31 maggio 2022

" Il treno dei bambini orfani” di Werner Bischof

 



di Gianni Quilici

       Siamo nel settembre del 1947 nella stazione di Keleti a Budapest. Vediamo tre bambini.e sul treno in procinto di partire. Sono bambini.e che la guerra ha reso orfani. La Croce Rossa li sta portando in Svizzera insieme a centinaia di altri bambini orfani.

       Werner Bischof, fotografo della famosa agenzia Magnum, vuole “raccontare come l’Europa educherà la prossima generazione, come la tirerà fuori dal macello della guerra”. E’ stato in Germania, si trova qui in Ungheria, andrà in Italia. Scopo: documentare quali tragedie immani la guerra ha prodotto e produce per farle conoscere.

      Di questi sappiamo soltanto il nome della bambina in piedi,Jurika, senza conoscerne poi il destino. Ed è forse la più emblematica dei tre per il cartellino in evidenza al collo con i suoi dati (come del resto il bimbo),  la mano in tasca nel golfino, gli occhi stretti, ma soprattutto lo sguardo attonito e disperso, come se cercasse, invano, un’ancora. Diversamente la bambina seduta a lei accanto è colta, in quel preciso attimo, con lo sguardo dritto, sospeso e intenso,  presumibilmente  davanti all’obiettivo di Bischof; interessante il ragazzo con la faccia protesa verso l’alto, colto come se volesse fuggire dallo scatto e riuscendo il suo viso comunque  a sparire nella luce, metafora casuale di ciò che è divenuto “figlio di nessuno”, che sia naturalmente vivo.   

       Davanti ai loro corpi il finestrino del treno che incornicia e chiude queste creature verso un futuro che sarà comunque incerto e difficile. 

       Uno scatto che va oltre la bellezza espressiva dell'immagine e diventa anche sottile simbolo del destino di molti bambini dopo la guerra.     

      Oggi, anno 2022, si calcola che nel nostro Pianeta sono ben 59 i Paesi che sono in guerra. E i bambini e le bambine sono le prime vittime innocenti di questo mostruoso orrore.   

 

 

29 maggio 2022

" Il grande sogno" di Sam Shepard

 

di Giulietta Isola

"È l’America di oggi, controversa definizione del nuovo millennio"

        Sam Shepard attore, drammaturgo, sceneggiatore, ma dove ha trovato il tempo o la voglia di mettersi pure a scrivere racconti ? Forse possedeva un dono, sicuramente una grande abilità. In questi diciotto racconti Shepard non ha bisogno di ricorrere ad artifici o effetti speciali, la sua scrittura un po’ surreale ed un po’ epica è di per sé un effetto. 

       Il nostro caro Sam dà voce allo spaesamento esistenziale nella quotidianità, racconta situazioni che da banali si trasformano in ansiogene apocalissi mancate, fortemente realistiche e raccontate in forma quasi magica o paradossale.

         La sua bravura stilistica e le pagine piene di dialoghi sospesi (forse fintamente) sembrano frutto di una mente costantemente distratta che mentre racconta pensa ad altro, ma nonostante tutto questa raccolta è molto originale e ben scritta, li collante dei racconti è un tema a lui molto caro: la nostalgia del “grande sogno americano”. 

        A far da sfondo, come nei suoi film, i paesaggi americani sconfinati e magici, malinconici e magnificenti , atmosfere plumbee di selvagge terre primitive e violente fortemente desiderate, mentre l’Ovest, la “Terra promessa” continua a bruciare ed a puzzare di bestie macellate. 

        Shepard fornisce una controversa definizione dell’America degli ultimi anni: un carnaio da conquistare e nel quale ci si smarrisce, un Paese divenuto parodia di se stessa e dei suoi eroi “leggendari”, un luogo non luogo in una geografia surreale che svela “una terribile menzogna” e dimentica la “grande illusione”. 

