30 agosto 2014

“A life in pictures” di Douglas Kirkland


Douglas-Kirkland-Monograph

di Mimmo Mastrangelo

Un giovanissimo (appena ventiquattrenne) Douglas Kirkland pochi mesi prima che  Marilyn Monroe morisse realizzò con lei un memorabile portafolio di scatti.
Per festeggiare gli ottant’anni del  grande fotografo di origine canadese quei famosi clic alla superdiva di Hollywood vengono  riproposti al Festival di Venezia  nella mostra-evento “A life in pictures”, prodotta da Vanity Far insieme  all’Istituto Luce Cinecittà.

Era il pomeriggio del 17 novembre 1961 quando  Kirkland, accompagnato dai colleghi più esperti Jack Hamilton e Stanley Gordon, entrò nella modestissima abitazione della Monroe a Beverly Hills per realizzare un servizio fotografico  destinato alle pagine della famosa rivista “Look Magazine”. Ne uscì un reportage insuperabile con  scatti che sono entrati nella memoria collettiva, oltre che  nella storia della fotografia e del cinema. Senza flash  e grazie solo alla luce a giorno, Kirkland   riprende dall’alto della stanza e “a piano del pavimento”  una Monroe bellissima (il suo agente disse però  al fotografo che era sottopeso per dei recenti problemi di salute), distesa su un letto sfatto, avvolta  in un lenzuolo volutamente di seta e con lo sguardo puntato dritto all’obiettivo.

Ma sebbene le foto risaltino il fascino della superdiva, ogni fermo-immagine si riveste di un particolare ed indecifrabile  alone, quasi come se da ciascuno di esso  trasparisse quello stato di perenne inquietudine che affliggeva la donna. Kirkland  avvicina il suo occhio ad una creatura  dalla bellezza più spirituale che mortale, ma quello che sembra più intrigarlo   è cercare di  affondare con discrezione il suo sguardo nel mistero   che la Monroe racchiudeva oltre il suo corpo. “Mi trovavo a un passo dalla grande Dea – scriverà Kirkland – la bellezza voluttuosa di Marilyn aveva questa strana  caratteristica: non era davvero di questo mondo…La Marilyn Monroe con cui avevo  trascorso alcune ore aveva lasciato il segno su di me”.

Kirkland ritornò  a casa dell’attrice il giorno dopo e insieme visionarono i provini del reportage, ma il fotografo si trovò davanti un’altra donna. “ Quando la porta si aprì fui accolto da una persona completamente diversa da quella che mi ero aspettata. Era Marilyn, ma irriconoscibile. Portava gli occhiali scuri e una sciarpa legata intorno alla testa e quando parlò nella sua voce non c’era più musica. Sembrava esausta, sfinita e agitata…”.

Marilyn Monroe verrà trovata nella sua abitazione di Brentwood, a Los Angeles,  il 5 agosto del 1962, l’autopsia rivelerà la causa del decesso in un overdose di barbiturici.  “Avevo creduto di scoprire chi era davvero Marilyn   – confesserà ancora Kirkland – ma davanti alla donna triste e depressa che mi aveva accolto l’ultima volta per guardare con me le fotografie, mi ero dovuto rapidamente ricredere. Non ho mai saputo che fosse successo, ma mi era chiaro che non c’entrava niente con me e con la ragione della mia presenza lì”.

Gli  scatti di Kirkland esposti a Venezia sono in tutto ottantotto e oltre alle foto di Marilyn si potranno ammirare   quelle su Brigitte Bardot, Nicole Kidman, Suran Sarandon, Warren  Beatty, Raquel Welch, Elizabeth Taylor…



A Life in pictures- Douglas Kirkland. Lido di Venezia.  29 agosto- 6 settembre DOUGLAS KIRKLAND

