22 ottobre 2023

Corpi celesti di Jokha Alharthi

 

Oman, un Paese ancora in cammino

 di Giovanna Baldini

       Il libro Corpi celesti di Jokha Alharthi, Bompiani, 2022, è un romanzo sulla vita di oggi in Oman, con frequenti incursioni nel passato. Abbraccia un arco di tempo che va dalla fine dell’Ottocento, quando quel territorio della penisola arabica era un grande mercato di schiavi, ai nostri giorni e ne descrive i mutamenti e le modernizzazioni attraverso le vicende di una famiglia di ‘Awafi, piccolo paese lontano dalla capitale.

      Il titolo si spiega perché le storie non scorrono in modo lineare, ma intrecciate tra passato e presente, tra vivi e morti, nei ricordi di ‘Abdallah, uno dei personaggi principali del romanzo.

      Un flusso di coscienza, mentre ‘Abdallah, marito di Mayya e padre di London, vola in aereo verso Francoforte.

     Basterebbe pensare ai nomi dei protagonisti per renderci conto del profondo cambiamento nella società omanita odierna.

      La figlia di Mayya viene chiamata, per volontà della madre, London, nello sconcerto totale della famiglia. Un nome che esce dalla tradizione, che non è nemmeno un nome di persona, ma di città. Salima, la nonna della piccola, rimane sbigottita e si oppone, ma la figlia è irremovibile: un buon auspicio, un augurio. Pensa che sua figlia sarà diversa da lei, studierà all’università, andrà a Londra.

      Infatti, nel romanzo la troveremo medico, realizzata nel lavoro, ma delusa e infelice nella vita privata, perché, per superare la tradizione, la cultura secolare, i rapporti sociali fondati su quelle antiche consuetudini, non basta portare un nome eccentrico, originale, straniero.

      Il libro descrive bene, attraverso i componenti di una famiglia omanita, allargata ai parenti più stretti e ad alcuni schiavi poi liberati e rimasti nella Grande Casa, come persone di servizio, i rapporti di potere dei maschi sulle donne, madri e figlie. È intorno agli anni Settanta, infatti, che quella società comincia a cambiare e la figlia di Mayya, nata nel 1981, può chiamarsi London.

      Un albero genealogico, inserito all’inizio del libro, dà conto dei personaggi che, con capitoli a loro intitolati, diventano tutti protagonisti dell’intera vicenda del romanzo. Inoltre, i rami della famiglia mettono in luce i nomi delle donne, che partoriscono i figli attraverso un matrimonio che mai è stato scelto dalla donna stessa.

       Mi è sembrato molto interessante questo aspetto. La continuazione della famiglia è nelle mani delle donne, che si devono sposare, ma con un uomo che non conoscono e che naturalmente spesso non amano. Così la vita va avanti nel presente come nel passato, che sembra immodificabile, nonostante gli stimoli di novità che arrivano dal mondo esterno. L’Autrice, non a caso, racconta due episodi che fanno pensare.

       Khawla, una delle tre sorelle, la più bella, non accetta l’imposizione di un matrimonio combinato, perché testardamente rimasta fedele a un amore giovanile. Riuscirà alla fine a realizzare il suo sogno, ma sarà un disastro.

      London, sua nipote, di un’altra generazione, quindi libera di scegliere il suo amore e il suo compagno, resta prigioniera della mentalità retriva di un tempo che le toglie obbiettività di giudizio e le procura infelicità.

      Un bilancio realistico, lucido, impietoso sulla società del piccolo sultanato arabo esce dalle pagine di Jhoka Ahlarthi, giovane rappresentante di quella classe di intellettuali che, dopo avere studiato in patria, si è trasferita all’estero per realizzare il cambiamento.

      Il libro è bello e interessante, un sapiente intreccio che tiene insieme una trama narrativa tra passato e presente, tradizione e attualità, riti magici e superstizioni: un mondo non ancora del tutto scomparso.

 Jokha Alharthi, Corpi celesti, trad. dall’arabo di Giacomo Longhi, ed: Bompiani, 2021, p. 258, euro 18,00   

17 ottobre 2023

"I salmoni aspettano agosto" di Elena Panzera

 


 

di Marisa Cecchetti

        Quando si arriva alle ultime pagine del romanzo di Elena Panzera, viareggina, e si legge l’elenco delle trentadue vittime del disastro ferroviario della stazione di Viareggio del 29 giugno 2009, ci si rende conto che la musica che attraversa la storia di Michele e Francesca è  necessaria per cullare e mitigare il dolore. Non esiste prescrizione al dolore, lo sa bene Palmira che ha perso il marito e la figlia quella terribile notte. Ma la musica, come dirà la madre di una giovane musicista scomparsa per malattia, “è qualcosa che sopravvive al cambiamento ed era anche l’unica cosa che avrebbe trattenuto sua figlia”.

