25 gennaio 2021

“Canta il merlo sul frumento” di Lidia Menapace

 

di Gianni Quilici

Questo libro autobiografico, uscito nel 2016, è percorso da una linea profonda: la  libertà. La libertà di Lidia Menapace di essere radicale secondo i suoi valori, andando contro ruoli prestigiosi e le convenienze del tranquillo vivere. Di dire no, quando non è d’accordo, costi quello che costi. E la sua vita  pubblica spesso è stata rifiutare ( ciò in cui non crede)  e, ancora di più, accogliere (ciò a cui crede).

Il rifiuto di essere istintivamente già da adolescente subalterna all’uomo e l’amore come rapporto egualitario e in libertà che, nella sua storia matrimoniale, durerà tutta la sua vita. Il rifiuto di dover essere mantenuta dagli altri e la scelta di   iniziare a lavorare fin da giovanissima. Il rifiuto della violenza e la percezione dell’antifascismo che intravede già in piccoli episodi dell’infanzia e della adolescenza fino alla scelta a 20 anni di sostenere la Resistenza. Il rifiuto della politica democristiana nel momento in cui capisce che questa è in contrasto con i suoi valori e la scelta di vivere fino in fondo ciò che sarà il ‘68.

Con il ’68 iniziano le avventure, per così dire, di Lidia Menapace. Le avventure nel Manifesto e nel PdUP, nel femminismo, nel pacifismo, nell’ANPI; le esperienze di consigliera comunale nella Roma di Petroselli;  di senatrice di Rifondazione Comunista, con la bocciatura clamorosa come candidata a Presidente della commissione difesa per avere asserito la sua contrarietà alle Frecce tricolori “inutilmente costose e inquinanti”.

Una donna e compagna, studiosa e militante, infaticabile e generosa, radicale e aperta, femminista e pacifista, sempre in giro là dove c’è bisogno di lei. Lei, colta e meticolosa, in questo libro si abbandona a  scatti di ilarità e provocatrici.  Si legga l’ultima parte e in particolare “Il Club delle Vecchiacce”, invettiva ironica   contro il paternalismo inconsapevolmente feroce di qualsiasi giovanotto “sotto i settant’anni”, che ha il coraggio di apostrofare lei e la sua amica, compagna di tante lotte, Mila Spini, “nonnina, vecchietta, vecchina”,   mentre invece  “magari sarebbe meglio  abolire la guerra o almeno ridurre le spese militari a vantaggio  di un bel servizio di medicina preventiva, di città accoglienti a pro degli anziani in solitudine, di una città solidale dove vecchi e vecchie possano, se vogliono, agire, aiutare a conservare e trasmettere la memoria storica recente, raccontando anche fiabe  ” ecc, ecc.

 Interessante ciò che definisce “Teoria d’occasione”, ossia approfondire in modo circolare qualsiasi evento si presenti. Teoria, perché non si può parlare di ideologia; d’occasione, perché non è stata dedotta, è casuale. Originale è ciò che definisce  “Pausa”, ossia il tempo che ci si prende per riposare, considerando questo un diritto per rendere sopportabile il peso dei doveri e del tempo orribilmente misurato in orari.

1974.Congresso PdUP con Lucio Magri. Foto Gianni Quilici 

 E tuttavia, pur avendolo letto con piacere,  sono rimasto un po’ deluso. Avrei voluto sapere di più delle sue molteplici esperienze. Penso, per fare un esempio, al suo lungo rapporto con il Manifesto, dove l’elaborazione e la continua discussione, la stessa precarietà esistenziale di molti di coloro che lo hanno formato e la qualità indiscutibile dei personaggi che lo configuravano, erano già un romanzo. Avrei voluto sapere di più, da lei che nella sua lunga vita ha incontrato centinaia di protagonisti della vita pubblica e politica italiana,  qualcosa di più di loro attraverso i suoi occhi anticonformisti.  Invece ne parla sbrigativamente, senza farli vivere e alcuni di essi  sono soltanto citati.   Canta il merlo sul frumento, sottotitolo “Il romanzo della mia vita”, mi sembra, invece, un excursus descrittivo  e fin troppo veloce di una vita viva e interessante, combattutae felice.

Lidia Menapace. Canta il merlo sul frumento. Il romanzo della mia vita. Manni. Euro 14,00

24 gennaio 2021

"Rapsodia irachena" di Sinan Antoon

 

di Giulietta Isola

“Le nostre rivoluzioni non sono altro 

che cicatrici, imperfezioni

 che compaiono sulla superficie 

della nostra storia.”