26 agosto 2014

"Il sogno mancino" di Mario Pellegrini




di Luciano Luciani


            Per percepire l’incanaglimento diffuso ormai è sufficiente affacciarsi sul pianerottolo del condominio dove abitiamo, ma anche i rumori che ci arrivano dal condominio più grande, il mondo, non sono meno inquietanti. Segnali piccoli e grandi ci svelano come il nostro tempo si senta sempre più risentito e deluso sia verso le speranze di appena ieri, sia nei confronti di un presente color ‘grigio-desolazione’ e povero di attese. Dall’Europa del nord al Mediterraneo, dall’Ucraina al Medio oriente è tutto un rifiorire di nazionalismi anacronistici, regionalismi beceri, municipalismi gretti per non parlare dei fondamentalismi religiosi. Il vecchio continente, un tempo culla della civiltà e dei diritti, delle libertà e della tolleranza, sembra assistere indifferente al serpeggiare degli umori velenosi del razzismo, della xenofobia, dell’antisemitismo… Cupi, davvero cupi, questi primi quindici anni che hanno inaugurato il nuovo secolo e il nuovo millennio e tornano alla mente le parole di Primo Levi: “Esistono energie spaventose che dormono un sonno leggero”.

Diventa allora importantissimo, addirittura strategico, attivare al più presto i necessari contravveleni, gli indispensabili antidoti: ovvero lo straordinario potere della memoria.
Memoria, ma di cosa?

Per esempio, dei punti “alti” della storia del secolo scorso. Il ricordo delle vicende, degli eventi, dei protagonisti che hanno contribuito all’affermazione, sia pure faticosa, tormentata, contraddittoria, di idealità, valori, principi di libertà e giustizia, fraternità e solidarietà.

Procede in questa direzione un libro di Mario Pellegrini Il sogno mancino. Diario, ancora fresco di stampa ed edito nelle collana di Narrativa della Carmignani Editrice di Cascina. L’Autore, operaio oggi in pensione, è stato nei suoi anni più verdi sindacalista, dirigente politico, amministratore comunale. Un impegno civile a tutto tondo, il suo, non abbandonato neppure nell’età matura e che ha saputo prendere altre strade: per esempio quelle della scrittura, in versi, in prosa e in questa sua “autobiografia per frammenti” di un’utilissima memoria. Nel Sogno mancino Pellegrini, infatti, racconta di sé e della generazione dei figli dell’immediato dopoguerra: le ragazze e i ragazzi che alla metà degli anni sessanta tentarono un generoso – e sconfitto – “assalto la cielo”, la cui eco, nonostante sia trascorso ormai mezzo secolo, permane ancora nell’immaginario collettivo delle generazioni successive. Come fonte di ogni male per i conservatori e i reazionari d’ogni sorta, per molti, invece, ancora oggi il ricordo di uno straordinario processo di liberazione, personale e collettivo, dai vincoli di una società illiberale e ingiusta e dai ceppi di un costume arretrato e ipocrita.

Tornano nelle pagine di Pellegrini le ingiustizie subite da studente all’interno di una scuola autoritaria e classista, contrapposta alla severità di un altro tipo di educazione: quella, a suo modo, di eccellenza che si riceveva presso l’Istituto di studi comunisti di Bologna “Anselmo Marabini” dove si studiava per diventare dirigenti del Pci e gli insegnanti si chiamavano Giuliano e Giancarlo Pajetta, Nilde Iotti, Enrico Berlinguer, Giorgio Napolitano… L’Autore rievoca le lotte per la pace nel Vietnam e le manifestazioni antifasciste che connotarono la formazione politica e civile di un’intera generazione; poi i lunghi mesi, anche questi in un certo qual senso formativi, del servizio militare; gli anni degli impegni amministrativi in un piccolo Comune della provincia di Pisa; il lavoro, prima in una vetreria a conduzione cooperativa, la Genovali, poi presso le Fonderie Pisane dove Mario non manca mai di praticare e difendere i diritti dei lavoratori.

