03 dicembre 2024

"Si può Si deve" di Mario Ciancarella

 


di
Luciano Luciani

                                         La drammatica “storia di vita” di Mario Ciancarella, Si può Si deve – L’ufficiale democratico che ha sfidato l’infedeltà di Stato,  che si avvale della prefazione di Giovanni Maria Flick, già ministro della Giustizia e presidente della Corte Costituzionale, segnalato per la sezione saggistica del premio Viareggio-Repaci 2024, targa speciale del Comune di Viareggio per l’impegno civile, finalista al Premio Leogrande 2025, racconta una vicenda personale che attraversa l’ultimo mezzo secolo e alcune tra le più tragiche, dolorose e inesplicabili vicende del nostro Paese. E segnatamente quella del Monte Serra (3 marzo 1977), quando un Hercules C-130 si schiantò con 38 cadetti dell’Accademia Navale di Livorno, un accompagnatore e quattro uomini d’equipaggio, e quella, tristemente nota e continuamente riaffiorante all’attenzione dell’opinione pubblica, di Ustica (27 giugno 1980) in cui un areo civile, un DC-9 Itavia in volo da Bologna a Palermo, venne misteriosamente abbattuto nei cieli siciliani.

               Il sincero desiderio dell’allora giovane capitano dell’Aeronautica, motivato da un coerente senso dello Stato e dalla sua passione per la verità e la giustizia, di arrivare, nell’un caso e nell’altro, a spiegazioni conformi alla realtà dei fatti si scontrarono sempre con l’opacità dei Comandi e gli costarono prima l’arresto, poi la radiazione dall’Arma Azzurra, avvenuta sulla base di un decreto firmato dall’allora presidente della Repubblica Sandro Pertini. Un documento che si avvale, però, di una firma giudicata falsa nel 2016 dal Tribunale di Firenze. Una sentenza definitiva che accerta la falsa sottoscrizione di un provvedimento che è da considerarsi privo di valore e che, dopo 33 anni di discredito, ha restituito al capitano Ciancarella credibilità e pubblica dignità. Il libro di Ciancarella è la storia di un golpe italiano che nessuno ha mai avuto il coraggio di raccontare. Pagine che sollevano dubbi inquietanti, che pongono domande serie, che fanno emergere contraddizioni e scenari preoccupanti. Un libro-verità forte nei contenuti, incalzante nel susseguirsi dei fatti, che prende alla gola il Lettore e ben svela di che lacrime grondi e di che sangue il potere politico-militare nel nostro Paese. Pagine, rispetto alle quali continua a stupire - e a inquietare - l’immotivato e pervicace il silenzio delle istituzioni.

 

Mario Ciancarella, Si può Si deve - L’ufficiale democratico che ha sfidato l’infedeltà di Stato, prefazione di Giovanni Maria Flick, Edizioni Pigreco, Roma 2024, pp. 310, Euro 20,00

 

27 novembre 2024

" Dalla parte di Alba" di Michela Monferrini

 


di Giulietta Isola

   “Io ho sempre scritto ciò che sentivo di vivere nella mia essenza, nella parte più profonda di me. Non le cose come le viveva questo corpo ormai vecchio, ma come le viveva il mio spirito. Nei racconti, nei romanzi, io facevo... il ritratto di stati d'animo che avevo vissuto, ecco. Ma dentro a una cornice, dentro storie, dentro personaggi del tutto inventati, che mi servivano come contenitori.”

       La protagonista di questa biografia letteraria è una grande autrice del Novecento italiano, rimasta un po’ ai margini del nostro canone femminile Alba de Cespedes, di madre romana e padre cubano. Queste pagine sono un racconto equilibrato della sua vita e la genesi dei suoi libri. 

       L’autrice immagina che pochi anni prima della morte di Alba, avvenuta nel 1997 a Parigi, dove aveva scelto di vivere fin dagli anni Sessanta, Lena, una studentessa universitaria, bussi al suo portone di quai de Bourbon per intervistarla per la sua tesi di laurea . 

