30 maggio 2021

"Le ricamatrici" di Ester Rizzo

 

di Rosanna Valentina Lo Bello

 

               “Il 5 Novembre 1977 a Santa Caterina Villarmosa stava per nascere “La rosa rossa” una cooperativa di ricamatrici che coraggiosamente si erano opposte allo sfruttamento del loro lavoro.”

        Con questa dedica l’autrice Ester Rizzo apre il suo romanzo “Le ricamatrici” basato su una storia vera della Sicilia degli anni 70. Utilizza la tecnica del docu-fiction ricostruendo minuziosamente la storia su documenti e testimonianze reali.

(Ne parlarono anche i quotidiani L’Ora, L’Unità, Il giornale di Sicilia).

       Filippa Pantano (1910/1989) è la grande protagonista: è una donna coraggiosa e combattente di origine contadina con spiccata sensibilità e intelligenza. Sposata e con due figlie combattenti come lei. Aveva la sesta classe e amava leggere Anna Karenina nei suoi momenti di riposo.

       E’ un libro in movimento sin dalla prima pagina con il “passo” di Filippa logorata dal subire atteggiamenti intimidatori e mafiosi e in movimento anche per i salti temporali: ripercorre la sua infanzia, l’emigrazione in Germania, i momenti in cui la nipotina Graziella insiste per sapere la sua storia. Sarà proprio quest’ultima che dal racconto di sua nonna scriverà il libro da adulta a Torino.

        “Vedi, Graziellina, quando tu ancora eri in fasce, negli anni 60, in Italia ci fu quello che si definì il boom economico. Ma questo boom a Santa Caterina non arrivò mai. Anche qui Cristo si era fermato alle porte del paese.”

        Filippa e le sue figlie erano abili ricamatrici e questa abilità del ricamo a Villarmosa veniva tramandata da madre a figlia e riconosciuta come un vero dono.

        Nel 1971 rientrando dalla Germania a Santa Caterina di Villarmosa (circa 10.000 abitanti) non volle sottomettersi allo sfruttamento del mercato verso il lavoro singolo; così nel 1973 con un gruppo di donne lavoratrici fonda la lega delle ricamatrici (875 iscritte) con il sostegno di Udi, Pci, Cgil.

        Da qui nascono minacce e metodi mafiosi che anziché impaurirla la portano insieme a 90 ricamatrici a denunciare intermediari e committenti. Ne consegue un processo che vinsero. Ovviamente per questa vittoria la situazione peggiora ulteriormente a livello di minacce e maldicenze ma, Filippa non si arrende e, nel 1977, crea la cooperativa “La rosa rossa”. Riceve ordinativi da nobildonne, arredi per le chiese e, addirittura, nel 1979 la famosa ditta Frette ordina dei capi in prova per poi valutarne un’eventuale continua collaborazione. L’attesa è lunghissima, la risposta è negativa e così con il coraggio e la determinazione che la contraddistingue, prende il treno e va a Milano dove ha sede la ditta Frette. Trova un vero e proprio disastro: il materiale che aveva inviato era completamente rovinato, sgualcito e strappato. L’azienda paga ugualmente il ricevuto ma pone fine ad ogni tipo di rapporto e vuole liberarsi della sua non gradita presenza. L’imminente e quasi certa realizzazione di un sogno era crollata definitivamente. Dopo qualche anno la cooperativa si scioglie anche a causa del fiorire del mercato cinese e Filippa decide di dedicarsi alla famiglia e all’orto.

          Questo racconto nel racconto tramite Graziella ci offre un piglio delicatamente sobrio se pur incisivo. In fin dei conti Filippa non ha perso se consideriamo il valore simbolico e dirompente di questa storia. Ho trovato la scrittura di Ester Rizzo particolarmente fluente e limpida con il buon sapore di alcune parole e frasi in dialetto siciliano che hanno reso lo “scritto” in immediato “parlato”. Il linguaggio lineare, se pur minuzioso in ogni dettaglio non stanca, anzi, incuriosisce e rilassa.