        Mi hanno particolarmente colpito le riflessioni dedicate alle donne, le sensazioni provate da alcuni personaggi nei confronti dell’universo femminile, con un punto di vista inedito per me lettrice donna. Una sfilata di bellezze femminili e maschili fatta di antiche solitudini, perdite, senso di vuoto, abbandoni, ricordi di un tempo passato che hanno lasciato strascichi nel cuore di entrambi e talvolta profondi trambusti interiori. 

        Un libro davvero particolare che conferma la grandezza ed il talento di un artista a tutto tondo. Consigliato.

IL GRANDE SOGNO di SAM SHEPARD EDIZIONI IL SAGGIATORE

 

27 maggio 2022

"Oh William!" di Elizabeth Strout

 

di Marigabri

“Vorrei dire alcune cose sul mio primo marito, William".

        Così si apre il nuovo romanzo di Elizabeth Strout: in forma di diario, o di comunicazione confidenziale rivolta a un tu indefinito che potresti essere proprio tu, lettrice o lettore. E infatti lo sei. O lo diventi un po’ alla volta, man mano che la scrittrice Lucy Barton (Lucy, ancora lei) illumina diversi aspetti della sua vita attuale: a 63 anni, con un divorzio alle spalle (da William) e una perdita dolorosissima (David, il suo secondo marito) per la quale Lucy ancora sta dannatamente soffrendo.

        Perché “Il dolore è così- oh, fa sentire talmente soli; è questo che lo rende terribile, secondo me. È come scivolare giù per la facciata di un lunghissimo palazzo di vetro mentre nessuno ti vede.”

       Attraverso una apparente semplicità nello stile -perché Lucy appare come una buona amica che cerca di comprendere quali nodi misteriosi hanno avvinto la sua vita- un po’ alla volta e inesorabilmente anche noi gettiamo uno sguardo verso la profondità di certe interrogazioni esistenziali. Quale effetto ha il passato lontano sulle nostre scelte, quali eventi ci trasformano lasciando tuttavia inalterata la nostra essenza profonda? E poi: cosa sappiamo veramente di noi stessi e di coloro che amiamo? Che significato hanno i nostri legami e quanto, come ci rispecchiano? Che cosa resta, di vero, infine?

       Tutto, tutto … il dolore e le prove della vita, l’eredità famigliare e ogni evento dimenticato che sedimenta il terreno dell’essere nutrendolo alle radici, ogni distacco e ogni legame, gli inciampi, le cadute, ogni resa e ogni ripresa…tutto, tutto ci strappa dalla gola questo “oh”: esalazione dell’anima, respiro di compassione che esprime e accoglie tutta l’indecifrabile nostalgia della vita vissuta e perduta.

        Oh, Elizabeth, che bel libro ci hai regalato

Elizabeth  Strout. Oh William!. Einaudi

23 maggio 2022

"Il breve viaggio" di Maura Bertelli

 

Il  breve  viaggio di  un   uomo dell’Ottocento

di Luciano Luciani

       In direzione contraria al senso comune corrente del tutto ignorante circa il nostro processo di formazione nazionale - i più anziani si ostinano a chiamarlo Risorgimento – muove la scrittrice pisana Maura Bertelli che nel suo recente romanzo Il breve viaggio dà vita a verosimili scenari risorgimentali e a plausibili intrecci narrativi. 

       Protagonista delle sue pagine, Jacopo, pistoiese, ricco borghese cinquantenne, di convinzioni liberali, fin dagli anni della giovinezza impegnato nelle trame per l’unità e la libertà della patria comune. Nel settembre del 1851, il Nostro, di ritorno da una breve visita a Livorno compiuta per incontrare lo scrittore Francesco Domenico Guerrazzi e restituirgli alcune lettere politicamente compromettenti, incappa in un incidente nei pressi di Gavinana: la sua carrozza si ribalta. Apparentemente non gravi le conseguenze: solo numerose ammaccatura e qualche linea di febbre. 

