27 ottobre 2021

“Questo immenso non sapere” di Chandra Candiani

 


di Carla Rosco

            Di Chandra Candiani (Milano, 1952), ormai nota poetessa e pensatrice, è uscito un nuovo libro, da tenere a portata di mano. Questo immenso non sapere - conversazioni con alberi, animali e il cuore umano è dedicato agli asini, a conferma della capacità di Chandra di essere profonda e leggera, seria e divertente.

     In una intervista, a proposito della sua famiglia (la madre è di San Pietroburgo) racconta: “Sono cresciuta in una famiglia folle e aggressiva... Ma sono le violenze sottili, i sottotesti, le menzogne che non sopporto. Sono sensibile alla falsità, alle doppie facce, alle cortesie che nascondono prepotenza... trasparenza e semplicità sono per me necessarie”

      Chandra è nutriente, Chandra si prende cura di sé e quindi degli altri: “Poter inviare il bene da lontano, e inviarlo con precisione, far di noi dei disciplinati postini che consegnano a domicilio anche nelle ore notturne auguri di bene, vicinanze trasparenti, strette delicatissime, carezze. E molti mantelli custodi”.

     Nell’introduzione ci viene raccontato dall’autrice che leggeremo un libro disordinato, lasciato così perché ogni disordine ha un suo ordine interno e misterioso, non solo, ma anche perché il disordine vuol dire che non c’è niente da dimostrare: come un animale o come un albero della foresta che non si curano di avere uno scopo, sono in vita e basta. Il libro può essere aperto a qualunque pagina e in ognuna si sente la voce straordinaria di Chandra: “Quando ero giovane, ero quasi muta, imbarazzavo tutti con il mio silenzio, finché non sono arrivata in India. E con gli indiani, che sono molto chiacchieroni... abbiamo cominciato a ridere dei miei silenzi. D’altra parte li facevano anche loro, ma erano silenzi senza tensione, silenzi da animali... Ho imparato una parola che ride, ma non deride, un silenzio insieme”.

      Chandra (in sanscrito vuol dire luna, e questo nome le fu dato dal suo primo maestro, nel 1986) ha una notevole produzione di traduttrice di testi buddisti, del resto il buddismo è fondamentale nelle sue scelte di vita e di pensiero.

      Fra i libri che l’hanno fatta conoscere e stimare ricordo “La bambina pugile ovvero la precisione dell’amore” (Einaudi, 2014), “Il silenzio è cosa viva. L’arte della meditazione” (Einaudi, 2018), “Ma dove sono le parole? Le poesie scritte dai bambini delle periferie multietniche di Milano” insieme ad Andrea Cirolla (Effigie 2015).      

     Chandra Candiani. Questo immenso non sapere - conversazioni con alberi, animali il cuore umano. Einaudi  euro 12

 

 

26 ottobre 2021

"Di chi è la colpa" di Alessandro Piperno

 di Marigabri

Un narratore senza nome di impronta proustiana una volta adulto rammemora gli anni cruciali della sua formazione, quando il passaggio dall’infanzia alla giovinezza attraversa i perigliosi territori dell’adolescenza. Se la famiglia di origine è piuttosto strampalata o, per dirla con appropriato linguaggio tecnico, disfunzionale, ecco che il racconto si fa succulento e quanto mai vario.

Se poi il problema è conoscere (o misconoscere) se stessi, cercare il proprio posto nel mondo ma essere disposti alla menzogna e al tradimento per ottenere uno status che brilli come uno specchietto per allodole sopra la patina dell’apparenza; se il tema della colpa si innesta nella storia delle persecuzioni del popolo perseguitato per eccellenza e se il riscatto passa attraverso l’ostentazione, lo snobismo e l’arte di succhiare dalla vita ogni piacere; se insomma la storia si dirama e si incanala nei meandri delle questioni essenziali e esistenziali più umane (o troppo umane), ecco che la lettura diventa una sorprendente esplorazione di sé attraverso la declinazione di un mondo inventato da un altro.