       In questo suo primo romanzo Elena Panzera lascia parlare Michele in pagine di diario che seguono i giorni e le notti, e la narrazione diventa leggera anche se affronta il dolore, perché è il punto di vista di lui che teme il dolore, infatti ama la lettura de Il paese senza punta di Rodari.

        Michele, gemello di Francesca, si esprime con la musica, è parco di parole. Schivo, portatore di una certa originalità derivata da alcuni secondi di mancanza di ossigeno al momento della nascita, si sente al sicuro quando Francesca è vicina, quasi a ricostruire la situazione prenatale. Le loro mani insieme sul pianoforte corrispondono al massimo della sua gioia e del suo bisogno di esprimere emozioni.

       Cresciuto in simbiosi con la sorella, vive nell’attesa di lei, di notte attende il rumore della chiave nella porta che ne indica il rientro, spia il ragazzo con cui esce che gliela allontana sempre di più.

       Al pianoforte è una rivelazione - le mani sono il tesoro di cui dispone -. Fin da piccolissimo è stato seguito da un insegnante che lo ha educato a riconoscere la bellezza e farsene contagiare. Dopo l’esame finale dei gemelli al conservatorio, Francesca fa scelte di vita e lavoro che la separano da Michele, così lui si trova ad affrontare il mondo da solo, con tutte le incognite che gli fanno paura: “Quando non ci sei non so più qual è il fiume a cui devo tornare”. Senza di lei si rovescerà il suo universo: “Come pensi di separare di punto in bianco la tua storia dalla mia senza travolgere l’intero universo?”

       Dovrà fare come i salmoni che tornano a risalire il fiume dopo aver nuotato nell’oceano, e balzano sopra le cascate e gli scogli per arrivare ad accoppiarsi e deporre le uova. Lo fanno per istinto. “Non vorresti anche tu un istinto, Michele?” gli chiede la madre, domanda gentile in cui sta tutta l’ansia inespressa di chi teme per la vita di un figlio così strano, eppure ricco di un dono speciale.  

       Il romanzo allarga lo sguardo oltre Michele e Francesca, con il disastro ferroviario e le varie fasi del processo, con qualche crisi strisciante nei rapporti di coppia, con un nonno che riporta alle staffette partigiane, con l’amicizia che lega come una promessa per la vita, con il tema dell’omosessualità e dell’AIDS.

       Ogni informazione che contenga il dolore arriva a Michele con garbo, come si fa con un bambino, a protezione. E come un bambino lui dà la sua risposta alla malattia di Hanna, l’arpista, che gli ha appena detto di avere un mostriciattolo nei polmoni: “avrebbe proprio dovuto cantare perché il suo canto spaventerebbe qualsiasi cosa brutta, specie dove diventa più forte”. Del resto “i bimbi e gli angeli parlano la stessa lingua” aveva detto a suo tempo la nonna.

       Se la musica è parte integrante del romanzo, altrettanto lo è la bellezza: il mare, il molo con i pescatori, la pineta, le colline argentate di oliveti, gli orti, gli alberi da frutta, le dune della spiaggia libera toscana, la costa scoscesa della vicina Liguria, le Apuane che vegliano sul mare. E questi due ragazzi. Tutto è poesia.

Elena Panzera, I salmoni aspettano agosto, Giulio Perrone Editore 2023, pag. 144, € 16,00.

13 ottobre 2023

" Una relazione intima" di Zeruya Shalev

 

di Giulietta Isola

“Perché pensi che mi interessi conversare? Brontolò, quello che ti ho detto sul sesso vale anche per il dialogo. L’ eccitazione deve essere stimolata ogni volta. E i sentimenti? Non so più cosa siano. Con gli anni l’uomo diventa sempre più animale o infantile: quello che conta sono i bisogni.”

       Zeruya Shalev nasce nel 1959 in un Kibbutz. Attualmente vive a Gerusalemme dove lavora come scrittrice, editrice e poetessa, rappresenta un genere di scrittura molto particolare; nervosa, ritmata quasi futurista che lascia senza fiato, una sorta di flusso di coscienza alla Joyce. La sua penna è in grado di narrare la complessità dei sentimenti con introspezione e lucidità senza pietismi. I suoi romanzi, pieni di dettagli psicologici rendono l’esperienza di lettura un viaggio multisensoriale che permette di entrare in contatto con la parte più profonda del proprio io, mettono in risalto luci ed ombre di ogni essere umano ,ma soprattutto di ogni relazione. 