        Lena non ha conosciuto suo padre e ha un rapporto conflittuale con la madre, ha già una bambina da crescere e confuse ambizioni letterarie. Alba esercita su di lei un grande fascino, ma anche la grande scrittrice subisce la malia di questa sconosciuta intimidita che le ispira subito una forte confidenza tanto da scegliere di ripercorrere la sua esistenza fin dalla singolare infanzia italo cubana che l’ha resa uno spirito libero e cosmopolita. 

        Fin da piccola è affidata alle cure della zia, il padre, membro di una influente famiglia, decide con la moglie di tornare a vivere a Cuba ed entrambi tornano in Europa solo sporadicamente. Così Alba cresce divisa fra due mondi, molto amata ma in maniera assai poco convenzionale. Nella grande casa del quartiere romano di Prati dove cresce, fin da ragazzina ama scrivere racconti e poesie. Si sposa e diventa madre giovanissima , un matrimonio presto naufragato, a 19 anni si ritrova ad abitare vicino a Piazza di Spagna in un pensionato di suore con il suo bambino, il padre da lontano le assicura un assegno di mantenimento e una bambinaia in modo che lei possa dedicarsi alla scrittura. 

       Lavora per il Messaggero, pubblica una raccolta di racconti, nel 1939 vince il Premio Viareggio, vittoria poi annullata, chiaro segnale di quanto Alba sia invisa al regime; nel 1938 è rinchiusa brevemente nella sezione femminile del carcere di Regina Coeli. Durante la seconda guerra mondiale ripara in Abruzzo con il nuovo compagno, poi lavora per gli Alleati in radio con lo pseudonimo di Clorinda. Nel dopoguerra scrive per Epoca, scrive il suo romanzo più famoso e conosce tutto il mondo dell’editoria italiana, poi si trasferisce a Parigi ove continua a lavorare fino alla fine senza mai perdere la sua maschera quella di donna brillante.

        I viaggi, gli amori, il figlio, tutto è importante ma mai al centro della scena. Al centro della scena di Alba, c’è Alba, ma non per narcisismo, piuttosto per il demone che la divora e che si chiama letteratura, per quel desiderio di trasferire sulla pagina ciò che le sta intorno, ciò che vive, ciò che gli altri e soprattutto le altre vivono. La contraddizione lacerante di voler essere nel mondo e al tempo stesso lasciar fuori tutto per dedicarsi alle parole, la descrive lei stessa nella sua frase scelta dalla Monferrini a esergo di questa biografia:  Lo scrittore è uno che sta bene solo, o con pochi amici, che si annoia in società e che quando è costretto ad andarvi rientra di pessimo umore, rimpiangendo il tempo perduto.”

 Alba de Céspedes è la protagonista di un romanzo che è anche una riflessione sul senso della scrittura come eredità di una vita.

DALLA PARTE DI ALBA di MICHELA MONFERRINI EDITORE PONTE ALLE GRAZIE

25 novembre 2024

" I pipistrelli" di Inès Cagnati

 

di Marigabri

“Io ballo e canto, giro sempre più veloce, giro e tocco il cielo matto, giro e il sole saltella per la gioia, le siepi vacillano, gli alberi si ribaltano, cado in mezzo ai petali caldi di sole”.

    Inès Cagnati, figlia di migranti veneti, nasce in una imprecisata zona dell’Aquitania e, insieme alle tre sorelle, vive un’infanzia povera ed emarginata nella sperduta campagna francese. E di questo prevalentemente scrive in questi racconti magici e magnetici.

   Sono gli anni Quaranta, l’ambiente sociale è ostile, i padri sono pressoché ingrugnati e scontrosi, le madri dure e frettolose, le maestre manesche e vendicative. Le bambine invece, per il dono naturale di essere tali, sono (o potrebbero essere) leggiadre e felici, in completa sintonia con la natura, gli animali da cortile, l’acqua dei ruscelli, il cielo aperto e la terra dei campi.

    Ma il contorno umano non aiuta, l’asprezza dei tempi percuote la soavità naturale dell’infanzia, i piccoli drammi riguardano la perdita o l’abbandono degli animali, la pena per i genitori affaticati, ma anche la discriminazione a scuola, la miseria e la solitudine che testimoniano la dura vita da espatriati considerati come rifiuti sociali.

