30 maggio 2012

"Majakovskij" di Pablo Echaurren





di Mimmo Mastrangelo

Che Pablo Echaurren crei e realizzi da una vita, dipinti, illustrazioni, fumetti  di una preziosità sconfinata  è risaputo, per cui  non può più di tanto destare sorpresa  se  un suo grafich novel (uno dei primi usciti in Italia)  passi ad essere un prodotto cult e venga ristampato dopo un quarto di secolo. 

Il romanzo a fumetto in questione è “Majakovskij” e viene  riproposto dalla Gallucci, la casa editrice con cui l’artista romano ha  già pubblicato “Contro storia dell’arte” e “Caffeina Europa vita di Martinetti”. Tutte le correnti del  futurismo  sono un vecchio amore di Echaurren (che conserva una delle collezioni più ricche di libri futuristi), dunque da parte sua  è stato  quasi un obbligo aver voluto dedicare una storia illustrata ad una delle più grandi voci avanguardiste ed irrequiete della poesia mondiale,  apparse con repentina  furia sul palcoscenico dei primi del  novecento. 

Come scrive in prefazione il giornalista  Vincenzo Mollica  più che una rilettura della vita del poeta russo “Echaurren ci propone frammenti filtrati dal suo magico caleidoscopio dove tutto è possibile”. 

Insomma, delle pasticche sulla vita (e la poesia) di Vladimir Majakovskij (1893 – 1930)  vengono ricomposte dentro un itinerario  di strisce  coloratissime nelle illustrazioni e scomposte (e sovrapposte) nelle geometrie. 
Echaurren filtra la parabola esistenziale del poeta  attraverso  i suoi versi, i quali prenderanno  ad incendiarsi già in età giovanissima. Majakovskij  sarà il numero uno della schiera dei cantori russi disarmonici, sarà il suo un urlo possente, audace al fine di  redimere la poesia dalle pagine dei  libri  e riversarla nelle piazze che dovranno divenire le nuove biblioteche degli uomini. 

Per il poeta georgiano è nelle strade che la poesia e il processo di trasformazione  dovranno saldarsi in unico strumento rivoluzionario di pace e non di violenza. La bellezza e lo scandalo che sgorgheranno a fiumi dai versi, inoltre,  dovranno indignare e lasciare  “brulicare” tra il popolo nuove idee di libertà . 

Echaurren  è puntuale nel tenere  su unico binario poesia e pezzi della vita come la parentesi di quell’amore lacerante  per Lili Jur’evna ai cui verrà dedicato  “La nuvola in calzoni”, poema capolavoro editato dallo stesso marito di lei Osip Brik. Nel fumetto  corre troppo velocemente l’esistenza del bolscevico rivoluzionario che  lascerà la Russia per andare  in giro per il mondo dove terrà  (come se fosse una star ) conferenze e letture acclamate.

 Ma al ritorno in Patria non troverà più i compagni di cordata come lui  insofferenti ad ogni “irregimentazione” (Esenin, Chlebnikov sono morti  suicidi), il futurismo comunista sarà scavalcato da una sorta di burocrazia letteraria in capo alle istituzioni e il cuore del poeta non potrà che andare a schiantarsi nel muro delle macerie e delle disillusioni (“sempre meno si ama/sempre meno si ardisce/il tempo devasta la mia fronte di gran corsa..). 

I frenatori degli entusiasmi poetici  accelereranno così la caduta e il 10 aprile del 1930  Majakovskij con un colpo di rivoltella metterà la parola fine al cammino della sua rivoluzione di pace e trasformazione. 

                                          
 Pablo Echaurren. “Majakovskij". Gallucci Editore. Pag. 52, euro 14.90








23 maggio 2012

"Intervista a Andrea Talevi"di Mira Giromini


A Collodi vive e lavora un artista-alchimista, Andrea Talevi, pittore d’origine romana ma toscano d’adozione. L’incontro con lui si è svolto in una giornata di pioggia, di fronte al torrente pieno d’acqua che lui ama particolarmente quando è in piena proprio perché ne vede l’esplosiva energia della natura e della vita. 

Poco più avanti del parco di Pinocchio, presso alcune fabbriche della carta ormai dismesse è allestito il suo atelier che svolge anche il ruolo di laboratorio: pulito e preciso, conserva le sue ultime opere tra cui Bianco Nucleare. La sua sensibilità è tale che afferma “L’artista ha un bisogno spirituale di confrontarsi con gli altri. Un artista non può dipingere per se stesso, un artista dipinge per l’umanità” così è in Bianco Nucleare dove l’attenzione della relazione tra l’uomo e la natura obbliga la coscienza a riflettere sulle conseguenze della scelta dell’energia nucleare e i disastri che ne seguono. 
 
