20 dicembre 2023

 




di Marigabri

“Bruciato da più fuochi. Bestia stanca,

uno staffile di fiamme mi colpisce le reni.

Ho ritrovato il senso vero delle metafore

dei poeti: mi sveglio ogni notte

nell’incendio del mio stesso sangue.”

       Marguerite Yourcenar scrive Fuochi a poco più di trent’anni come esternazione e omaggio a una vocazione passionale che ha perlustrato l’abisso: perché ogni amore non corrisposto si nutre di vertigine e rischia l’annientamento. Ma Yourcenar è una donna troppo forte per soccombere al suo stesso dolore. Ecco allora che lo trasforma in raffinata sintesi letteraria.

       Rivisitazioni di miti, evocazioni di personaggi che hanno nutrito l’immaginario narrativo di sempre (Antigone, Saffo, Clitennestra, Fedone, Maria Maddalena…) vengono rielaborati dalla penna geniale della scrittrice a testimonianza che l’amore assoluto è esperienza universale e e pressoché incomunicabile se non, appunto, attraverso il lirismo del mito e l’enigma del frammento poetico. 

      Lettura non facile ma molto affascinante.

Fuochi. Margherite Yourcenar. Bompiani

 


18 dicembre 2023

"Perché ci odiano" di Mona EltaHawy

 


di Giulietta Isola

«Alle ragazze del Medio Oriente e del Nord Africa: siate impudenti, ribelli, disobbedite, consapevoli di meritare la libertà».

       La lettura del libro di Mona Eltahawy, agghiacciante affresco sulla condizione delle donne in Medio Oriente ed in Nord Africa, offre uno sguardo diverso dagli stereotipi imperanti sulle donne musulmane ed un’occasione straordinaria per poter riflettere.

            A scrivere è una donna over quaranta, colta e intelligente, che ha seguito da vicino le primavere arabe e ha condiviso la delusione delle donne che speravano in un cambiamento che non è avvenuto. Mona è cresciuta a Londra , ma ha gli occhi ben aperti sul mix velenoso di misoginia e religione che sfocia nell’odio verso le donne e ne limita pesantemente la libertà. 

       In Egitto, come in Libia, in Tunisia, come in Marocco, in Arabia Saudita come in Kuwait, le mutilazioni genitali, i test della verginità, i matrimoni precoci, le molestie sessuali legittimate ed impunite , il divieto di guidare, di poter disporre di un patrimonio personale, di poter decidere senza il supporto di un maschio “tutore” dei propri spostamenti, sono lo specchio di una cultura fondamentalmente ostile alle donne, imposta dal disprezzo maschile. 

       Essere femmina significa essere l’incarnazione ambulante del peccato e l’odio per le donne non è esclusiva delle interpretazioni conservatrici del corano, anche i moderati sono ossessionati dal controllo del corpo delle donne che non deve essere mai mostrato, sostengono che le mutilazioni genitali sono indispensabili alla protezione dal loro stesso desiderio sessuale che è bene non imparino mai a conoscere, per quanto, di fatto, come nel resto del mondo, sono gli uomini incapaci di controllarsi e le molestie sessuali sono epidemiche. 

       Con grande coraggio e sincerità Mona, da femminista autentica, affronta non solo i temi delle molestie e della violenza, ma anche la spinosa questione del velo restituendo alla scelta di toglierlo o meno la sua complessità. L’atto di indossare il velo non è cosa semplice, alcune lo fanno per devozione religiosa, per essere identificate come musulmane, per dimostrazione di identità, per essere lasciate in pace, per scampare alle molestie, per disporre di maggiore libertà di movimento in uno spazio pubblico dominato dai maschi. C’è chi deve lottare per metterlo e chi è costretta a metterlo, non è sempre simbolo di fede, e non sempre rappresenta il contrasto con il mondo occidentale complice silenzioso delle violazione dei diritti delle donne per tutelare i propri interessi economici in Medio Oriente. 

       In un momento di forte richiesta collettiva di libertà e dignità è importante parlare della condizione delle donne che hanno fortemente contribuito alla rivoluzione, hanno pagato con il carcere, le torture e gli stupri ma nonostante ciò sono rimaste ben nascoste ed invisibili. Nella lotta contro l’ingiustizia per uscire dal buio, è importante sentire la loro verità , conoscere le loro esistenze reali, gli abusi subiti, ma anche gli spazi conquistati. 

         Lettura molto interessante e piena di speranza per la lotta di tutte le donne che si battono contro le loro culture e contro le loro comunità e che riescono a condividere la loro azione e le loro parole in pubblico. 

«La cosa più sovversiva che una donna possa fare è parlare della propria vita come se avesse una grande importanza. Ce l’ha».

PERCHE’ CI ODIANO di MONA ELTAHAWY EINAUDI EDIZIONI

 

13 dicembre 2023

"Lele Panigada: ti ricordo maestro di vita e di musica" di Eugenio Baronti

 

       


     Lele se n'è andato. Una notizia che in tanti ce l'aspettavamo, da un momento all'altro, ma che ci fa soffrire lo stesso.

Chi non conosceva Lele? E’ sempre stato, fin da ragazzino, a trafficare con microfoni, strumenti musicali, mixer, casse, ad allestire palchi per eventi, a fare concerti sempre rigorosamente liberi e gratuiti, ora per una causa, ora per un’altra, sempre cause nobili e giuste, sempre disponibile. 

    Ti ricordo animatore e maestro di vita e di musica di tanti giovani nella sala prove del Comune di Capannori, a fianco, a sostegno e supporto dei più fragili, ad allietarci con la tua chitarra in tante feste e cene di sottoscrizione, era impossibile non volerti bene, sei stato un ragazzo ed un uomo buono e generoso. 