Pellegrini ripercorre tutte queste esperienze, senza tralasciare anche alcune dolorose vicende familiari, con la determinazione di sempre, la saggezza dell’uomo maturo, un’ironia tutta toscana sempre in punta di penna e la consapevolezza alta, sono parole sue, che “la politica si costruisce nelle azioni quotidiane, nelle lotte degli operai e degli studenti, ed è una nobile arte solamente se disinteressata e al servizio dei bisognosi” (p.77).


Mario Pellegrini, Il sogno mancino Diario, Collana Narrativa, Carmignani Editrice Cascina (Pi), luglio 2014, pp. 88, Euro 10,00

15 agosto 2014

“Voglia di guardare” di Antonio Tentori



di Gordiano Lupi

I Ratti di Bloodbuster sono un’idea geniale. Piccole e agili guide per conoscere il mondo del cinema di genere, scritti senza tanta prosopopea da critici con la puzza sotto il naso, popolari, godibili, interessanti. Per il momento sono usciti: Nudi e crudeli – I mondo movies italiani (Antonio Bruschini e Antonio Tentori), Tutte dentro! - Il cinema della segregazione femminile (Stefano Di Marino e Corrado Artale), Macchie solari – Il cinema di Armando Crispino (Claudio Bartolini), Kiss kiss… Bang bang – Il cinema di Duccio Tessari (Fabio Melelli), Maurizio Merli – Il poliziotto ribelle (Fulvio Fulvi). Voglia di guardare – L’eros nel cinema di Joe D’Amato rappresenta una riedizione, ampliata e aggiornata, di un vecchio lavoro di Tentori uscito per Castelvecchi nel 1999 (Joe D’Amato - L’immagine del piacere). 

Il libro di Tentori è informativo e divulgativo, senza pretese scientifiche, scritto con un linguaggio piano e comprensibile, accessibile a tutti, proprio come l’avrebbe voluto Joe D’Amato. Un solo errore, che auspico venga corretto nella seconda edizione, riguarda il film Papaya dei caraibi, desunto (credo) dalla lettura di Stracult dell’ineffabile Marco Giusti. Tentori afferma che Melissa Chimenti - interprete del film - è lo pseudonimo di Annj Goren (Anna Maria Napolitano), ma non è vero: Melissa Chimneti esiste, non è attrice di grande fama, ma ha interpretato una manciata di pellicole. Il testo di Tentori mi dà la possibilità di raccontare in breve la figura di Aristide Massaccesi, un regista definito dai critici superficiali il re del porno, ma che in realtà amava erotismo e orrore, oltre a essere un grande artigiano del nostro cinema di genere.

Aristide Massaccesi nasce a Roma il 15 dicembre 1936 e può essere considerato il regista più prolifico del cinema italiano. Massaccesi viene da una famiglia di persone che lavoravano nel cinema, adesso figlio e nipote ne continuano la tradizione come operatori tecnici. Massaccesi è l’essenza stessa dell’artigianato cinematografico: di quasi tutti i suoi film è anche sceneggiatore, direttore della fotografia, spesso anche produttore, in coppia con la moglie Donatella Donati. Nel cinema ha fatto di tutto, cominciando da operatore, passando a direzione di fotografia, regia e produzione. Non esiste genere che non abbia esperimentato: western, cappa e spada, peplum, decamerotici, kung-fu, guerra, erotico, sexy, hard, mondo movies, fantasy... forse mancano soltanto i musicarelli. In tutti questi film D’Amato porta il suo mestiere, con pochi soldi dà ritmo e spettacolarità a pellicole che si basano su modeste sceneggiature e cast di attori non sempre all’altezza. 

Tra la sua ricca dotazione di pseudonimi è noto al grande pubblico come Joe D’Amato con il quale firma gran parte dei film di una lunga carriera. D’Amato non è solo il porno italiano di Rocco Siffredi e le avventure erotiche di Tarzan o di Marco Polo, che nel genere hanno una loro dignità. Pure in certe pellicole Massaccesi non dimentica mai sceneggiatura, soggetto e gusto scenografico. Quando gira un film, sia esso porno, horror o hardcore, il rispetto dello spettatore è la prima cosa. Resta uno degli ultimi autori di pellicole hard girati su pellicola (35 mm.) e con struttura narrativa dignitosa.