Il procedimento tecnico di Talevi assomiglia a quello di un’orefice; prima di iniziare a dipingere e preparare la tavola di legno o la tela che poi tingerà con intensi colori; lavora il metallo, il rame e piombo: lo incide, lo cesella e lo batte fino a dargli la forma desiderata. In questa ricerca ha trovato e creato una siluette o figura ancestrale, l’archetipo dell’uomo o della donna, l’individualità stessa di ognuno di noi, che viene riproposta in molteplici varianti e contesti. Componente dell’arte di Talevi è il fatto che riesce a far diventare il metallo, il rame e il piombo, che è un materiale freddo, in un materiale caldo e come un demiurgo ne soffia, dentro l’anima che pur cambiando forma conserva sempre la sua essenza: la luce.

Osservando e sue opere, egli si propone principalmente il compito di far riflettere sui grandi temi dell’uomo che spaziano dalla vita alla morte, dal bene al male, che come dice lui fanno parte dell’uomo e non possono essere disgiunti (Eden). Grandi tematiche in composizioni pittoriche armoniose ed eleganti, la sua pittura di “luce metallica” unisce insieme la sapienza e le conoscenze dello scultore con quelle del pittore, inserisce ritagli metallici su una tavolozza di colori puliti e puri.

Ogni singolo quadro è un opera a se stante, unico, la base tecnica permette di individuare quel artista, in quella particolare ricerca di linguaggio ma Talevi ha la capacità ogni volta di rinnovarsi, cerca all’interno del suo bagaglio culturale, fatto di stratificazioni intellettuali ed emotive un tema sempre nuovo e diverso da proporre; non ha concetti precostituiti la sua prerogativa è “l’unicità nella varietà”.

Molte sono le domande e i temi che sono emersi durante l’intervista ma di lui affiora soprattutto la sensibilità a riflettere sulle grandi civiltà che ci hanno preceduto in parallelo all’attenzione verso l’arte contemporanea.

Cosa pensa dell’artista di oggi?
L’artista è sempre inserito nel suo tempo, nel contesto in cui vive; non è un uomo che sta al di fuori della realtà, rinchiuso in una torre d’avorio. Sembra che nel mondo di oggi la gente normale è diventata quella strana mentre l’artista è il normale; paradossalmente l’eccezionalità sta nel vivere in modo normale. L’artista ha più tempo per riflettere, è più calmo e più tranquillo. E’ difficile trovare l’artista maledetto; i tempi sono cambiati.

Cosa pensa dell’arte contemporanea?
Negli ultimi tempi sto facendo un appello: non accetto che ci siano professionisti con un loro lavoro che “fanno arte” mescolandosi con gli artisti professionisti; creando una gran confusione. Per hobby o per terapia ha un senso fare arte ma fare mostre e esibirsi in gallerie è una pretesa che crea solo confusione. Si mescolano i livelli. L’arte contemporanea è intrisa di confusione, è in crisi d'identità; in certi casi sembra un alibi dire “quello lo potevo fare anch’io”; bisogna spiegare che gli artisti che hanno dedicato una vita intera all’arte e al lavoro attraverso l’arte nei suoi alti e bassi; hanno investito la loro crescita individuale e professionale, hanno tirato fuori la loro anima, al di là del talento che hanno oppure no. L’arte non la si può imparare, ti appartiene.
L’arte non deve essere copiabile; si può osservare che l’accostamento insieme di colori e materiali che di per sé sono freddi creano un’armonia e un equilibrio che riesce a raggiungere il cuore di chi lo osserva. Il fatto che sia copiabile, che qualcuno lo possa ripetere vuol dire che hai comunicato solo un’idea ma è l’arte non è solo un’idea, l’arte è anima. Di fronte al quadro è bene chiedersi che cosa ci comunica, deve entrarci dentro come un libro. Bisogna distinguere l’artista, il talento e l’artista occasionale è una distinzione essenziale se si vuol comprendere l’arte contemporanea e fare chiarezza nella confusione.

