31 marzo 2023

"Una storia di poligamia " di Paulina Chiziane.

 

La   donna   africana   vince  la tradizione

di Giovanna Baldini 

       Niketche, Una storia di poligamia è un romanzo della scrittrice mozambicana Paulina Chiziane.

      Nata nel 1955 a Manjacaze, località nell’interno del Mozambico meridionale, l’Autrice affronta in questo suo ultimo lavoro una storia di poligamia, o meglio, una vicenda di donne e della loro condizione in un periodo di grande trasformazione della società attuale  tra la modernità e la tradizione.

      Lei, Paulina Chiziane, si considera una raccontatrice di storie tramandate oralmente e ascoltate intorno al fuoco da quando era piccola, ma nelle sue pagine c’è molto di più.

      In modo ironico e fantasioso viene affrontato il tema della poligamia, retaggio culturale ben radicato nella mentalità degli uomini e delle donne del suo Paese.

      L’eredità della poligamia si scontra con la modernità della vita africana di oggi, che nelle città e nei ceti socialmente favoriti si avvicina molto agli standard della globalizzazione.

        La poligamia, di fatto, non esiste più, ma l’uomo, secondo un’antica eredità culturale secolare, si sente in diritto di avere amanti, anche più di una e di essere infedele alla moglie.

       Nel romanzo il comportamento di Tony, il co-protagonista, scatena una serie di avvenimenti, eccessivi ed esilaranti.  Infatti Rami, la prima e unica moglie sposata, cerca di inserire la incorreggibile infedeltà del marito negli schemi di una società che si considera moderna ma di fatto ancora legata a irrinunciabili modelli maschilisti

       Moglie e madre, ormai non più giovanissima, Rami si accorge di aver perso l’interesse di suo marito. Cerca di riconquistarlo in tutti i modi anche ricorrendo alla magia, ma, niente. Pensa, allora, di conoscere le amanti, che sono quattro, e la più giovane sostituisce sempre la precedente…

        Diventano amiche e alleate contro il maschio dominatore, intanto si emancipano: con i soldi del mantenimento e le moine si trovano un lavoro, si rendono indipendenti e capiscono di valere anche per se stesse. Ma c’è un problema: nel maschio, tutto ciò provoca una catastrofe psicologica, perde il suo ruolo e anche l’onore davanti agli altri. Tony, disperato, prima cerca consolazione dalla madre che non lo accoglie, poi tra le braccia della prima moglie… che lo rifiuta.

       Trama avvincente e divertente, ma che sotto nasconde il faticoso percorso verso l’emancipazione della società africana e segnatamente mozambicana. La strada sarà lunga non solo per le donne, ma soprattutto per gli uomini.

       Nel libro sono descritti riti e cerimonie religiose, vengono citati fiori e frutti, piante usate per le pozioni magiche, cibi e alimenti della cucina mozambicana che fanno parte della vita del Paese africano. Con il nome originale tutto questo appare tradotto nel glossarietto alla fine del libro, come “niketche”, la danza erotica che la fanciulla balla per il suo amato, e che dà il titolo al romanzo.

       Una lunga commedia amara sulla vita Niketche, che si conclude, però, con il riscatto della protagonista, che davanti al marito che torna sconfitto e abbandonato dalle sue quattro mogli-amanti ha il coraggio di respingerlo. Ha trovato se stessa, un altro amore, un’altra vita.

Paulina Chiziane, Niketche, Una storia di poligamia, trad. dal portoghese di Giorgio de Marchis, ed: La Nuova Frontiera, Roma 2022, p.380, euro 18,90

  

 

 

28 marzo 2023

"La saudade" di Daniele Luti

Lisbona. Rua da Saudade

di Daniele Luti

        C’è una strada a Lisbona che si chiama rua da Saudade. Ce lo dice Tabucchi. E lì lo scrittore sostiene ci sia stata la casa di Pereira. È una strada in salita che passa vicino alla cattedrale ed è dedicata a un sentimento, la saudade, difficile da "tradurre". È una struggente malinconia, ma non per il passato, o non solo. Tabucchi dice che è una nostalgia del futuro, un paradosso. È uno stato d'animo in cui le ombre della memoria convivono con una idea del divenire che  implica il ritrovare, nella sua condizione perfetta, nella fissità di un attimo, un sentimento perduto che non ha più difetti, che ha raggiunto l'intensità, la "perfezione" dell'arte.

