29 novembre 2022

"Mi sono perso nel bosco" di Andrea Appetito

 

 


di Andrea Appetito

         I sentieri del bosco in autunno assomigliano ai corridoi crepuscolari dei grandi monasteri e i crocevia scompaiono sotto il tappeto di foglie passato al setaccio dalle cornacchie. 

        Oggi, dopo il tramonto, mi sono perso e sono finito nel deposito dei tagliatori. Il fruscio dei passi si mescolava all’odore di linfa e di segatura. I tronchi accatastati erano circondati da ceppaie dissanguate, abbrumate dai loro stessi lamenti. Così ho udito la canzone funebre della sera e ho avuto paura. Non sarei dovuto finire in un cimitero di alberi dopo il tramonto. Pietre, foglie e radici tendono insidie. La ramaglia cattura e stordisce. Finalmente ho trovato la via del ritorno. Ogni tanto drizzavo le orecchie ai rumori del sottobosco, mentre l’ultima luce della sera si eclissava nel tappeto di foglie morte. A un tratto sulla mia testa è passata una civetta con le ali spiegate diretta verso l’uscita e i tetti rossi delle case. 

        Ora la luna piena brilla sulla siepe del mio giardino e illumina i libri poggiati sulla scrivania davanti alla finestra. Le trecento poesie T’Ang, La passeggiata di Walser, i Frammenti di Eraclito. Sono lì da giorni in attesa di essere sfogliati, ma leggo poco, rumino a fatica. Prima di cominciare a lavorare leggo la dedica di Eraclito “ai nottivaghi, ai posseduti da Dioniso, alle baccanti”. Alzo lo sguardo e la luna è ancora sulla siepe. La civetta poggiata sul comignolo ripete versi misteriosi in una lingua oscura e la luna decolla finalmente in un vortice di luce.

27 novembre 2022

"Il calzare della sposa" di Lida Coltelli

 

di Marisa Cecchetti

        “Il 7 febbraio del 1522 Ariosto venne nominato Governatore della Garfagnana. Il 20 febbraio Ludovico, dopo un lungo viaggio, arrivò a Castelnuovo e prese possesso di quella Rocca che divenne la sua “prigione” per i tre anni a venire”. 

        Così scrive Lida Coltelli sul contesto storico di riferimento nel giallo “Il calzare della sposa”, ricordando le alterne vicende della Garfagnana -a cominciare dal 1521-, passata dagli Estensi ai Lucchesi, poi ai Fiorentini appoggiati dal Papa, finché il commissario pontificio fu cacciato nel dicembre 1521 e gli Estensi incaricarono l’Ariosto.

       Il Commissario, insieme a Iacopo il baricello, responsabile del servizio di polizia, con la presenza dei balestrieri del capitan Navarra, affronta una serie di problemi, in un paese dove “accuse e liti sempre e gridi ascolta/furti, omicidi, odi, vendette et ire”.

       Il paese di “Castrinovi” appare come un presepe animato, con la Rocca che lo sovrasta, le porte di accesso, il borgo con i suoi abitanti e le botteghe artigiane, le viuzze strette, il Serchio che si sente scorrere quando cala il silenzio, con la Turrite che vi si getta.

        Questa volta corrono le domande, le congetture, i timori, intorno alla scomparsa di Evelina, una bella ragazza promessa sposa ad un abbiente giovane del posto, Lorenzo. Uscita dalla casa degli zii per dar da mangiare al gatto, non è più rientrata. Si perlustrano il paese, il fiume, i boschi, le capanne più distanti, ma di lei nulla, tranne una scarpa rinvenuta nell’erba.

        Le indagini si allargano, si cercano indizi, si interroga chiunque l’abbia vista, si analizzano i movimenti, si scoprono le molte facce di Lorenzo, si conoscono tresche amorose, si dubitano vendette per gelosia. Si contano delle vittime.

        L’idea di un rapimento per riscatto si fa strada sempre di più - l’unica possibilità di trovare viva la ragazza - e il pensiero corre ai banditi, tanti quelli che infestano la zona, famosi e temuti, schierati contro gli Estensi. E anche a qualche “cane sciolto”.

