28 febbraio 2023

“Cesare” di Rosetta Loy

 

 

  di Carla Rosco

      “Cesare” di Rosetta Loy è un libro dovuto: a Cesare Garboli per la sua generosa e importante avventura intelletuale ed umana, a noi lettori che conosciamo meglio la profonda relazione d’amore fra Rosetta e Cesare ed anche il grande rispetto verso il pensiero indipendente e creativo di un compagno di vita.

     Inizia così questo bellissimo e coraggioso omaggio: “Nel 1978, dopo l’omicidio di Aldo Moro che fra depistaggi e omissioni rimane ancora oggi un buco nero nella storia del nostro Paese, Cesare aveva deciso di lasciare Roma e l’ufficio che aveva alla Mondadori per trasferirsi a Vado di Camaiore ... Cesare aveva 49 anni, un lavoro sicuro e un bellissimo ufficio ... Ma quanto era successo il 9 maggio di quell’anno, oltre a sconvolgerlo perché picchiava giù duro sulle ultime speranze di poter vivere in un paese civile, gli aveva chiarito quello che per noi sarebbe rimasto ancora difficilmente decifrabile”. Garboli aveva scelto di dedicare tutta la sua energia ai valori di una cultura minacciata: un impegno che accompagna tutta la sua vita fino agli ultimi giorni, alle ultime ore, quando insieme a Carlo Cecchi lavora alla revisione dei commenti al XVIII canto del Purgatorio.

    


      La testimonianza della Loy si muove tra ampie citazioni degli scritti di Garboli (tantissime pagine fra libri, articoli, prefazioni, note, un immenso lavoro) e il racconto di momenti significativi della loro relazione sentimentale: “Brilla [la luna piena] nella canaletta d’acqua che costeggia i filari dei meli dai rami contorti, piantati forse al tempo della Grande Guerra: io mi appoggio a un tronco e Cesare mi tira su il bavero del giaccone per difendermi dal freddo. E se questa è una resa non ci sono parole che la raccontano ma solo il silenzio appena incrinato dallo scorrere dell’acqua”. Poco più avanti: “la notte dei meli si è distaccata dalle altre per diventare l’inizio del nuovo tempo. La sua magia ci accompagnava costellata da furori improvvisi: la gelosia insensata di Cesare, e la mia, silenziosa, sorda come il battere di un martello sul muro. Ma anche una felicità bruciante, un’esaltazione abnorme, spropositata”.

      “Cesare” è un libro denso e intenso che, appena finito, fa venire la voglia di ricominciarlo per la sua grande ricchezza.

     Scrive Garboli nel discorso tenuto presso la Facoltà di Architettura dell’Università degli Studi di Parma, in occasione dell’inizio dell’anno accademico 2001-2002: “Mi piace smontare i testi, rivoltarli, rigirarmeli tra le mani, sentire il loro polso che ancora batte, il loro fiato di organismi ancora vivi e carnali ... Ho detto più volte in passato di sentirmi più un lettore che un critico ... Non mi piace trasformare il mondo con le mie parole. Mi piace solo capire com’è fatto, e lasciarlo com’è, come l’ho incontrato”.

      Garboli è stato anche traduttore di Molière e a proposito del “Tartuffe” sostiene che la cultura italiana ha fatto di tutto per ignorarlo, mentre a lui sembrava che il testo di Molière restituisse una realtà mostruosa, mista di Seicento e Novecento. Tartuffe è un archetipo, il modello di chi insegue dei sogni di potere e usa per realizzarli le vie di comunicazione coperte e protette, le relazioni occulte e mafiose. “Avevo Tartufo a pochi metri da casa, abitava nel mio quartiere, si moltiplicava nella società in cui vivevo, si riproduceva nei politici e negli intellettuali che incontravo ogni giorno”.

      Molière resterà una presenza costante, e a dieci anni dalla morte sarà pubblicato da Adelphi “Tartufo”, a cura di Carlo Cecchi.

      L’attenzione al mondo politico e sociale è grande, continua: “E’ chiaro oggi, ma lo era anche allora, lo scopo di quel delitto [assassinio Moro]. Più chiaro ancora il movente: la paura suscitata dal sorprendente successo elettorale ottenuto dal PCI due anni prima, nel giugno 1976 ... Successo inaspettato quanto indigesto a tutte le forze politiche, in Italia e soprattutto fuori d’Italia”.