Sinan Antoon è nato a Baghdad nel 1967 da padre iracheno e madre americana. Nel 1991, dopo la Prima Guerra del Golfo si trasferisce negli Stati Uniti e inizia a lavorare come professore di Letteratura araba, scrittore, poeta e traduttore. 

Questo breve romanzo d’esordio di Sinan Antoon è ambientato nel 1989, esattamente tra la fine della guerra tra Iran e Iraq e l’inizio della Prima Guerra del Golfo ed è il diario di uno studente detenuto per aver ridicolizzato il Rais, si chiama Furat e lo ha scritto in una sorta di codice, eliminando i punti diacritici, quelli che in arabo permettono di distinguere le lettere che hanno la stessa forma. Un manoscritto scarabocchiato a matita uscito dalle carceri irachene ai tempi del feroce tiranno Saddam Hussein che aveva la spudoratezza di rivolgersi agli scrittori sostenendo che potevano scrivere ''senza timore, senza esitazione e senza farvi condizionare dalla possibilità che il governo approvi o meno quello che scrivete''. 

Quello che noi leggiamo è la reinterpretazione del “compagno” Talal, uno dei secondini della prigione, che decide di lasciare tra parentesi le parole di cui non è certa l’interpretazione, quasi sempre insulti al potere centrale, un’idea molto originale resa con un’abilità incredibile. Scopriamo, in mezzo ai vaneggiamenti causati dalla detenzione, che Furat era uno studente di Lettere e poeta alle prime armi, viveva con la nonna, devota cristiana ed era innamorato dell’intelligente Arij. 

Le riflessioni, i ricordi, la tortura fluiscono sulla pagina con delicata crudezza e onestà, senza tralasciare né i particolari più duri del presente da detenuto né il suo felice passato con lo studio, le partite di calcio, i primi amori . 

Da una storia privata viene fuori l’immagine di un Iraq impossibile, strangolato dalla presenza ossessiva del regime incarnato dal partito , vera e propria riproduzione del fascismo, un intero paese perso nel buio di una dittatura brutale e violenta travestita da democrazia. 

Letto con molto interesse per la curiosità verso uno dei posti più “caldi” del Pianeta, dove la tirannia ha alimentato uno scellerato culto della personalità che non ha nulla da invidiare a quello tributato a Stalin nell'Unione sovietica degli anni '30.

RAPSODIA IRACHENA di SINAN ANTOON FELTRINELLI EDITORE

21 gennaio 2021

“Pensare l’infosfera” di Luciano Floridi

 

di Silvia Chessa

Il rebooting  della Filosofia è il tema di un saggio del filosofo e professore (ordinario ad Oxford) Luciano Floridi:"Pensare l'infosfera. La filosofia come design concettuale"

Quando un discorso intorno alla filosofia è ben fatto, ti illumina mente e cuore come un bagliore nella notte.

È stato utilissimo e bellissimo scoprire il pensiero del professor Luciano Floridi il quale, simpaticamente e brillantemente, mi ha portata a rivisitare linguaggi e nozioni di studi liceali, in chiave attualissima.

Vorrei citare solo alcune delle immagini o idee che rimangono dalla lettura.

La metafora del vino. Come l'avere assaggiato, per la prima volta, un vino cattivo non deve precluderci la possibilità di assaporarne di prestigiosi, il professore chiarisce che esiste, purtroppo, una cattiva filosofia che danneggia la reputazione della buona filosofia; pertanto, raccomanda ai novizi, l'essere eventualmente incappati nella prima non induca ad assumere posizioni pregiudizievoli.

Il concetto della dieta -fantastico!- (di cosa si nutre una domanda? ovverosia di cosa ho bisogno per rispondere? numeri, dati, oppure concetti, valori, insomma quel quid in più che attiene alla filosofia).

Hegel che dice a Kant che finché non scende in piscina non impara a nuotare basandosi solo sulla teoria.

Le similitudini fra design e digitale.

L'uso delle conquiste del digitale nella filosofia moderna e contemporanea.

La differenza fra essere timely ed essere timeless (ma, in taluni e rari casi, magistrali, riuscire ad avere risposte talmente giuste e tempestive da assurgere ad immortali).

Il ripartire dallo studio dei linguaggi che sono alla base delle varie scienze (informatica, ingegneria, medicina).

