mondo esterno. L’Autrice, non
a caso, racconta due episodi che fanno pensare.
Khawla, una delle tre sorelle, la più bella, non
accetta l’imposizione di un matrimonio combinato, perché testardamente rimasta
fedele a un amore giovanile. Riuscirà alla fine a realizzare il suo sogno, ma
sarà un disastro.
London, sua nipote, di un’altra generazione, quindi
libera di scegliere il suo amore e il suo compagno, resta prigioniera della
mentalità retriva di un tempo che le toglie obbiettività di giudizio e le
procura infelicità.
Un bilancio realistico, lucido, impietoso sulla
società del piccolo sultanato arabo esce dalle pagine di Jhoka Ahlarthi,
giovane rappresentante di quella classe di intellettuali che, dopo avere
studiato in patria, si è trasferita all’estero per realizzare il cambiamento.
Il libro è bello e interessante, un sapiente intreccio
che tiene insieme una trama narrativa tra passato e presente, tradizione e
attualità, riti magici e superstizioni: un mondo non ancora del tutto
scomparso.
Jokha Alharthi, Corpi
celesti, trad. dall’arabo di Giacomo Longhi, ed: Bompiani, 2021, p. 258,
euro 18,00