        Lungi dallo scendere nella trama del giallo e dal ricordare ogni supposizione -anche quelle andate a vuoto-, ogni mossa per arrivare alla verità, in un intreccio che trascina il lettore, quello che rimane al di sopra delle indagini è l’atmosfera che la Coltelli sa creare nelle piazze e nei vicoli, nelle taverne, nella zona del mercato, in un fitto di carri, muli, artigiani, venditori, merce di ogni genere, nei quattro giorni di fiera di Pasqua. Con una serie di incontri, una richiesta di informazioni, un parlare fitto di serve uscite per la spesa: un paese che risuona di voci, e odora di cuoio, di legname, di cacio, di pane.

        L’interno della Rocca svela un Ariosto immaginato nella veste privata, che trova difficoltà a dedicarsi ai suoi versi, che rimpiange Ferrara e la donna amata, impegnato col baricello a fare congetture, a tenere rapporti epistolari con i governi vicini, ad ascoltare lagnanze infinite, ruberie, illegittimità. Un Ariosto che ama giocare a scacchi, che fa lezioni di Latino al figlio adolescente e a un suo amico, che trova consolazione nella cucina della Velia, la servetta di Vagli di Sopra, intelligente e curiosa, dagli incantevoli occhi verdi che hanno fatto presa sul giovane Iacopo.

         Alle spalle del romanzo c’è una ampia bibliografia che include la conoscenza di missive e documenti del tempo, sia dell’Ariosto che di altri suoi contemporanei, di conseguenza un appropriarsi del loro linguaggio, per cui la Coltelli alterna all’Italiano della narrazione il parlare del tempo, che si fa più stretto addirittura nelle forme dialettali locali.

-         Havete inteso, sì o no, che son dietro a maritarmi?

-         Non mi date scelta!

-         Che accade padroncina?- s’intromise a quel punto la servetta. Quest’homo vi importuna?

-         Ma che vai pensando Faustina,- la tranquillizzò la giovane. -Gl’ero justo lì per dire a questo figulus che li suoi cocci non son di mio gradimento e che da hora innanzi rivolgeròmmi altrove!

Un linguaggio che suona melodioso ed ha un fascino nuovo.

 Lida Coltelli, Il calzare della sposa, Tralerighe Libri 2022, pag. 352, € 16,00

26 novembre 2022

"Khalil" di Yasmin Khadra

 


di Giulietta Isola

        Yasmina Khadra, pseudonimo femminile di Mohammed Moulessehoul, ex alto ufficiale dell’esercito algerino, ha sempre preso ispirazione per i suoi romanzi dalla realtà contemporanea , adottando uno stile personalissimo fatto di giochi di parole, metafore, intreccio fra i linguaggi culturali francese e algerino, descrizioni poetiche, dialoghi serrati, ironia. 

        Khadra utilizza questi strumenti nel tentativo di spiegare le tragiche vicende del mondo arabo e la sofferenza di un’identità , stimola la nostra empatia e ci permette l’immedesimazione nello squallore, nell’umiliazione quotidiana, nei rari agi e nei privilegi per pochi in popolazioni martoriate da decenni di conflitti. 

        In questo romanzo ci porta dentro la testa di Khalil, un giovane belga di origine marocchina, del quale, quasi in presa diretta seguiamo gli eventi , rivivendo i suoi ricordi e partecipando i suoi stati d'animo. 

        Una macchina sta portando quattro giovani kamikaze da Bruxelles a Parigi nel fatidico giorno del 2015 in cui si consumarono gli attentati allo Stadio S.Denis e al Bataclan ,due di questi sono Khalil e il suo compagno fraterno Driss, che morirà . Khalil ha il compito di farsi esplodere in uno dei treni urbani utilizzati dai tifosi alla fine della partita, un malfunzionamento della sua cintura esplosiva eviterà l’inferno che avrebbe voluto provocare , resterà vivo proprio nel giorno in cui si aspettava di diventare martire della fede.

       Da questo fallimento iniziano le vicende del romanzo , una storia per buona parte ambientata a Molenbeek, il quartiere ghetto da cui proviene e si radicalizza la maggioranza dei giovani attentatori belgi di origine africana e nordafricana. Sono giovani delusi dalle promesse dei genitori, rifiutati dalla scuola non in grado di includerli, esclusi dal mondo del lavoro che conta e consapevoli che i diritti promessi non sono mai stati effettivamente acquisiti, chiacchierano nei bar degli attentati e molti di loro sono offesi da questi assassini che pretendono di fare giustizia sommaria a nome di tutti i musulmani ,è anche per colpa loro che le comunità islamiche subiscono ostracismi, intolleranze, razzismi ed i Governi sembrano incapaci di affrontare con efficacia la questione. Fra loro c’è Rayan, ha studiato, ha un lavoro soddisfacente e spera nel futuro, è dalla parte di Khalil nonostante tutto e lo aiuterà nel lungo percorso interiore che lo porterà a qualcosa di diverso rispetto a quanto preannunciato nella prima pagina del romanzo. 