Molteplici, a volerle usare in modo furbo e pragmatico, le applicazioni dei ragionamenti via via sfiorati: saper rispondere ad una domanda scorretta con la domanda giusta, o saper dire, senza pentirsi, questa domanda non serve a niente. Accantoniamola insieme a chi ce la pone.

È originale per come spiega che vengono prima le strade e poi gli incroci, o le rotonde. E che, per una buona pratica politica della società, vengono prima le relazioni dei singoli individui.

Ad avallare questo, la citazione manzoniana dei Promessi Sposi, dove il professor Floridi suggerisce che Renzo e Lucia ce l'abbiano fatta perché avevano messo la loro relazione al centro della loro vita, e non avrebbe funzionato ugualmente se Renzo avesse solo messo al centro Lucia e Lucia Renzo. Bensì hanno sostenuto e difeso il loro rapporto.

Infine, questa interpolazione di Platone, che prova a sostituire la parola “cose” con “informazioni”.

"Il genere di conoscenza che ci occorre è quella nella quale avviene che ci sia una correlazione fra fare e sapere come usare le cose(/informazioni)." (Eutidemo)

Ecco che, grazie ad un piccolissimo rebooting delle parole di Platone, rimpastate dal professor Floridi, un'affermazione platonica ci si presenta come una sorta di radiografia del presente (dal timely al timeless, appunto!).

Un presente, quello che viviamo, esuberante di dati e di informazioni che dobbiamo poi, però, saper gestire.

E questo è il bello. Accordarsi su questioni non solo di privacy, di opportunità e di economia, ma soprattutto di etica, di interconnessioni e di umanità.

Luciano Floridi. Pensare l'infosfera. La filosofia come design concettuale. (Raffaello Cortina Editore, 2020).

20 gennaio 2021

“La misura del tempo” di Gianrico Carofiglio

 

di Giovanna Baldini

           La misura del tempo, Einaudi, 2019, è l’ultimo libro di Gianrico Carofiglio. Un legal thriller all’italiana, che tratta di un caso giudiziario: l’avvocato Guido Guerrieri, già noto ai lettori di questo scrittore, accetta la difesa di un giovane, Iacopo, in carcere per omicidio volontario, di cui, però, si protesta innocente. Si tratta di riaprire il caso. La linea procedurale dell’avvocato è quella dell’assoluzione per “ragionevole dubbio”. Ci riesce. E, come dire, la storia finisce bene.

          Perché Carofiglio, da magistrato di lunga esperienza è consapevole che: “La verità è un mare di fili d’erba che si piegano al vento, vuol essere sentita come movimento. È una roccia solo per chi non la sente e non la respira.”

          Ma l’Autore complica il racconto giudiziario con l’inserimento di una vicenda sentimentale. Iacopo è figlio di Lorenza Delle Foglie, una donna giovane e bella che al tempo dell’università affascinò il giovane neolaureato pieno di speranze e di sogni sul futuro.

           Accettando il caso giuridico, all’avvocato Guerrieri ritorna alla mente il passato carico di ricordi e di rimpianti. La misura del tempo, il titolo, dice al lettore quanto il tempo misuri le nostre vite. Basta un fatto, un accadimento casuale e tutto, in un balzo, ritorna, ci costringe a pensare, a fare i conti con le proprie esistenze, così come succede al protagonista.

          Lorenza è appassita e ingrigita, è sola con un figlio da tirare avanti e per di più in carcere; guardandola Guido vede se stesso, invecchiato e solo come lei, con un lavoro abitudinario.

          Accetta la sfida processuale né per se stesso, né per Lorenza, ormai un fantasma della giovinezza passata. Lo fa, forse, per la materia di studio che è stata la base degli interessi della sua vita. L’entusiasmo ormai è passato, anche il caso di Iacopo è routine.

          Amara la riflessione dell’Autore che, però, all’interno del libro ci regala alcune bellissime pagine. Quelle del passato, ricordato attraverso la descrizione delle notti estive al Sud, profumate di fiori, salmastro, e cibi speziati. E quelle del presente: in città Guerrieri frequenta una libreria aperta di notte, dove va quando non riesce a dormire, e ciò capita spesso, e dove trova altri nottambuli e frequentatori assidui con cui si trattiene fino all’alba, sfogliando libri.

          Come a esorcizzare da sveglio le note dolenti del tempo che scorre e consuma.

 Giancarlo Carofiglio, La misura del tempo, Stile libero Einaudi, 2019, pp. 228, Euro 18,00