      E poi, come suole accadere, un problema serio di salute, una tregua abbastanza lunga, una ricaduta fino alla morte nel 2004 a 75 anni. In Santa Maria del Popolo al funerale chiesa stracolma e sono intervenuti a parlare in molti, amici e giovani scrittori. La sepoltura è a Viareggio in terra, accanto ai suoi genitori.

Il libro di Rosetta si chiude con un sonetto di Metastasio molto amato da Cesare:

Siam navi all’onde algenti,

lasciate in abbandono.

Impetuosi venti i nostri affetti sono,

ogni diletto è scoglio.

Tutta la vita è mar.

ROSETTA LOY. CESARE. EINAUDI

21 febbraio 2023

"Le nostre imperfezioni" di Luca Trapanese

 

di Giulietta Isola

” Inevitabili. Erano diventati inevitabili l’uno per l’altro, nonostante tutte le difficoltà, le differenze, le distanze, la malattia. Si cercavano, e c’era una tale ineluttabilità in questa unione da spingere ai margini della coscienza ogni possibile obiezione e timore. “

        Livio è un uomo dal cuore grande, sempre disponibile e disposto ad aiutare il prossimo, tanto da dedicare anima e corpo al volontariato anche in luoghi difficili. Ha deciso di compiere il cammino di Santiago insieme a due amiche per trovare, dentro di sé, quelle risposte che cerca, per fare chiarezza su ciò che vuole nel suo futuro. 

       Cammino, riflessioni, solitudine, incontri come quello con Pietro cambieranno i punti di vista. Pietro è un architetto, l’incontro avviene nella chiesa di San Nicola. Livio è affascinato dall’architettura e dalle sapienti descrizioni di Pietro, un uomo apparso per caso, vestito di tutto punto e dall’eloquio elegante. Il fatto che sia su sedia a rotelle non fa alcuna impressione a Livio. I due chiacchierano amabilmente, Livio è sorpreso , ma anche molto confuso, dalla grande naturalezza dell’approccio e da quel sentimento, quell’attrazione che sente nascere. Aveva intenzione di entrare in seminario al ritorno dal cammino di Santiago, è ancora la scelta giusta? Lo è mai stata? 

        Trapanese con delicatezza e naturalezza ci parla di Livio e probabilmente anche un po’ di sé. Mi è piaciuto molto come Livio viene presentato, di lui conosciamo il buon cuore ma anche tutte le umane fragilità e insicurezze, sa aiutare il prossimo ma, a volte, ha difficoltà a fare i conti con la disabilità altrui. 

       L’autore riesce a farci comprendere che la disabilità non necessita di pietismo, di corsie preferenziali, di occhi umidi ed anche Pietro ce lo fa capire chiaramente con il suo comportamento: fino a quando riesce a cavarsela da solo lo fa e in Livio non cerca un badante ma un compagno di vita. 

       Questo romanzo è forte e delicato allo stesso tempo, struggente e tenero, molto coinvolgente, mi ha fatto gioire e commuovere e Trapanese ha il dono di arrivare al cuore per ricordarci che la vita non è una favola , dispiaceri e felicità arrivano sempre da dove meno te l’aspetti, ci dimostra che le nostre imperfezioni possono , con il tempo e le esperienze della vita, aggiungere valore alla nostra persona. 

      Luca Trapanese da anni svolge attività di volontariato in Italia e nel mondo, ha fondato l’associazione A ruota libera e ha realizzato numerosi progetti legati alla disabilità, tra i quali la casa famiglia per bambini La Casa di Matteo, unica nel Sud Italia. Nel 2018 ha adottato Alba, una bambina con la sindrome di Down, questo è il suo primo romanzo che pone seri motivi di riflessione dedicato “A chi ho amato e mi ha amato. Perché l’amore, quello vero, non muore mai”.