       Khadra ha il merito di mostrarci la complessa galassia islamica e di parlarci di questi ragazzi nati in Europa , figli di politiche migratorie distorte e di quell'inclusione bastarda che consiste nel restare zitto e buono dentro il proprio ghetto e guai a superare i confini, perché resti sempre uno sporco arabo. 

        Anche se talvolta cede all’enfasi ed alla retorica (che rimangono comunque in lui espressioni alte) il suo invito a riflettere sulla complessità del mondo mediorientale è costante , tratta temi sempre molto rischiosi, racconta con equilibrio, commuove senza essere patetico, non dà giudizi, lascia che sia il lettore a darne e ci mostra il percorso quotidiano sul perché violenza, spesso, genera violenza.

KHALIL di YASMIN KHADRA SELLERIO EDITORE

 

25 novembre 2022

"Casco d'oro" di Jacques Becker

 

        

di Mimmo Mastrangelo

        La critica italiana ci vide bene. Fu una delle rare  volte che un film veniva accolto meglio da noi che in Francia.  L’uscita nelle sale d’Oltralpe  di Casco d’oro( 1952)  fu una debacle,  il film di Jacques Becker (1906-1960) venne senza misure massacrato perché ritenuto volgare, successivamente ci si accorse dell’ errore di valutazione grazie  ad Andrè Bazin e alla  pattuglia dei “suoi giovani critici d’assalto”  dei Cahiers du cinema.   

       Oltre ad essere, insieme a Il buco (1960), la  vetta della filmografia del regista parigino, possiamo tutti concordare che la pellicola è una delle storie d’amore più belle e tragiche viste sul grande schermo dal secondo dopoguerra ad oggi. 

        Tornato da qualche giorno nei circuiti delle sale sotto il patrocinio della Cineteca di Bologna e in una versione restaurata, Casco d’oro  è un esercizio  di regia di alta classe,  un film ricco di toni e risvolti impeccabili che, come pochi, segnerà l’aggancio del cinéma classique  alla nouvelle vague

        Per non dire poi dei due interpreti principali: la carismatica e debordante Simone Signoret e il deciso Serge Reggiani, entrambi  incarnano con estrema spigliatezza i loro non facili personaggi. 

        Ispiratosi ad un fatto di cronaca accaduto alla fine dell’ottocento e alla  vita della nota prostituta-eroina  Amélie Hélie  (a cui, anche grazie alla performance filmica della Signoret, è stato dedicato in un giardino di Parigi un pannello commemorativo), Becker  sembra che dia vita ad un racconto  uscito dalla penna di Maupassant: l’ amore folle tra la prostituta Maria (Signoret) e un falegname (Reggiani)  con un passato da fuorilegge  finisce lacerato in una Parigi malavitosa. 

       Casque d’or, questo il titolo originale, è uno specchio per conoscere o riscoprire  la versatile artigianalità di Becker dietro la macchina da presa, la sua abilità  nel saper coniugare un figurativismo per nulla dozzinale ad  un asciutto  realismo che, implacabile,  si attesta soprattutto nelle ultime sequenze con la messa alla ghigliottina del protagonista. 

        A conferma di quanto i critici-registi della nouvelle vague presero a cuore il lavoro di Becker, François Truffaut in uno scritto del  1965 acclamerà  Casco d’oro in un film di personaggi e di altissimo risultato plastico, <<ora divertente, ora tragico, prova infine che, attraverso l’uso raffinato dei cambiamenti di tono, si può andare oltre la parodia, guardare un passato pittoresco e insanguinato e poi resuscitarlo con tenerezza e violenza>>.     

       Per la sua magistrale interpretazione Simone Signoret venne premiata in Inghilterra dalla British Academy of Film and Television Arts  come migliore attrice in un’opera straniera. 

      Ma, di certo, tra le altre componenti  che fanno del lavoro di Jacques Becker un capolavoro (l’etichetta stavolta c’azzecca senza riserva)   troviamo le  note incantevoli de  Le tempe des cerises, la canzone dei comunardi il cui testo fu scritto dal musicista ed illustre  esponente  del genere goguette Jean Baptiste Clément.