        Ma, nel corso dei giorni e delle settimane successive, quel sinistro si rivelerà esiziale: l’ancor giovane Cavaliere toscano si aggraverà e morirà dopo una lunga e infausta convalescenza. Una condizione, la sua, negli ultimi mesi dell’esistenza, che gli permetterà di ripensare i punti salienti e i passaggi importanti della vita: le scelte politiche e le amicizie, gli amori e i dissidi, la passione per l’arte e i viaggi in Italia e all’estero... 

       E per raccontare oltre trent’anni di storia privata intrecciata con quella pubblica, l’Autrice ricorre al flash back: ovvero evoca, non necessariamente in ordine cronologico, gli eventi importanti agli occhi del suo protagonista, anteriori al punto d’avvio della storia. 

        Un consolidato meccanismo narrativo che permette alla Bertelli di governare, con mano sicura, sia la narrazione sia il sistema dei personaggi, ora d’invenzione, ora storici. Incontriamo così il sanguigno e radicale Francesco Domenico Guerrazzi, al quale, nonostante le diverse convinzioni politiche, Jacopo è legato da un sincero sentimento d’amicizia; il ginevrino d’origine e toscano d’adozione Gian Pietro Viesseux, editore della rivista mensile ”Antologia” che tanta parte ebbe nella formazione della classe dirigente toscana e nazionale; il pittore romantico Giuseppe Bezzuoli e tanti, tanti altri personaggi, piccoli e grandi, della storia italiana compresa tra i primi fervidi anni del post-Restaurazione e quelli, depressi, immediatamente successivi alle sconfitte del ’48. 

        D’invenzione, comunque, il personaggio narrativamente più riuscito: Gemma, la donna amata da Jacopo, una cantante lirica di successo. Bella, raffinata, sensuale si accompagna al protagonista per circa quindici anni, condividendone le aspirazioni patriottiche e i gusti artistici, i viaggi e i sensi. Ed è amore con Jacopo: un sentimento intenso, profondo, vero, nutrito di devozione e affetto reciproci. Tutto bene, dunque? No, perché un’improvvisa, atroce, rivelazione separerà per sempre i due amanti. E la dipartita di Jacopo, in fondo, non sarà nient’altro che la sanzione di una morte già avvenuta: quella della fiducia, dei sentimenti, delle speranze…

          Privo di lieto fine, il romanzo di Maura Bertelli rimane nella memoria e nel cuore con la forza delle storie che trattano dei fallimenti degli uomini buoni. Un tema, forse, risaputo, ma aggiungiamo noi, mai abbastanza: e di rado trattato con lo sguardo delicato, senza lacrime e pietoso insieme, della scrittrice pisana.

Maura Bertelli, Il breve viaggio, collana Clepsydra, Felici Editore, Pisa 2021, pp. 188, euro 14,00

 

10 maggio 2022

“ El Niño del secolo” di Michele Giannini

 

      

di Gianni Quilici
             

        Immaginiamo che abbiate letto i due racconti e che possiamo dialogare insieme. Non so se sarete d’accordo, la mia prima impressione è questa: Michele Giannini è uno scrittore vero. Non vuole consolare, ne’ romanticizzare, non vuole spettacolarizzare, ne’ intrattenere, perché non può, ne’ vuole vendersi. Vuole comunicare, farsi capire certo, ma cercando la verità di ciò che racconta, penetrando nella profondità dei personaggi, di ciò che pensano, vedono, dicono, immaginano, oltre il visibile. Prendiamo il racconto lungo  El Niño del secolo, che dà il titolo al libro. Protagonista un adolescente, Marcello, intorno al quale ruota tutto quanto: persone e  paesaggi, culture e il Tempo, l’estate di El Niño

       Prendiamo l’inizio. Marcello si sveglia “al trillo isterico  della sveglia”, si sente “ il corpo floscio come quello di una marionetta” con “un senso di disagio e di irrequietezza, residuo di un brutto sogno”.  In questo inizio percepisco subito una qualità dell’autore che percorre ambedue i racconti: una scrittura limpida e accurata, che anche foneticamente dà il senso della situazione narrata, ed un utilizzo di figure retoriche illuminanti e inventive. Pensate a come siano efficaci la metafora nel “trillo isterico della sveglia”, oppure  la similitudine del “corpo floscio come una marionetta”, nel rappresentare visivamente e psicologicamente il risveglio brusco di Marcello.