Onore all’intelligenza acuminata dell’autore, ca va sans dire. Che produce ancora una volta l’incantesimo della letteratura come “virtute e canoscenza”.

La storia più vicina all’autobiografia che Piperno abbia scritto è probabilmente questa: un ragazzino silenzioso e introspettivo con la scrittura nel sangue (ma lui ancora non lo sa) è diviso fra le due componenti del suo nucleo familiare: una madre ebrea (ma lui ancora non lo sa), professoressa integerrima, laconica, che conserva silenziosamente il suo segreto: avere ripudiato le sue origini giudaiche e altoborghesi per amore; un padre espansivo e tenero, gigante biondo inconcludente e insensatamente ottimista, con la passione per la musica, la trasgressione creativa e, ahimè, l’alcol.

Mai combinazione poteva essere più esplosiva, potenzialmente distruttiva, borderline e -insomma- sostanzialmente infelice.

Se ne accorgerà il nostro ragazzo, nel momento in cui la sua condizione di sfigato, poiché figlio di sfigati, potrà miracolosamente virare verso il suo esatto contrario: ad attenderlo c’è un mondo rilucente di ricchezza e privilegi a cui la ribellione materna lo aveva sottratto. Gli orizzonti improvvisamente si ampliano, in senso geografico e umano. Le contraddizioni diventano occasione di riflessione e potenti stimoli al cambiamento. Poi il dramma, la tragedia. La svolta improvvisa e inattesa.

E qui la storia si complica, si amplifica, apre la strada verso molti temi, fra cui quello della vergogna e della colpa, asse strutturale ed elemento coagulante di tutte le variazioni che costituiscono questa tessitura raffinata e complessa.

Perché il romanzo è veramente un romanzo secondo il canone classico e Alessandro Piperno sa muoverne i fili con destrezza.

Il difetto, a mio parere, è la ridondanza. Nello stile, nelle divagazioni, nelle diversioni saggistiche, elementi nei quali il compiacimento dello scrittore per la propria scrittura sembra sovrastare la voce del narratore. C’è qualcosa di esagerato, insomma, nella forbitezza formale, qualcosa che tocca il limite della pedanteria.

Ma alla fine, al netto di questi eccessi (formula che Piperno è solito usare), resta il piacere di leggere un romanzo attuale, articolato e affascinante

Di chi è la colpa. Alessandro Piperno. Mondadori

21 ottobre 2021

“Tra contagio e memoria. Liber familiaris” di Marina Luciani

 

di Marisa Cecchetti

               E’ una caratteristica della intelligenza umana cercare soluzioni ai problemi. Se ciò che si fa non risolve il problema in sé ma aiuta ad affrontarlo, a sopportarlo, lo aggira, è già una vittoria.

           Così Marina Luciani, romana, laureata in pedagogia, impegnata in ambito culturale, sociale, educativo, ha trasformato il periodo lungo e pesante di confinamento da Covid 19 in un’occasione, quella di recuperare tutta la storia di famiglia, “li maggior” suoi, andando indietro fino ai bisnonni, per arrivare ai giovani della sesta generazione dei Luciani.

            Si parte dai bisnonni Paolo Luciani e Maria Vincenza Todini,  originari della Ciociaria, e dal loro figlio Antonio -nonno Antonio- classe 1881, che, reduce dalla guerra di Libia, segue le orme di un fratello già emigrato negli Stati Uniti. Di lì ritorna qualche anno più tardi, vedovo di una giovanissima moglie e con due bimbi piccoli. In Ciociaria vive nella “casa del fossato” dove nel ’23 nasce il padre di Marina, Giuseppe.