Il pubblico dell’horror ricorda Massaccesi per tre film importanti: Buio omega, Antropophagus e Rosso sangue e per essere stato l’interprete italiano del filone splatter. I tre film sopra citati sono tra gli horror più significativi degli anni Settanta - Ottanta, lavori che resteranno nel tempo come le opere di Fulci, Bava, Margheriti, Deodato, Lenzi, Soavi e Argento. D’Amato realizza piccoli gioielli con poche lire, nella buona tradizione del cinema italiano di genere, rispettando il gusto per il gotico e spingendolo all’eccesso sino a farlo confluire nello splatter.

La carriera di Massaccesi comincia con la scuola di cinema a Roma, subito dopo si impiega come direttore della fotografia, che resta la sua principale occupazione a cavallo degli anni Cinquanta e Sessanta. Massaccesi mette da parte una grande esperienza prima come aiuto fotografo (con Jean Renoir ne La carrozza d’oro), poi come direttore della fotografia (la sua vera passione) al servizio di registi come Mario Soldati (È l’amore che mi rovina, 1951) e Mario Mattoli (L’inafferrabile, 1951), come operatore per registi come Carlo Lizzani (L’oro di Roma, 1961), Mario Bava (Ercole al centro della terra, 1961) e Umberto Lenzi (Paranoia, 1970). La gavetta di Massaccesi è lunga e tocca tutti i generi possibili: dal poliziesco alla commedia passando per lo storico. 

Solo nel 1972 decide di mettersi dietro la macchina da presa per film di genere western, storico e commedie erotiche. Pellicole come: Un bounty killer a Trinità, Sollazzevoli storie di mogli gaudenti e mariti penitenti, Fra’ Tazio da Velletri e La rivolta delle gladiatrici. Ma è solo con La morte ha sorriso all'assassino (1973) che comincia a fare sul serio. Non fu un successo, nonostante la presenza di attori come Klaus Kinsky e Giacomo Rossi Stuart. Per questo motivo D’Amato migra verso altri generi come l’erotico soft, anche perché incontra la bella indonesiana Laura Gemser, interprete ideale per una serie di pellicole che dovevano sfruttare il successo internazionale del libro Emmanuelle della Arsan e delle pellicole interpretate dalla intrigante Silvia Kristel. Sono cinque gli episodi che D’Amato dirige con Laura Gemser in questa serie rinominata Emanuelle con una sola emme per evitare la denuncia per plagio. 

A nostro giudizio Massaccesi ha dato il meglio di sé nel genere erotico e in quello horror, toccando vette irraggiungibili quando riusciva a contaminare entrambi i generi. Ci sono pellicole interessanti che contaminano il porno soft con l’horror sia nella serie Emanuelle (Emanuelle e gli ultimi cannibali e Emanuelle in America), sia fuori (alcuni fine anni Settanta: Sesso nero, Hard sensation, Porno Holocaust e Le notti erotiche dei morti viventi).

Sesso nero è una pellicola cult: è il primo film porno girato in Italia e proiettato nei neonati circuiti a luci rosse. Siamo nel 1980 e D’Amato aveva già girato alcune scene hard in Emanuelle in America (1976), ma erano semplici inserti che nella versione regolare della pellicola vennero tagliati. Emanuelle in America uscì in versione uncut solo a metà anni Ottanta.