        Di Marcello, naturalmente, non sappiamo ancora  niente. Lo scopriamo progressivamente in questa mezza giornata nella quale si sveglia, inforca la bici e va al lavoro nel distributore delle zio, eccezionalmente assente. Ecco che l’autore inserisce dentro questo suo itinere, con un montaggio sapiente, quasi cinematografico, pensieri, ricordi, desideri, non per aprire parentesi, per spiegare, ma dentro il flusso di quel momento, della narrazione stessa.  

        Ecco quindi che spuntano  coloro che più di altri lasciano intravedere le radici e il retroterra socio-culturale in cui  Marcello vive: la famiglia e la scuola . Innanzitutto la separazione dei genitori e la vita difficile che si intravede: la mamma scorbutica e di poche parole, che lavora, da precaria, in una ditta di pulizia, con il peso di dover fare i conti quotidianamente con le urgenze più materialistiche dell’esistenza;  il padre, che cerca la complicità del figlio, senza che essa possa scattare per l’inadeguatezza del suo ruolo paterno presente e passato. 

       Poi la scuola, il liceo, da cui il ragazzo è stato appena bocciato, di cui sente tutta l’estraneità, la noia. la solitudine e la differenza di classe  verso compagni di famiglie borghesi. Rimane soltanto, vivo ma mortificante, il bacio a stampo sulla bocca, durante il gioco della bottiglia, alla più bella della classe, in cui lei tuttavia si pulisce, con il dorso della mano le  labbra. Infine la figura dello zio, per certi versi, solare con il suo piccolo distributore, che ama di un amore sconfinato,e lo fa trapelare in ogni sua manifestazione: dai rituali del servizio alla competenza che dimostra verso le auto stesse, di cui riconosce  minimi dettagli, se qualcosa non va.

         Con questi personaggi soltanto immaginati dal ragazzo o raccontati dallo scrittore stesso si impastano coloro che il ragazzo incontra nella mattinata al distributore. Sono una galleria di ritratti scolpiti  nella immediatezza di dialoghi veloci, che rappresentano tipologie diverse per età e carattere, cultura e linguaggi, circoscritti tutti ad una visione del mondo chiusa, localistica. E così incontriamo l’uomo sessantenne saggio di una saggezza popolare, tuttavia paternalistica; la donna col bimbo, perentoria e aggressiva, che lo tratta come se lui non esistesse; il ragazzo sulla ventina con grappoli di riccioli neri sotto un cappellino dei Chicago Bulls,  con il linguaggio gergale giovanilista fine anni ’90, che lo esorta ad andarsene dal paese prima che sia troppo tardi, compatendolo tuttavia perché sta lì, in quell’inferno, con quel caldo atroce; ed infine l’ultimo incontro l’uomo insopportabilmente borioso e tronfio “non sai chi sono io” con la sua Mercedes da esibire insieme al portafoglio pieno di soldi da centomila lire, squallida figura di frustrato arricchito.

         Tutto lì, qualcuno potrebbe dire? No, c’è qualcosa di più profondo.  Marcello.  E’ il suo ritratto il focus potente del racconto. Per il rapporto con se stesso  e, attraverso questo, l’intreccio con il resto. Con tutto ciò che incontra, compresi la natura e il torrido caldo, la strada e il distributore con bar. Per una ragione.

         Michele Giannini, infatti, ha creato un personaggio di adolescente sospeso  tra le immaginazioni epiche dell’infanzia e le prime fragili lacerazioni dell’adolescenza, alla ricerca di un’identità e di una sicurezza ancora da conquistare. Ne viene fuori una personalità articolata e profonda e infine poetica.

        La sessualità come voyeurismo. Ed ecco quindi la folata di eccitazione nel ricordare i lembi dell’accappatoio dischiudersi capricciosamente sul petto della donna intravista su una terrazza.