LE NOSTRE IMPERFEZIONI di LUCA TRAPANESE SALANI EDITORE

17 febbraio 2023

"Tango" di Tananai


      Tananai ed il suo "Tango" tenero ed armato

di Silvia Chessa

      Finita la chermesse canora Sanremo 2023, specchio di costume, mode, mentalità che si evolvono, delle nuove tendenze musicali, e sempre spunto per chi cerca e sa cogliere spunti creativi, in un verso, nel passaggio di un monologo letto da una attrice, in un'armonia di suoni d'orchestra, o persino in un effetto scenografico, mi ritrovo, dopo averla seguita discontinuamente ma con sana curiosità, a pensare ad una fra le voci che mi hanno colpita. Ed è quella di Tananai. 

Titolo:'Tango'.Quinta classificata. 

     Un giovane d'altri tempi, controcorrente rispetto ai suoi coetanei e colleghi, non solo più giovani, i quali sembravano dediti a pose rap, rock o addirittura da disco, mangiando parole e trangugiando anche intere frasi .. Lui no, lui si poneva come un cantore classico. Pacato, confidente nel suo impegno canoro ma anche nel suo messaggio, che aveva prima vissuto, poi scritto ed infine espresso. 

    


     Meriterebbe, penso, un premio anche il video ufficiale della sua canzone, che è quasi un cortometraggio, girato dai protagonisti stessi, Lisa Olga e Maxim, con i loro cellulari, in Ucraina. Un mini film con una trama, traboccante di poesia amorosa e cruda verità di guerra.. 

     E trovo stupendo il modo di Tananai di calarsi, calzare ed interpretare il suo racconto (non solo cantare, perché non è solo voce, ma testa ed anima molto coinvolte). Peraltro un tema così delicato (l'amore ai tempi della guerra in Ucraina) .. con soavità e pathos. "Tango" è una storia cantata, direi quindi, che restituisce, finalmente, una identità, che qui si estrinseca nella tenerezza, ad un popolo armato ed in guerra (difensiva), e consegna ai soldati, tutti, un volto umano, romantico e sensibile, oltre che combattivo e forte. Che grande emozione! 

    Se anche Sanremo 2023 fosse servito solo a questo, ma non lo è (si sono affrontati, quest'anno tanti temi molto significativi e importanti per i giovani e per tutti: depressione, coi Modà, rinascita spirituale umana, grazie alla Oxa, emancipazione femminile dal vuoto interiore del post parto, Levante, violenza domestica generata da un padre tossico o assente, Grignani..), sentirei di dovere un grazie, per questo "Tango" dolce amaro, e per le sue qualità e l'attenzione alla guerra ed alle lontananze e sofferenze che produce, con sguardo profondo ed attento, ma non cinico, rassegnato o tragico. 

https://youtu.be/C7ckx1gbDH0

11 febbraio 2023

“La vita intima” di Niccolò Ammaniti

di Marigabri

       Questo è l’agrodolce racconto di come una donna bellissima e scema sia in grado di diventare forse meno bellissima ma di certo più sveglia.

      Come? Nel più classico dei modi attinenti al romanzo di formazione: affrontando le contingenze che mettono a nudo le sue più folli paure.

      Nella sua infinita scemenza infatti Maria Cristina può essere denominata di volta in volta Maria Cretina, Maria Tristina, Maria Pompina. Il che la dice lunga sulla considerazione che hanno di lei sia il grande pubblico sia chi l’ha conosciuta davvero. (Tra parentesi: solo uno la ama veramente, cioè la accetta così com’è, e si tratta ancora una volta del solito bestione brutto e infelice delle favole).

      Dunque il più classico e durevole degli stereotipi (donna bella e stupida) viene rielaborato da Ammaniti in forma di prodotto narrativo di ambigua collocazione: si tratta di una fiaba allegorica e, come tutte le fiabe, dotata di morale buonista? O è invece una satira sociale/politica/morale di un certo ambiente italiano? È un romanzo grottesco? Una sorta di exemplum contemporaneo, dove la verosimiglianza è irrilevante e che mira a produrre una sintesi didascalica del nostro confuso presente?

      Si potrebbe rispondere: è questo e niente di tutto questo. E a farlo diventare un prodotto narrativo indefinibile (azzardando pure il narratore onnisciente ottocentesco e raccontando nel poco accattivante tempo presente) bisogna dire che Ammaniti dimostra tutto il suo talento.