Massaccesi si ricorda per aver scritto, diretto, fotografato e prodotto Buio omega (1979), ottimo remake in versione splatter di un vecchio film di Mino Guerrini (Il terzo occhio). La musica dei Goblin (freschi di Profondo Rosso con Argento) contribuì al successo, ma ricordiamo pure l’interpretazione di attori inquietanti e ben calati nella parte. In questo film Massaccesi si lascia andare e affonda lo sguardo nella carne viva, mostrando intestini smembrati e unghie strappate. “Erano soltanto interiora di maiale”, disse D’Amato. Però gli effettacci erano ben realizzati. La fotografia sporca abusava di colori come il giallo e il verde  scuro per rendere bene il senso di disgusto e di nausea che raggiunge l’apice nella scena del pasto dopo un massacro.

Massaccesi ha dato vita insieme a Luigi Montefiori (in arte George Eastman), - attore, sceneggiatore ed ex giocatore di basket dalla stazza gigantesca (più di un metro e novanta) -, a un prolifico sodalizio. Il primo lavoro importante dei due autori è Antropopahgus (1980), un film indimenticabile, vera icona del cinema di D’Amato. La pellicola è splatter puro ma con una trama avvincente e una scenografia curata: questa è la vera novità per il genere. Da ricordare: la scena del feto strappato e divorato (un coniglio spellato annegato nel sangue), gole recise, intestini maciullati, cadaveri decomposti e altre prelibatezze. Inutile dire che nel 1980 fece grande scalpore, dato che il pubblico non era avvezzo a vedere certe cose. In Inghilterra passarono alcune scene in televisione spacciandolo per uno snuff movie. Al solito anche in Antropophagus l’atmosfera è malsana e macabra, arricchita da effetti spettacolari. Pochi mesi dopo Luigi Montefiori sceneggia un altro film dove lui stesso interpreta la parte di una specie di mostro immortale che pare la fotocopia splatter di Michael Myers di Halloween. Il film è Rosso sangue (1982) ed è il meno riuscito dei tre horror di D’Amato, pure se è spaventoso al punto giusto per come mostra atrocità e sangue con freddezza. La storia racconta di un serial killer prodotto da un esperimento genetico che si aggira per le strade di un paese e uccide innocenti. Da ricordare la scena del forno e l’accecamento del mostro che come un novello Polifemo rantola e si dimena cercando di far fuori chi l’ha ucciso.

              Massaccesi e Montefiori avevano già girato molte pellicole hard nella       Repubblica Dominicana, inventando in Italia il genere e dando vita alla più assurda serie di film pornografici che la storia del nostro cinema ricordi. Tra l’altro le pellicole vennero realizzate con uno stesso gruppo di attori che cambiava parte da un film all’altro. Venivano anche utilizzate scene di un film  per inserirle in una pellicola successiva. Gli hard dominicani vennero girati tutti nello stesso anno e il materiale fu montato successivamente in studio.

Nel campo dell’erotico D’Amato va ricordato per alcune pellicole raffinate girate nel corso degli anni Ottanta sulla scia del successo di film d’autore come La chiave. Pellicole come L’alcova, La lussuria e Il piacere sono considerate dai critici tra le migliori prodotte in Italia nel campo del cinema erotico.

Joe D’Amato termina la carriera girando quasi esclusivamente hardcore, genere al tempo molto redditizio. In questo campo il sodalizio con Luca Damiano ha prodotto alcuni lavori di pregio che vengono ancora ricercati dagli amanti del genere.

Ricordiamo Aristide Massaccesi ottimo produttore di horror italiano. Insieme a Luigi Montefiori e altri amici apre la casa di produzione Filmirage che lancia registi come Michele Soavi e Claudio Fragasso. Citiamo tra i film prodotti: Deliria (1987) di Michele Soavi, Killing Birds (1987) di Claudio Lattanzi (in realtà pare lo abbia diretto D’Amato o che abbia aiutato molto il giovane regista), La casa 3 (1988) di Umberto Lenzi, La Casa 4 (1989) di Fabrizio Laurenti, DNA – Formula letale (1990) di Luigi Montefiori e La Casa 5 (1990) di Claudio Fragasso, la miniserie Troll (cap. 2 e 3 nel 1990) e persino il bergmaniano Le porte del silenzio (1991) di Lucio Fulci.