         Le prime cotte amorose, ma anche un’inibizione verso di esse.  Ed ecco che nel sogno lui non riesce a muoversi per baciare la bionda più bella della classe.

        La ricerca dell’identità nei miti adolescenziali. Ed ecco quindi le fantasticherie tipiche della generazione che ha vissuto  a contatto con l’immaginario del western, non quello americano, ma il western all’italiana, il cinema di Sergio Leone, con il pistolero silenzioso, misterioso e invincibile.

        E come contraltare l’insicurezza nei confronti degli adulti. Ed ecco la mortificazione e la rabbia contro se stesso, quando di fronte a atteggiamenti burberi o imperativi degli adulti non riesce a controbattere, a farsi rispettare come vorrebbe.

       La ribellione di Marcello è, quindi, tutta interiore: la scuola la odia così tanto che tra dieci anni la immagina data in fiamme da bande di ragazzini; il lavoro alla pompa di benzina  non lo capisce,  ne’ si sente all’altezza, lo annoia, perché i tanti volti dei clienti che si trova a servire finiscono per diventare manichini, senza sguardo, senza anima, tanto da ridurlo ad un fantasma, invisibile. 

       Ed è una ribellione che esplode,  diventa esplicita, e almeno per un momento azione. In un finale imprevedibile e poetico. E’ l’attimo trascendentale, in cui Marcello va oltre la sua storia, oltre se stesso, quello che finora era stato. Disobbedisce ad una violenza psicologica e ideologica, ad una visione del mondo che detesta. Ma questa non nasce dal nulla. Marcello ha un desiderio di Altrove, di  Oltre rispetto a quel piccolo mondo, misero, violento e insensato in cui sta vivendo, che non lo sente, che non lo vede. Il desiderio di altrove scatta, in certi attimi, come per esempio guardando “un cielo asciutto e sgombro … e poco più in alto una riga di gesso  nel desiderio di essere lassù, a chissà quanti metri  dal suolo”. Tuttavia non ha l’esperienza e la consapevolezza di poter prefigurare il suo futuro se non  “ come una landa vergine, sconfinata, quanto gli scenari western che amava tanto”.

       Un finale imprevedibile, ma motivato. Realistico e metaforico. Una metafora, che va oltre la storia di Marcello, perché ha una dilatazione simbolica che ci riguarda tutti. Giannini rappresenta sottilmente la scena  nei minimi dettagli psico-fisici: dall’attimo in cui non ne può più di rimanere servile, subendo la violenza psicologica dell’uomo. La rivolta dapprima è elettrica, per divenire tanto lucida e per questo pacata quanto la reazione dell’uomo è furiosa e incontrollata. Marcello diventa come sdoppiato:  un cow boy che “oscilla le spalle come uno spavaldo pistolero, pollici infilati nelle tasche, lo sguardo altero”. E infatti, in un silenzio denso e irreale come di sogno, entra tra gli steli dorati del campo di granturco, con l’immaginazione che oltre di esso “si aprisse una distesa senza fine, nel quale galoppavano cacciatori, avventurieri, banditi, impavidi pistoleri”

         Molto calzante la conclusione nella sua secchezza e risonanza. Leggiamola insieme.

    “Senza esitazione, Marcello allungò le mani tra gli steli e si aprì un piccolo pertugio nel quale sprofondò 

       Mi ha fatto pensare alla chiusa fulminea di Tozzi nel romanzo Con gli occhi chiusi , ed anche al Leopardi del “e il naufragar m’è dolce in questo mare”, per quel verbo “sprofondò” come felicità nel suo annullarsi.

       Azzeccate le ultime parole scritte in corsivo “Era l’estate del 1998, l’estate del Niño” Una sottile chiusura, perché  quella estate caldissima del 1998 diventerà indimenticabile anche per Marcello: la fine di una fase esistenziale, l’inizio di un’altra. Forse una nuova vita.

Michele Giannini

 

“ El Niño del secolo”

 

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Postfazione di Gianni Quilici

 

pag. 96, £ 10,00