Quali sono i temi a cui si ispira, quale la filosofia più vicina al suo modo di condurre la vita?
Non c’è futuro senza passato, non c’è una forma artistica che nasce da zero, esiste un bagaglio culturale e umano di millenni di storia. Anche se non pensi a qualcosa di particolare l’inconscio porta a fare qualcosa che ha un origine ben precisa e storicamente rintracciabile. Se poi c’è il talento, questo esce ed emerge con più forza. Certe civiltà antiche mi sono sempre piaciute, fanno parte della vita; non ho l’ossessione della ricerca spirituale ma mi piace scoprire quello che ho intorno, osservo la cultura Etrusca e Romana e quella Egiziana che ha qualcosa che va oltre l’uomo: la ricerca dell’al di là, la vita extraterrena, il fatto che per essere degni del paradiso bisognava avere il cuore più leggero della piuma. Ho l’idea che la storia dell’umanità non è vera così come la conosciamo, deve essere più complessa da come ci dicono gli storici. Mi piace la civiltà greca, la mitologia, il mito di Demetra, i viaggi di Ulisse che sono i viaggi dell’io e i viaggi dell’uomo contemporaneo. Il pensiero occidentale è nato sulla civiltà greca. Un esempio è Soffio di luce, la composizione non è piena e la necessita di un equilibrio tra le parti ne ha fatto un quadro delicato. Non c’è niente che nasce da niente, la E, simbolo dell’alito divino per gli ebrei sembra abbia origine dalla civiltà egizia, quando per un breve periodo con il faraone Akenaton adoravano un dio unico, il dio del sole. Le grandi civiltà diventano un pretesto per creare qualcosa che hai dentro e tirare fuori un’armonia di colori che tocca l’Universale.

15 maggio 2012

"Rina, Rebecca e le altre" di Autori Vari


Combattive tra due secoli
di Luciano Luciani

Gli ultimi decenni dell’Ottocento italiano e il primo quindicennio  del secolo nuovo si connotano per il progressivo infittirsi di autorevoli voci di donne e inedite esperienze femminili.
Rare dapprima, poi sempre più numerose, scienziate e giornaliste, educatrici e filantrope affermano con forza la consapevolezza del proprio ruolo all’interno della vita nazionale e partecipano alla sua modernizzazione con idee innovative e pratiche originali, sempre tali, comunque, da lasciare tracce profonde nella vita intellettuale e nel costume dell’epoca. 
Come fece la psicologa dell’infanzia Paola Lombroso Carrara, figlia dell’antropologo Cesare o sua sorella Gina, combattiva giornalista in favore dell’’emancipazione delle donne. 
Tra le scienziate si segnalano Giuseppina Cattani, batteriologa di fama vicina alle ragioni del movimento dei lavoratori, mentre rilievo europeo conseguì Rina Monti Stella che inaugurò una nuova branca del sapere naturalistico, la limnologia, ovvero lo studio della distribuzione dei laghi sul pianeta, importante per una corretta gestione dell’ambiente lacustre e lo sviluppo economico di quelle aree. 
E ancora Anna Foà, a cui si debbono decisivi progressi nel campo della ricerca sul vaiolo e sulla fillossera; Emma Modena, medico igienista dalla parte delle donne e dei bambini, impegnata nella lotta contro i tumori femminili; Eva Mameli Calvino, finora conosciuta solo come madre del romanziere Italo, studiosa della genetica e delle malattie delle piante, della coltivazione e ibridazione dei fiori, della salvaguardia degli uccelli utili all’agricoltura e delle ricadute economiche sulla floricoltura.

Fittissima, poi, la schiera delle educatrici: Rebecca Berettini Calderini, a cui si debbono innumerevoli iniziative che seminarono lungo la penisola scuole professionali femminili, scuole per adulti e piccole industrie nelle campagne; Antonietta Giacomelli, cattolica-modernista e fondatrice dello scautismo femminile in Italia; Alessandrina Ravizza, che nel difficile ambiente urbano della Milano post-risorgimentale, si mosse con generosità per oltre quarant’anni tra filantropia ottocentesca e una moderna legislazione sociale anticipatrice del moderno welfare…
Un libro ricco di informazioni, utile, storicamente supportato che ripropone al Lettore figure di protagoniste della vita culturale italiana che, ora in collaborazione, quasi mai pacifica con le istituzioni, ora schierate all’opposizione, vissero con pienezza la cultura del positivismo e la sua crisi. Il rifiuto della razionalità scientifica e dei suoi miti in nome di forme di conoscenza più intuitive e soggettive non impedì, comunque, a molte di loro di contribuire in maniera decisiva ai mutamenti di mentalità in atto nel nostro Paese e alla creazione di molteplici e feconde intersezioni tra attività e competenze, abilità e saperi.


Autori Vari, Rina, Rebecca e le altre, Voci femminili nell’Italia unita Edizioni ETS, collana Finestre/1, I libri di Naturalmente Scienza, Pisa, 2012, pp. 235, Euro 19,00