Massaccesi rientra alla regia horror  con un buon prodotto come Frankenstein 2000 - Ritorno dalla morte (1992) film poco distribuito e di scarso successo, scritto e sceneggiato da Antonio Tentori. Il suo ultimo film importante è il thriller erotico La jena (1997). Massaccesi era un uomo gentile e riservato, sempre pronto alla battuta: pare quasi impossibile che abbia realizzato film pornografici espliciti e tanti horror sanguinolenti. Con il passare del tempo si è costruito una grande fama in tutto il mondo ma non ha mai rinunciato a fare artigianato cinematografico, realizzando anche quindici film per stagione. Ha sempre lavorato nel cinema low cost, imitando i grandi successi: usciva Caligola, lui si precipitava a girare Caligola la storia mai raccontata, aveva successo La chiave lui proponeva L’alcova e Voglia di guardare, era buono l’esito commerciale di Fuga da New York lui girava Bronx lotta finale, e così via. Le sue regie dovrebbero aver superato le duecento, ma non è possibile essere precisi. Di sicuro la sua fama è paragonabile a quella che aveva Ed Wood a Hollywood: uno che fa i film in fretta e furia, ma mettendoci sempre un tocco di folle genialità.

Massaccesi è morto improvvisamente a Roma il 23 gennaio 1999 all’età di 63 anni, tra l’indifferenza quasi totale della stampa di settore e dei quotidiani nazionali.  


Antonio Tentori
Voglia di guardare
L’eros nel cinema di Joe D’Amato
I Ratti di Bloodbuster – Euro 12 – Pag. 160




06 agosto 2014

foto da “Calendario Pirelli 2013” di Steve McCurry




di Gianni Quilici

Questa è una delle foto scattate da Steve McCurry per il Calendario Pirelli 2013 e realizzate a Rio de Janeiro. . Non il classico calendario con modelle o attrici seminude in studi asettici, ma un libro calendario fotografico contenente 34 scatti, 23 dei quali con protagoniste le modelle, inserite dentro il paesaggio urbano e sociale di una metropoli.

In questo scatto l’occhio infatti viene colpito da due elementi ugualmente forti e contrastanti: la modella e la vita quotidiana che le scorre accanto.   

Ecco, infatti, la ragazza, una modella con un volto intenso, nessuna nudità, se non una scollatura sobria in una veste nera, che le delinea il corpo flessuoso e le lascia scoperte soltanto  le caviglie. E intorno alla modella ecco  vediamo la vita quotidiana in movimento, una vita quotidiana scolpita significativamente nella scelta di quell’attimo: il cane che si guarda intorno, il ragazzo fantasmatico (per il “mosso”) che attraversa le rotaie, il tram che, sullo sfondo, sta arrivando nel chiaro scuro di una notte illuminata e colorata nell’ arancione caldo dei tranvai.

C’è armonia tra i due elementi centrali: la ragazza e il quadro d’insieme? No, non c’è armonia. La modella, infatti, guarda l’obiettivo e non solo è consapevole dello scatto, ma è stata vestita, truccata, diretta in funzione della foto stessa; la vita che le scorre accanto è invece viva, spontanea. Ma questo è forse lo scopo di Steve McCurry: creare dissonanza. Eseguire ciò che gli è stato commissionato e stravolgerlo introducendo un’antitesi, un contrasto. Per un verso la foto pensata, calcolata, preparata come in uno studio; per un altro (almeno così sembra) la vita di strada colta nella sua felice imprevedibilità.

E tuttavia c’è in questa dissonanza una qualche possibile sintesi? Credo ci sia nella bellezza poetica dell’insieme: l’erotismo sottile, delizioso e nascosto del  volto e del corpo della ragazza e la presenza scolpita di pochi, ma significativi elementi rappresentati nei colori onirici della notte.

Steve McCurry. Calendario Pirelli 2013.