            E’ proprio sulla figura di Giuseppe e di suo fratello Ferdinando - Nando - che si sofferma la scrittrice, uomini di sinistra, comunisti della prima ora quando il comunismo era inteso nel senso letterale di giustizia e uguaglianza, di recupero delle classi sociali più deboli. Tuttavia lei non  trascura  il vasto gruppo  familiare che annovera davvero persone di spicco, ognuna nella propria professione, si tratti di, chi, come Nando,  oltre all’impiego d’ufficio, fa anche il direttore di una testata, o di un sindacalista dalle idee innovative come Giuseppe, di uno scrittore come il cugino Luciano, un architetto come il fratello Roberto “produttore di iniziative culturali che necessiterebbero pagine e pagine”, una psicologa e psicoterapeuta come la cugina Tiziana, un giornalista RAI come il cugino Paolo, un medico come Remo figlio di Luciano,  e tanto altro ancora. Con apertura alla creatività delle ultime generazioni.

           Questa storia familiare si sviluppa sullo sfondo del ventesimo secolo legandosi alla grande Storia, con tutti gli eventi che l’hanno caratterizza, per cui parecchi dei nostri personaggi hanno vissuto momenti di enormi difficoltà legati alla guerra, alla miseria ed alla ricostruzione, agli anni degli scontri sociali violenti, momenti che richiedevano capacità di decidere e di riprogrammare, di trovare soluzioni. Ed anche di elaborare lutti. Senza mai perdere la forza e la fiducia nelle proprie idee.

           Del resto il contesto familiare in ogni generazione è stato formativo, in quanto ha sempre offerto esempi di curiosità, impegno, serietà, non disgiunti da intelligenza della mente e del cuore. Intanto il liber familiaris ci fa muovere per la Ciociaria e per i quartieri di Roma dietro a famiglie che cercano una sistemazione, che magari aprono la porta per accogliere parenti in difficoltà.

          Così ho avuto occasione di conoscere meglio - più che occasione lo definisco dono - una persona amica che frequento da anni per la condivisione di interessi letterari, il professor Luciano Luciani, persona riservata e gentile, insegnante, scrittore, che ama la  letteratura, la ricerca storica su vasto raggio, presenza ideativa e costitutiva di eventi culturali di rilievo, ultimo dei quali il Premio Letterario Viareggio Repaci 2021.

            Vederne le foto mentre gioca col cuginetto, conoscerne i genitori Nando e Aminta -la mamma di cui  parla sempre, ora centenaria- tutta la sua bella famiglia fino ai nipoti Matteo e Jacopo a cui qualche volta accenna con il giusto orgoglio di nonno, ecco, tutto questo mi ha dato gioia.

            “Una bella ragazza, Aminta, - scrive Marina- dai lunghi capelli castani e dal nome maschile in omaggio a suo padre Amintore, ufficiale postale”, che purtroppo rimane orfana da bambina di tutti e due i genitori e cresce a Livorno in un Istituto per i figli dei dipendenti delle Poste”.

            Non lo avrebbe mai fatto Luciano direttamente, questo disvelamento del  passato, ne sono sicura, invece lo fa in queste pagine, intervenendo per raccontare con parole sue: “Comunista a modo suo, Nando. Insofferente com’era, si è sempre tenuto lontano dai rituali della vita di partito, non mancando mai, però, di rinnovare la sua iscrizione al Pci presso la sede più vicina! […] L’iscrizione di Nando al Pci risale al 1944, con i tedeschi ancora a Roma”.

               Sono tempi difficili anche per la crescita di Luciano che nasce pochi anni più tardi: la madre non ha latte, si fanno miracoli per trovare quello in polvere e una “mamma di latte”.

          Ma essere figlio di un comunista comportò  una forma di emarginazione dei fratelli -Luciano, Paolo, Tiziana- a cui era impedita “la frequentazione dei coetanei “perbene” o ritenuti tali”; addirittura  nel 1965 espose Luciano ed alcuni compagni di liceo alle violenze di una “squadraccia di picchiatori neofascisti, perché redattori di una giornalino scolastico con articoli di dichiarato antifascismo”, la cui pubblicazione era stata agevolata dal padre Nando, direttore di un periodico di varia umanità “Primi Piani”.