    Alcuni, tra i racconti, sono piccoli miracoli, soprattutto per il punto di vista della bambina che è la limpida voce narrante e ci conduce in una visione del mondo sradicata, intima e straniante, nel paese perduto e immortale dell’infanzia. Così La tacchinella, La bambina in azzurro (capolavoro), Le lucertole e L’infedele.

“Alla fine, il nonno e la nonna si risiedono sulla loro bella panchina bianca. Restano lì, con le mani in grembo, a guardare il volo vellutato dei pipistrelli nel crepuscolo violaceo.”

“Io ballo e canto, giro sempre più veloce, giro e tocco il cielo matto, giro e il sole saltella per la gioia, le siepi vacillano, gli alberi si ribaltano, cado in mezzo ai petali caldi di sole”.

Inès Cagnati, figlia di migranti veneti, nasce in una imprecisata zona dell’Aquitania e, insieme alle tre sorelle, vive un’infanzia povera ed emarginata nella sperduta campagna francese. E di questo prevalentemente scrive in questi racconti magici e magnetici.

    Sono gli anni Quaranta, l’ambiente sociale è ostile, i padri sono pressoché ingrugnati e scontrosi, le madri dure e frettolose, le maestre manesche e vendicative. Le bambine invece, per il dono naturale di essere tali, sono (o potrebbero essere) leggiadre e felici, in completa sintonia con la natura, gli animali da cortile, l’acqua dei ruscelli, il cielo aperto e la terra dei campi.

    Ma il contorno umano non aiuta, l’asprezza dei tempi percuote la soavità naturale dell’infanzia, i piccoli drammi riguardano la perdita o l’abbandono degli animali, la pena per i genitori affaticati, ma anche la discriminazione a scuola, la miseria e la solitudine che testimoniano la dura vita da espatriati considerati come rifiuti sociali.

    Alcuni, tra i racconti, sono piccoli miracoli, soprattutto per il punto di vista della bambina che è la limpida voce narrante e ci conduce in una visione del mondo sradicata, intima e straniante, nel paese perduto e immortale dell’infanzia. Così La tacchinella, La bambina in azzurro (capolavoro), Le lucertole e L’infedele.

“Alla fine, il nonno e la nonna si risiedono sulla loro bella panchina bianca. Restano lì, con le mani in grembo, a guardare il volo vellutato dei pipistrelli nel crepuscolo violaceo.”

 Inès Cagnati. I pipistrelli. Adelphi.

18 novembre 2024

" Come un taglio nel sale" di Erika Pucci

 


di Elisa Bertoni

                 Il romanzo di Erika Pucci, ambientato in una città di mare, in cui si può facilmente riconoscere Viareggio, dove vive l'autrice, prende le mosse da quelle che lo psicoanalista Jung non avrebbe esitato a definire “coincidenze significative”. La sincronicità con cui avviene l'incontro-scontro della protagonista Frida, sedicenne inquieta, con l'altrettanto inquietoVinnie, -ragazzo cui viene da lei assegnato l'epiteto “OcchioniBluMalinconia”- e la successiva apparentemente casuale conoscenza con Gilberto, -professore in pensione, che nasconde a stento un suo dolente cruccio interiore- rientra in quella serie di eventi che, pur non avendo una relazione causale ovvia, diventano significativi per chi li vive in quella loro aura di magia e di mistero, costringendo i personaggi a cercare risposte, assumersi responsabilità, colmare vuoti.  “Sedici anni, quasi diciassette, e una vita piena di fantasmi”: così esclama Frida nel momento in cui consapevolizza in modo perentorio che la sua esistenza è stata caratterizzata da un vuoto mai riempito con il cibo che spesso ingurgita nevroticamente e mai sopito dai tagli che si infligge; un'altra fame e un altro dolore non riescono a placarsi, quelli dell'assenza del padre.

         Sincronicità e Assenza sono dunque due parole-chiave: la prima permette la rifocalizzazione della seconda, uno strumento che dal dolore individuale, dalla storia personale si allarga in un abbraccio collettivo. Significativa l'affermazione: “A quel punto stava diventando la storia di tutti, perché i risvolti riguardavano ognuno al di là delle questioni personali” (pag. 90).
 