        Il tema trattato in queste pagine non è per niente originale: l’inspiegabile attrazione di Yaara, una donna giovane e bella, per un uomo maturo ,Arieh ,che gioca con lei come il gatto con il topo L’uomo è un personaggio bieco e repellente che accortosi dell’interesse di Yaara nei suoi confronti ne approfitta per attirarla nella sua trappola, la respinge e la reclama, la lega a sé stesso nel ricordo di un passato dal quale ancora non è riuscito a sfuggire. 

       La ragazza, fra sesso e gusto del proibito, inanella una sequela di errori che la porteranno a far luce sul passato della sua famiglia pagando il prezzo di far crollare quel mondo che aveva appena iniziato a costruirsi. 

        La lettura è a tratti soffocante per il mondo onirico e inverosimile che ci fa conoscere Arieh, tormentato, distaccato e torbido. Yaara è solo apparentemente una donna giovane ed emancipata, in realtà ricopre un ruolo di completa sottomissione all’uomo seguendo un’antica tradizione, si comporta come se lui le trasmettesse il senso di protezione e la guida che le manca, rinuncia all’amore tenero e fedele di Yoni ed il suo personaggio è completamente fuori dagli schemi, privo di ogni logica morale e intellettuale, mi è stata antipatica da subito, anche Arieh è altrettanto poco piacevole, ma lo ho scusato per il passato tormentato ed alla fine della storia, di lui mi sono rimaste impresse , solo le descrizioni sordide e repellenti del sesso. 

        Il libro è di per sé una storia d’amore a tinte forti fra peccato carnale, erotismo, autodistruzione, sofferenza, pazzia e ossessione, molta ossessione, quasi un romanzo psicologico sull’attrazione e sulla sottomissione narrato utilizzando una scrittura violenta e ritmata a metà tra la poesia e il realismo. Da leggere tutto d’un fiato.

“Chi sbaglia lo sa in anticipo che sta per sbagliare, ma non può fare altrimenti, non può impedirselo.”

UNA RELAZIONE INTIMA di ZERUYA SHALEV FELTRINELLI EDITORE

 

 

11 ottobre 2023

"Il vento sulla sabbia" di Fausta Cialente

 

di Marigabri


“Ma non avrebbe, il tempo, distrutto una consistenza che mi sembrava fragile, fluttuante come una nebbia? Ed era giusto guardarla solo dal lato di coloro che erano gli offesi? E gli avvenimenti mondiali, quel fosco avvenire che si preparava per tutti quanti, ci avrebbe permesso di vivere o ci avrebbe definitivamente travolti?

       Il nazismo, la guerra sono minacce sempre più sinistre e incombenti quando si svolge la storia di queste due famiglie borghesi espatriate in Africa, quella ebrea italiana di Filippo e Malvina e quella tedesca di Frida e Stefan a cui si unisce l’ambiguo personaggio di Frida, pittrice eterea e enigmatica.

        Proprio nella loro villa, ironicamente denominata Sans Souci, arriverà la giovane orfana Lisa, spettatrice e narratrice della intricata e intensa vicenda che qui leggiamo.

      La fine della giovinezza in questo caso coincide con la fine di un’epoca e l’ingresso forzato nella vita adulta con la coscienza della complessa rete dei rapporti umani, fatta di amore, tradimento, vanità, ideali spezzati, illusioni perdute.

       Mentre l’epoca coloniale volge al termine il futuro accende i suoi cupi bagliori nel travagliato orizzonte di un’Europa ben presto in fiamme.

Un romanzo lento e riflessivo che lo stile di Fausta Cialente rende raffinato e magnetico.

Fausta Cialente. Il vento sulla sabbia. nottetempo editore

 

06 ottobre 2023

“Tutte le immagini svaniranno” di Andrej Tarkovskij

 



di Andrea Appetito

Polaroid di Tarkovskij. Tutte le immagini svaniranno, anche tu. Le dita bianche, i ciuffi di erba alta, i capelli raccolti al sole di una domenica autunnale. Svaniscono e tornano luce.

L’attimo di uno sguardo riottoso, la cura ribelle delle sue pieghe. La luce che sprigioni è la stessa che immortala l’abbraccio del fogliame e la resa della tua muta nell’erba delle stagioni. C’è l’ombra del fotografo ai tuoi piedi, gioca con la tua ombra. Puoi sentirle, anche se il tuo sguardo schivo è rapito da qualcosa che fugge lontano. Svanirai con la tua polaroid tra le dita, la moneta del tuo trapasso dal mondo della vita a quello della luce.