             Del resto -scrive Luciano- senza mai avere imposto “le sue convinzioni ideali e politiche[…]non ci nascondeva il suo modo di pensare”. Individualmente e liberamente i tre fratelli si schierarono dalla stessa parte de padre.

             Una famiglia numerosa dai molteplici interessi, quella dei Luciani, che fa piacere scoprire e di cui il libro riconosce giustamente i meriti semplicemente raccontandola, i cui componenti si sono distinti sempre per l’amore e la diffusione della cultura, per il legame di solidarietà che li ha uniti, ma soprattutto per l’impegno sociale, per il loro agire volto alla tutela dei diritti delle persone e in modo particolare dei lavoratori. E per la coerenza tra idee e scelte di vita.

 Marina Luciani, Tra contagio e memoria. Liber familiaris, Edizioni La Grafica Pisana 2021, pag.112, € 12,00

 

 

 

19 ottobre 2021

"Lo sguardo avanti" di Abdullahi Ahmed


di Giulietta Isola

"Sono Abdullahi Ahmed, sono nato a Mogadiscio, in Somalia. Voglio raccontarvi una parte della mia storia che a me piace definire “la ricerca della felicità”.

          Abdullahi Ahmed parte da Mogadiscio a 19 anni, la sua nazione è nel pieno di una guerra civile nella quale, come spesso succede, è difficile capire le forze in campo e vedere una speranza oltre agli attentati e alla distruzione. Desidera proseguire la sua istruzione, costruire un futuro migliore per se e per i suoi fratelli rimasti in Somalia. Il viaggio che affronta passa attraverso l’inferno del Sahara, la Libia e un attracco a Lampedusa dove verrà accolto e caricato su un aereo per la destinazione che qualcuno ha pensato per lui: la provincia di Torino, Settimo Torinese. Qui inizia il suo nuovo percorso di formazione e integrazione per diventare un cittadino attivo e responsabile, si dedica al lavoro di mediatore culturale e va nelle scuole per parlare di migrazioni, accoglienza, culture, popoli, diritti. Nel 2016 diventa cittadino italiano. 

           Questo piccolo libro è esemplare di un percorso in cui paura ed incertezza per il futuro si uniscono a speranza e gioia di lavorare insieme ad altre persone per costruire nuove opportunità, creare ponti e nuove modalità di convivenza. 

          I traguardi raggiunti da Abdullahi sono l’ideazione del Festival dell’Europa e del Mediterraneo a Ventotene e l’associazione Generazione Ponte con la quale fa dialogare i ragazzi somali con quelli italiani, per scambiare punti di vista ed esperienze, guardando all’Europa come luogo del possibile. 

           L’ultimo traguardo è il suo imminente ritorno in Somalia (ritardato dalla pandemia) con alcune borse di studio per i ragazzi di Mogadiscio che ancora devono costruire il proprio mondo, grazie a queste altri giovani somali potranno puntare lo sguardo avanti e costruire un futuro migliore. 

          Migranti e rifugiati sono tema predominante nel dibattito politico, sono uno strumento di battaglia politica particolarmente pericoloso di questi tempi grazie ai mezzi di comunicazione potenti e performanti , ma dialogare e ripristinare la fiducia sono una occasione unica da non perdere per costruire assieme una visione diversa del mondo che contempli una società più aperta con meno disuguaglianze ed anche più sostenibile. 

           Anche per questo Lo sguardo avanti è un testo prezioso che dovrebbe essere in dotazione a ogni scuola dato che risponde ad un dovere fra i più importanti “partecipare al percorso di crescita della società”.

         “Le parole non sono mai sbagliate , è l’uso che ne facciamo che può essere sbagliato , che può deformare il fatto che viene raccontato. Nel racconto delle migrazioni è sempre successo che le parole disegnassero il fenomeno con una forma diversa da quella reale” Carta di Roma

LO SGUARDO AVANTI di ABDULLAHI HAMED ADD EDITORE