di
Marisa Cecchetti
E’ una caratteristica della intelligenza umana
cercare soluzioni ai problemi. Se ciò che si fa non risolve il problema in sé
ma aiuta ad affrontarlo, a sopportarlo, lo aggira, è già una vittoria.
Così Marina Luciani, romana, laureata in
pedagogia, impegnata in ambito culturale, sociale, educativo, ha trasformato il
periodo lungo e pesante di confinamento da Covid 19 in un’occasione, quella di
recuperare tutta la storia di famiglia, “li maggior” suoi, andando indietro
fino ai bisnonni, per arrivare ai giovani della sesta generazione dei Luciani.
Si parte dai bisnonni Paolo Luciani e Maria Vincenza
Todini, originari della Ciociaria, e dal
loro figlio Antonio -nonno Antonio- classe 1881, che, reduce dalla guerra di
Libia, segue le orme di un fratello già emigrato negli Stati Uniti. Di lì
ritorna qualche anno più tardi, vedovo di una giovanissima moglie e con due
bimbi piccoli. In Ciociaria vive nella “casa del fossato” dove nel ’23 nasce il
padre di Marina, Giuseppe.
E’ proprio sulla figura di Giuseppe e di suo
fratello Ferdinando - Nando - che si sofferma la scrittrice, uomini di
sinistra, comunisti della prima ora quando il comunismo era inteso nel senso
letterale di giustizia e uguaglianza, di recupero delle classi sociali più deboli.
Tuttavia lei non trascura il vasto gruppo familiare che annovera davvero persone di
spicco, ognuna nella propria professione, si tratti di, chi, come Nando, oltre all’impiego d’ufficio, fa anche il direttore
di una testata, o di un sindacalista dalle idee innovative come Giuseppe, di
uno scrittore come il cugino Luciano, un architetto come il fratello Roberto
“produttore di iniziative culturali che necessiterebbero pagine e pagine”, una psicologa
e psicoterapeuta come la cugina Tiziana, un giornalista RAI come il cugino
Paolo, un medico come Remo figlio di Luciano, e tanto altro ancora. Con apertura alla
creatività delle ultime generazioni.
Questa storia familiare si sviluppa sullo sfondo del
ventesimo secolo legandosi alla grande Storia, con tutti gli eventi che l’hanno
caratterizza, per cui parecchi dei nostri personaggi hanno vissuto momenti di
enormi difficoltà legati alla guerra, alla miseria ed alla ricostruzione, agli
anni degli scontri sociali violenti, momenti che richiedevano capacità di decidere
e di riprogrammare, di trovare soluzioni. Ed anche di elaborare lutti. Senza
mai perdere la forza e la fiducia nelle proprie idee.
Del resto il contesto familiare in ogni
generazione è stato formativo, in quanto ha sempre offerto esempi di curiosità,
impegno, serietà, non disgiunti da intelligenza della mente e del cuore.
Intanto il liber familiaris ci fa muovere per la Ciociaria e per i quartieri
di Roma dietro a famiglie che cercano una sistemazione, che magari aprono la
porta per accogliere parenti in difficoltà.
Così ho avuto occasione di conoscere meglio - più
che occasione lo definisco dono - una persona amica che frequento da anni per la
condivisione di interessi letterari, il professor Luciano Luciani, persona
riservata e gentile, insegnante, scrittore, che ama la letteratura, la ricerca storica su vasto
raggio, presenza ideativa e costitutiva di eventi culturali di rilievo, ultimo
dei quali il Premio Letterario Viareggio Repaci 2021.
Vederne le foto mentre gioca col cuginetto,
conoscerne i genitori Nando e Aminta -la mamma di cui parla sempre, ora centenaria- tutta la sua
bella famiglia fino ai nipoti Matteo e Jacopo a cui qualche volta accenna con
il giusto orgoglio di nonno, ecco, tutto questo mi ha dato gioia.
“Una bella ragazza, Aminta, - scrive Marina- dai
lunghi capelli castani e dal nome maschile in omaggio a suo padre Amintore,
ufficiale postale”, che purtroppo rimane orfana da bambina di tutti e due i
genitori e cresce a Livorno in un Istituto per i figli dei dipendenti delle
Poste”.
Non lo avrebbe mai fatto Luciano direttamente, questo
disvelamento del passato, ne sono sicura,
invece lo fa in queste pagine, intervenendo per raccontare con parole sue:
“Comunista a modo suo, Nando. Insofferente com’era, si è sempre tenuto lontano
dai rituali della vita di partito, non mancando mai, però, di rinnovare la sua
iscrizione al Pci presso la sede più vicina! […] L’iscrizione di Nando al Pci
risale al 1944, con i tedeschi ancora a Roma”.
Sono tempi difficili anche per la crescita di
Luciano che nasce pochi anni più tardi: la madre non ha latte, si fanno
miracoli per trovare quello in polvere e una “mamma di latte”.
Ma essere figlio di un comunista comportò una forma di emarginazione dei fratelli -Luciano,
Paolo, Tiziana- a cui era impedita “la frequentazione dei coetanei “perbene” o
ritenuti tali”; addirittura nel 1965 espose
Luciano ed alcuni compagni di liceo alle violenze di una “squadraccia di
picchiatori neofascisti, perché redattori di una giornalino scolastico con
articoli di dichiarato antifascismo”, la cui pubblicazione era stata agevolata
dal padre Nando, direttore di un periodico di varia umanità “Primi Piani”.
Del resto -scrive Luciano- senza mai avere imposto
“le sue convinzioni ideali e politiche[…]non ci nascondeva il suo modo di
pensare”. Individualmente e liberamente i tre fratelli si schierarono dalla
stessa parte de padre.
Una famiglia numerosa dai molteplici interessi,
quella dei Luciani, che fa piacere scoprire e di cui il libro riconosce
giustamente i meriti semplicemente raccontandola, i cui componenti si sono
distinti sempre per l’amore e la diffusione della cultura, per il legame di
solidarietà che li ha uniti, ma soprattutto per l’impegno sociale, per il loro
agire volto alla tutela dei diritti delle persone e in modo particolare dei
lavoratori. E per la coerenza tra idee e scelte di vita.
Marina Luciani, Tra contagio e memoria. Liber familiaris, Edizioni La Grafica
Pisana 2021, pag.112, € 12,00