      

                                            Volterra, Porta all'arco
 

        Ecco. Anche nella mia città natale, Volterra, c'è una strada così. È via della Porta all'arco, un tragitto ripido, una rampa che si lascia alle spalle un antico borgo e, attraverso una bellissima e fascinosa porta etrusca, ti immette nella storia, in un mondo articolato di oggetti e di cose che fanno ri/vivere una realtà intensa, complessa capace di rivelazioni improvvise: intuire il tempo come un ritorno, come una riconquista, come la restituzione di un amore, di un passione assoluta.

27 marzo 2023

“Qualche giorno fa ho annusato la terra” di Andrea Appetito

 

                    foto di Gianni Quilici

         La strada che conduce in collina è costeggiata dalle arature dei cinghiali. Dove il vento e gli umani accumulano rifiuti, il grugno in cerca di cibo ha sollevato la terra che tracima sull'asfalto.

        Per quanto è possibile, cerco di evitare la strada asfaltata e percorro sentieri o scampo sull'erta della collina seguendo il calpestio delle capre e delle pecore che si arrampicano su ascese ritte e assolate. Lì è possibile che sbuchi un biacco, giallo e verde, la parte anteriore eretta e luminosa.

       In cima alla collina le nubi bianche del mattino si diradano in foschia che appanna il verde nuovo dei prati. Sui sentieri, tra le rovine del teatro romano, turisti in visita e ciclisti, donne uomini bambini cani, ciascuno al suo passo, ciascuno immerso nello splendore austero e modesto di una collina spoglia che già soffre la siccità futura.

      Anche la lotta verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo - ha scritto Camus - Bisogna immaginare Sisifo felice. Forse dovremo immaginare la terra felice nei mesi che verranno, negli anni siccitosi che trasformeranno la terra in talco, quando i semi cadranno crepitando senza futuro.

       Qualche giorno fa ho annusato la terra, era rossa odorosa ma non abbastanza. Sembrava aver passato il punto di cottura primaverile, era svanita la fragranza di linfe mescolata all'eco autunnale di funghi e batteri. Era più simile a un mattone uscito da una fornace.

       Dobbiamo immaginare la terra felice e distendere l'arco plantare, immergere ogni passo anziché sorvolare, pensare con i piedi e smettere di sversare veleni dalla mente. Per quanto è possibile, dobbiamo immaginare la terra rorida. Glielo dobbiamo. Speriamo che tutte le voci poetiche, le acque anonime, si levino, come il coro di una antica tragedia, e bagnino di grazia la terra assetata.

20 marzo 2023

" Operatori e cose" di Barbara O'Brien

di Marigabri

        Negli anni Cinquanta una giovane donna americana, intelligente, attiva, perspicace, si trova improvvisamente a interagire con una serie di personaggi che dicono di chiamarsi Operatori e che cominciano a suggerirle con forza tutto quello che lei deve fare.

       Ad esempio licenziarsi dall’azienda presso cui lavora, cominciare una lunga e rapida fuga su aerei e autobus che la porteranno dall’altra parte degli States, rispondere coerentemente a medici, psicologi e impiegati di banca senza esserne razionalmente consapevole e, insomma, via via a partecipare di un mondo parallelo in cui Operatori occulti agiscono sulle Cose (gli esseri umani) manipolando i loro pensieri, condizionando i loro desideri, impadronendosi infine della loro vita quotidiana per manovrarla a loro insaputa.

       Solo lei può vederli e ascoltare i loro incessanti discorsi. Da impazzire, no? E infatti.

       Questa inaudita esperienza diventa una sorta di una proiezione del potere assoluto dell’inconscio: prende la forma di una rappresentazione teatrale che si agita dentro il cervello.

        Il teatro però è la realtà ed è sulla realtà che gli Operatori inducono la loro “Cosa” ad agire. Il rischio è di essere presi in ostaggio dall’istituzione psichiatrica che per “curare” la schizofrenia, al tempo degli eventi, non ha altri mezzi che l’elettroshock.

       Lucidamente riassume Barbara O’Brien: “la vostra mente è scissa e la sua parte subconscia, non più sottoposta al vostro controllo consapevole, mette in scena uno spettacolo privato solo per voi. […]  La sola cosa che vi può aiutare a quel punto è il demone al comando: la vostra stessa mente inconscia.”

       Ed è proprio seguendo le direttive della mente inconscia, i cui frammenti si personalizzano diventando Operatori, che Barbara riuscirà a guarire dalla schizofrenia: quando i personaggi finalmente si dissolveranno e la sua mente diventerà una spiaggia vuota dove un remoto sciabordio di onde si tradurrà in linguaggio intuitivo mostrandole via via i modi per uscire dalla gabbia della sua mente.