        Se dovessi pensare a una situazione concettuale collegata alla fine della lettura di questo romanzo penserei al concetto di ESPANSIONE. Si, questo è un libro ESPANSIVO in tutti i sensi immaginabili. Un concentrato di 97 pagine che si dilata, si amplia, si diffonde, si estende nella mente di chi lo legge creando quadri, poesia, musica, odori, colori, profumi. Tra i quadri mi ha colpito particolarmente quello all’inizio sul rientro a casa di Filippa: ”..ripose con cura lo scialle nero che l’avvolgeva sull’antica cassapanca dell’ingresso. Si guardò fugacemente allo specchio, si sistemò con delle forcine i capelli quasi bianchi e si diresse in cucina per mettere sul fuoco il bollitore... bevendo a piccoli sorsi il suo tè bollente iniziò ad andare a ritroso sulla sua esistenza.”

        Ho sentito poesia e musica nell’aria mentre queste donne ricamano e, tra un punto ombra e un punto rodi, parlano anche di lotte e conquiste femminili con la stessa passione verso il gesto dell’ago e filo.

       Un libro che si offre generosamente e quasi con candore al lettore attento a tutte le sfumature e che sa soffermarsi.

       Il 5 Novembre del 2017 Graziella finisce di scrivere la storia di sua nonna e le ricamatrici.

       Si raggomitola in poltrona e sente l’odore dei dolci di sua nonna, la percepisce e si addormenta teneramente.

      “Una storia siciliana, molto siciliana, ma di una Sicilia non rassegnata, non supina, ma di tenace concetto.” (dalla ben mirata prefazione di Gaetano Savatteri).

Ester Rizzo. Le ricamatrici. Navarra editore.

 

26 maggio 2021

“Antonio Tregnaghi, in arte Gnago: un creatore adorabile” di Gianni Quilici

 

 


         

           Nella notte tra il 29 e il 30 maggio 2020 Antonio ci lasciò. Era, invece, il 1983, quando conobbi Antonio Tregnaghi, in arte Gnago, come grafico e vignettista di Paesaperto, un periodico realizzato, in quegli anni, tra Lucca e la Piana.  E lo percepii immediatamente come compagno nel senso profondo della parola: un amico con un orizzonte politico e culturale comune.

          Con un elemento in più rispetto ad altri: Gnago era un creativo. Se, infatti, dovessi usare soltanto due parole  fortemente intrecciate per sintetizzare la sua figura di artista scriverei  un “poeta” e “luminoso”. La sua poesia la esprimeva attraverso una matita che coglieva la tenerezza con una sottile ironia. Non si ride alle sue vignette, si sorride e si sorride con il cuore.

 

           E questo suo talento a Antonio Tregnaghi, in arte Gnago, è stato riconosciuto e apprezzato nella sua attività professionale, oltre la cerchia delle Mura lucchesi . Un’attività che ha avuto come focus il disegno, con diverse ramificazioni creative: dall’editoria scolastica a quella narrativa , dal fumetto alla grafica pubblicitaria. Un patrimonio estetico e culturale importante e aperto, che è stato raccolto , e per ora, soltanto in parte, nel suo sito, da implementare con tutto ciò che si può ritrovare ancora.    
E tuttavia questo suo essere artista poeta era anche il tratto peculiare della sua personalità, del suo stesso esistere quotidiano: limpido e generoso, pensoso e divertente, combattivo e elastico sia intellettualmente che fisicamente.

       


           

           Me lo ricordo in una serata organizzata dal periodico Luna Nuova, di cui era grafico e collaboratore.

. Luna nuova è stato per 6 anni (1994-2000) un quindicinale  poi mensile, politico e culturale, che partendo dal territorio lucchese ragionava, discuteva, si allargava ai problemi del Pianeta stesso, promosso dalle sensibilità più inquiete ed aperte del nostro territorio, ricordo tra i più attivi Eugenio Baronti, Marinella Lazzarini, Luciano Luciani, Virginio Bertini, Maila Grazzini, Aldo Zanchetta.

          Ecco di quella sera mi rimane il ricordo indelebile di Gnago scatenato, che ballava con una bella ragazza, Anna Maria Pedone, che da lì a poco sarebbe diventata sua moglie. Mi colpì tanto che lo fotografai più volte, perché nel suo corpo e nei suoi occhi c’era quella luce di vivere, che ho sempre percepito in lui.