        Interessante è sottolineare il fatto che c'è un luogo fra i tanti che rappresenta una sorta di focolare in cui la maggioranza dei personaggi finisce per incontrarsi, conoscersi, familiarizzare: il Covo, descritto in modo gustoso attraverso i dialoghi realistici con cui tra una partita di burraco e un pettegolezzo spiritoso trascorrono del tempo alcuni pensionati, ed altrettanto interessante è evidenziare che ciò che permetterà lo sviluppo di una conversazione intergenerazionale è un passo dell'Odissea di Omero, per la precisione l'incipit, in cui si introduce il personaggio di Ulisse, il quale patì “innumerevoli sofferenze sul mare lottando per la sua vita e per il ritorno dei suoi”. E' Gilberto a proporre la versione giusta del brano omerico e, dopo qualche screzio, nasce una paterna simpatia con Frida e gli amici che la accompagnavano.
 

        E non è un caso che nella ricerca affannosa di notizie del padre Frida finisca per trovare una fotografia rivelatrice proprio nel libro Ulysses di Joyce, romanzo in cui i personaggi, incrociandosi tra loro in modo in apparenza casuale, determinano lo svolgimento dei vari eventi e li descrivono. Frida è dunque nello stesso tempo Telemaco alla ricerca del padre ed una novella Ulisse, così come Gilberto: con lui ingaggia una sorta di lotta per il ritorno dei loro cari, per un degno riconoscimento alla loro memoria e solo cosi sarà per loro possibile metaforicamente ritornare a casa.
 

       Nel romanzo si può ravvisare una sorta di spartiacque a metà libro. Per evidenziare questa felice sterzata che contribuisce non poco ad attrarre il lettore può essere utile fare riferimento ad altri due termini chiave: colpa (e il conseguente bisogno di espiazione) e verità.
Si leggano questi passaggi: “Il vetro sulla pelle era l'espiazione per il suo [di Frida] senso di colpa ancora non meglio identificato” (pag 5). E sempre Frida: “Si alzò le maniche, vide le croste sottili dei graffi... Le sarebbe piaciuto indossarle sempre come simbolo della sua colpa: quella di esistere” (pag. 22).
“Di fianco [Gilberto] scrutò la grande ruota panoramica a metà perché in via di smontaggio, sembrava una falce, era l'immagine di come si sentiva intimamente, per sempre incompleto. Alle sue spalle i cantieri già tacevano a differenza dei suoi sensi di colpa” (pag. 16).
E ancora Paola, la madre di Frida: “A volte si additava la colpa di non essere stata una madre abbastanza valida come con Aurora”(pag. 20).
 

        Come trovare espiazione al dolore originato dal senso di colpa? Frida e Gilberto, contrariamente a Paola che assume con il compagno Claudio il ruolo di antagonista, optano per la ricerca della verità; inizia così una vera e propria indagine con conseguente denuncia. Afferma Frida con fermezza: “Io
non rinuncio alla verità” (pag. 89). Solo la verità, unita al coraggio, alla caparbietà e alla talora fortunosa determinazione che ne permettono la scoperta, riuscirà nell'impresa di liberare i personaggi dal senso di colpa che li attanagliava. Finalmente Frida si riconcilia con l'assenza: “Quel demone che per anni era stata la sua ombra segreta nell'anima adesso era capace di guardarlo negli occhi, e imparare a conviverci. Non c'era niente da espiare”.
 

        Il taglio nel sale che dà il titolo al romanzo rappresenta con pregnanza visiva la sofferenza, ma nello stesso tempo il desiderio di squarciare il velo che nasconde il sale della vita, che è senso, autenticità dei sentimenti e giustizia.
Ed il sale è anche il mare, silenzioso ma onnipresente che, ritratto in modo ossessivo dal pittore Fulgor, non è solo ornamento paesaggistico ma vero e proprio personaggio per cui, su cui, in cui si muovono vite, passioni, viltà, crudeltà, riconciliazione. “Come l’acqua del mare porta via la risacca, così il sole, la leggerezza e la salsedine portarono via i sentimenti difficili e lasciarono a riva, come conchiglie preziose dopo la tempesta, solo ciò che avrebbe continuato a contare” (pag. 140).

Erika Pucci. Il taglio nel sale. GFE, 2024.