    Fai buon viaggio Lele, hai speso bene il tempo che ti è stato concesso su questa terra, lasci in tanti di noi, un piacevole ricordo della tua generosità e di una umanità che oggi lentamente sembra soccombere seppellita da un mare di indifferenza, egoismo e disumanità crescente. Fai buon viaggio e che la terra ti sia lieve.

04 dicembre 2023

"Antonio Riva c'est moi" di Giovanna Baldini

 


Cento domeniche
e…

       Succede sempre più spesso che le banche, tutte, nessuna esclusa, fuori da ogni trasparenza, fuori da ogni controllo, manovrino i soldi degli altri con disinvolta leggerezza colpevole.

    Una modalità, questa, molto diffusa, come ha ben raccontato nel suo recente film l’attore-regista Antonio Albanese “Cento domeniche”. Il protagonista, Antonio Riva, operaio in pensione di una ditta della provincia lombarda, vede andare in fumo l’intero suo “tesoretto”, frutto di una vita di onesto lavoro e finalizzato alle spese per il matrimonio della figlia. L’aveva tradito l’istituto bancario del suo territorio, quello con cui era cresciuto assieme, di cui si fidavano suo padre e la sua famiglia.

     Una presenza finanziaria, al tempo stesso, solida e confortante.

  Invece, approfittando dell’ingenuità e della scarsa competenza dei correntisti, degli azionisti, dei soci, gli istituti bancari, purtroppo anche quelli territoriali, agiscono spesso, non tutti, ma certo molti, al limite della truffa. Occultandosi dietro parole di rassicurazione, essi piegano ai loro interessi i quattrini loro affidati, il più delle volte frutto di una vita di lavoro, lasciando nella disperazione e nello sconforto migliaia di risparmiatori.

    Nel film di Albanese il protagonista si suicida; invece, nella vita di tutti i giorni, la mia diretta esperienza di vita mi dice che decine, forse centinaia, di famiglie, finiscono per provare un profondo sentimento di vergogna per essere state ingannate, turlupinate, accettando tacitamente di non rivalersi nei confronti delle banche.

    Queste, per di più, forti di appoggi nella politica locale e in quella nazionale, approfittando di una legislazione inadeguata e incoerente e di un silenzioso patto di non aggressione, stabilito da tempi immemorabili con la magistratura, le banche, dico, operano in un regime di sostanziale impunità. Fanno il bello e il cattivo tempo sulla pelle di correntisti, risparmiatori, azionisti, soci… Pronte solo a raccogliere fondi e mai, dico mai, a erogarne, anche di fronte a proposte fededegne e finanziariamente sicure. E dieci, cento, mille Antonio Riva, l’umanissimo, battagliero e sfortunato protagonista del film di Antonio Albanese!

      Io sono una di loro. Persona perbene che ha affidato i risparmi di una vita alla banca del territorio, una di quelle banche che, come recita la pubblicità, “vanno incontro alla gente” e che, poi, ne tradiscono la fiducia con la prepotenza di chi ha il potere di non rispondere mai dei propri atti.

      Non ci sono ricorsi, non ci sono tribunali… Intanto i miei soldi se li tiene la banca: un atto di ingiustizia, di arroganza, che toglie dignità a chi la subisce e relega nella solitudine e nell’indigenza.

     E pensare che quei soldi sono miei e la banca me li ha presi! E non esistono modi per farseli restituire.

Che dire? Antonio Riva c’est moi!

 


02 dicembre 2023

"I tre di Scanno" di Renzo Tortelli

 


di Gianni Quilici

       Mi colpisce. Mi ha fatto pensare a un fermo immagine felice.  Come se fosse una ripresa video, dove il regista grida “stop”, nell’attimo  in cui i tre protagonisti sono colti ognuno separato dall’altro, spazialmente ordinati. Così si evince dalla foto: la donna a sinistra, il prete a destra e il cane al centro della foto sullo sfondo; importante, perché equilibra lo scatto, senza affollarlo.

        Siamo alla fine degli anni ’50 e Renzo Tortelli, insieme al suo amico e coetaneo Mario Giacomelli, si trova a Scanno, paese dell’Abruzzo, che diventerà famoso fotograficamente, innanzitutto per gli scatti di Mario Giacomelli, a cui seguiranno Cartier-Bresson,  Berengo Gardin,  Fernando Scianna, Fulvio Roiter,  Mario Cresi,  Pepi Merisio e altri.

        Nello scatto la donna, abbastanza giovane, è colta come se sognasse intensamente , il volto leggermente sollevato con occhi chiusi. Ciò che colpisce è l’abbigliamento: il vestito lungo e largo nero, le scarpe-ciabatte nere, i calzettoni neri, il copricapo nero. Soltanto il volto e il collo sono scoperti.

        Interessante è il prete. Se, infatti, da una parte è partecipe alle regole sacerdozie di allora con la tonaca nera lunga, le mani in tasca; dall’altro presenta  sul volto dei  grandi occhiali da sole neri, un elegante cappello a tesa larga nero, che lo fanno sembrare più un turista americano che un prete per giunta del Sud.

        Tra la donna e il prete, sullo sfondo il cane è una figurina smunta nera sul biancore del pavé, con una coda piccola e arricciata.

       Mi ha colpito che Renzo Tortelli in un libro “Obiettivo Scanno” di Renzo Frontoni non venga neppure citato, perché questo scatto (ma anche altri presenti nel suo sito) è essenziale, armonico nelle forme con una qualità espressiva, che valorizza lo spessore storico-sociale.