      Dopo una prima parte abbastanza soporifera, infatti, il racconto si anima e acquista un certo ritmo, solleticando la curiosità di chi legge a seguire le improbabili disavventure di questa riluttante star del sistema (essendo contemporaneamente la donna più bella del mondo e la moglie del Presidente del Consiglio), e di tutti gli improbabili personaggi che ne ravvivano il contorno sociale.

     Certo, di vita intima ce n’è ben poca.

    Tanta inconsapevolezza, tante (magari troppe?) ferite, eredità di un passato così tragico che avrebbe schiantato una creatura molto meno fragile della nostra eroina, e soprattutto paure, rabbie e desideri confusi che via via mostrano tutto il loro contenuto esplosivo. Manca la profondità, insomma.

     Bisogna dire però che, lasciando da parte tutte le aspettative che autore e titolo suggerirebbero, si può leggere questo romanzo con animo lieve e così facendo si corre pure il rischio di divertirsi.

Niccolò Ammaniti, La vita intima. Einaudi

05 febbraio 2023

"L’ultimo gioco di Banu"di Belgheis Soleymani



       Giochi proibiti in Iran

di Giovanna Baldini

         Una storia ambientata in Iran intorno agli anni Ottanta del secolo scorso, in un villaggio lontano dalla capitale Teheran, dove la vita segue ancora i ritmi della tradizione, nonostante la rivoluzione e i conseguenti cambiamenti radicali.

      Gol-Banu è la protagonista del romanzo. Un’adolescente che si affaccia alla vita e che ha grandi aspettative per il futuro: vuole frequentare la scuola, diventare insegnante e forse anche scrittrice. Intanto nella sua casa in silenzio si apparta e legge molto, come se dovesse mettere a frutto ogni attimo della giornata. Ma si rende subito conto che le pastoie della tradizione la tengono stretta e volare è difficile. Si accorge, infatti, che sua madre, vedova e con altri figli, ha scelto per lei un marito appartenente alla famiglia, un cugino, così come accade da sempre in Iran.

        Il futuro sposo è un giovane soldato dell’esercito rivoluzionario, che sarà mandato in guerra a difendere i confini del Paese. Al ritorno la sposerà. Si ripropone l’antico schema: la donna che aspetta un uomo che non ha scelto e che non ama. Ma la giovane non accetta più le imposizioni ataviche di un mondo che la rivoluzione del 1979 avrebbe dovuto abbattere insieme alla monarchia assoluta dello scià.

        E così Gol-Banu si mette in gioco e ricopre altri ruoli, diversi da quello a cui è destinata come donna. Si misura con gli altri, sperimenta autonomia e libertà; fa scelte personali ispirate a principi di uguaglianza. Rifiuta il matrimonio con il cugino e si allontana dalla casa e dalla madre; sposa un maestro da cui avrà un figlio, mentre continua a leggere, studiare, amare.

        Ma i giochi sono pericolosi e molto più grandi di lei.

       Il libro si sviluppa a più voci. Parlano in prima persona i personaggi che, in vario modo, entrano nella vita della giovane donna. E il lettore spesso rimane  spiazzato perché distolto dal seguire le orme, il percorso, i ragionamenti della protagonista. Un gioco di specchi in cui la realtà si frantuma, appare e scompare e chi legge a malapena tiene in mano il capo di un tenue filo narrativo.

        Nel romanzo si snodano storie di padri e figli, di politici e intellettuali delusi, di mogli abbandonate e ritrovate, di giovani madri separate dai figli. Si descrivono scelte difficili per amore o tornaconto e su tutto incombe il peso della tradizione.

     I giochi della vita continuano a intrecciarsi col passare del tempo, anche all’insaputa di chi li vive.

   


Il libro è uscito in Iran nel 2005 e ha avuto grande successo. Belgheis Soleymani è considerata la scritrice più interessante nel panorama culturale di quel Paese. La versione italiana è tradotta dal persiano da Faezeh Mardani, autrice anche di una documentata postfazione. L’ultimo gioco di Banu si avvale, poi, di un elenco dei personaggi principali e di un utile glossario.

 Belgheis Soleymani, L’ultimo gioco di Banu, Francesco Brioschi Editore, Milano 2022, pp. 245, euro18,00.