       Negli anni Settanta l’autrice, usando uno pseudonimo, scrive questo resoconto, raccontando non solo la sua esperienza di allucinante scissione schizofrenica ma anche azzardando delle ipotesi sul suo significato : come se il lavoro dell’inconscio fosse quello di riparare i guasti mentali prodotti dalla pressione di un ambiente lavorativo dominato da feroce competizione e bieco arrivismo, nel tentativo di giungere alla salvezza dell’integrità individuale in senso lato.

       E poiché le cause della schizofrenia e i processi per giungere alla sua guarigione sono ancora oggi soltanto delle ipotesi, il dettagliato racconto della malattia e lo studio intrapreso dalla O’Brien sul suo stesso caso è un’esperienza di lettura quanto mai insolita e affascinante.

Barbara O'Brien. Operatori e cose. Adelphi.

 

19 marzo 2023

"Se piovessero stelle su questo deserto" di Javier Zamora

 

di Giulietta Isola

“Questo libro è per ogni migrante che ha crossato, che ci ha provato, che lo sta facendo in questo momento e che continuerà a provarci.”

        L’intenso memoir del poeta ed attivista salvadoregno Javier Zamora, è una “autobiografia” del confine raccontata a molti anni di distanza. 

        Javier è stato un piccolo migrante che ha dovuto diventare grande troppo in fretta. E’ nato in una piccola città nel 1990 durante la guerra civile ,suo padre fugge negli Stati Uniti nel 1991, seguito da sua madre che lo affida , a soli cinque anni, alle amorevoli cure dei nonni e delle zie. All’età di 9 anni i genitori gli chiedono di raggiungerli in California, il piccolo Javier con molta paura, ma un certo ardore, inizia il viaggio da solo. Per sette settimane si muove tra El Salvador egli Stati Uniti affidato ai coyotes, trafficanti di migranti messicani, sparisce agli occhi dei suoi cari e prova da solo e con l’aiuto di persone sconosciute a conquistare il suo personale confine. 

        Sette settimane di viaggio che Zamora racconta giorno per giorno, ora per ora, minuto per minuto come uno che non può permettersi di dimenticare, il confine è una linea che lo abita e un nastro di filo spinato in cui rimangono impigliati i sogni ed i desideri. Il confine è un deserto di notte, un mare tempestoso, un muro da scavalcare, ma è soprattutto un nome, un’identità, un’appartenenza da rinegoziare con sé stessi e Javier, come attraverso una lunghissima seduta psicoanalitica, arriva nel luogo agognato per la seconda volta attraverso le pagine di questo libro. E’ stato un minore non accompagnato in cerca di una patria, come il molti che arrivano da noi. E’ solo, si unisce ad un gruppo di adulti e bambini che si spostano verso nord e lo aiutano nel suo percorso iniziatico, da loro riceve sostegno e consigli. Impara a leggere il linguaggio della luna e delle stelle, a dire bugie per non farsi scoprire come straniero, impara una lingua fatta di poche parole necessarie per afferrare finalmente un’altra identità. 

        Zamora crea una lingua mista che unisce inglese, spagnolo, modi di dire locali, una lingua che incanta per il suo grande potere immaginifico, una lingua fatta di parole magiche come crossar, ovvero attraversare la linea invisibile che separa due mondi, passare dall’altro lato per ricongiungersi ai propri genitori e in definitiva a sé stesso. Javier deve ricostruire il nido famigliare, superare quella linea che taglia in due gli affetti. Nella sua cittadina nonni, zie, cugini hanno cercato di non fargli rimpiangere troppo l’assenza dei genitori, ma una volta in viaggio la sua famiglia sono persone come Carla, Patricia, Chino, con loro condividerà un’avventura paurosa ed emozionante , il cui punto di arrivo si avvicina e si allontana ripetutamente come in sogno o in un gioco in cui basta sbagliare una mossa per essere ricacciato indietro. Javier detto Chepito, sparisce dalla storia e dalla geografia per sette settimane, nessuno ha più notizie di lui né in El Salvador né negli Stati Uniti, è un clandestino che non ha diritti perché non è nessuno, un fantasma in cerca di una casa. 

        Vorrei che chi è costretto a lasciare la propria terra possa accedere a una qualche forma di status legale nel luogo di accoglienza, che non debba vivere nell’ombra, che abbia diritto ad avere diritti. La migrazione non riguarda solo i trecento milioni di migranti. È la grande sfida di questo tempo. Se non le diamo una risposta umana, falliamo come singoli e come società. 

       Libro preciso ed acuminato, profondamente umano.

SE PIOVESSERO STELLE SU QUESTO DESERTO DI JAVIER ZAMORA EDIZIONI UTET