02 giugno 2016

"La rivendicazione di Antigone" di Judith Butler

ANTIGONE: LA PARENTELA
                                 TRA LA VITA E LA MORTE

di Emilio Michelotti

Chi è Antigone? Per quali vie la passione può condurre all'autodissoluzione? Che sarebbe successo se la psicoanalisi avesse preso come suo punto di partenza Antigone anziché Edipo?

Antigone è in una ragnatela di parentela equivoca e maledetta: suo padre è anche suo fratello (madre comune Giocasta), i suoi fratelli sono suoi nipoti.

Parole e azioni si scontrano sulla scena familiare: Polinice era stato maledetto da Edipo (Sofocle, Edipo a Colono), il quale a sua volta è sovrastato dalla maledizione di Laio (scagliata da Pelipe a causa della seduzione del figlio). Le parole di Edipo (a Colono) alla fine della sua vita assurgono a loro volta il tratto della maledizione incestuosa (Da nessuno potrai avere più amore che da me, ne sarai priva per sempre). Antigone onora la previsione, amerà infatti solo Polinice, da morto, ossia nessun uomo.

Il desiderio di salvare i fratelli sembra naufragare di fronte al desiderio di unirsi a quel destino.

Quando Butler parla del mito come base della psicoanalisi, il riferimento è non più tanto a Freud quanto a Lacan. Il desiderio incestuoso non è solo del figlio verso la madre, ma anche verso il fratello, la sorella, il padre (necessariamente, se Antigone è al centro di un orrore parentale, di un ribaltamento mostruoso di ruoli).

Il cuore della tragigità si sposta così dall' Edipo re all'Edipo a Colono, andato in scena un decennio prima dell'Antigone. Come se gli spettatori dovessero sapere la fine della storia prima di assistere alla rappresentazione. Perché?

Nella lettura della Butler, la figura del mito assume un'impronta particolarmente ambigua e inquietante. L'autrice, in una riflessione coerente e conseguente, porta il lettore a una unificazione nella figura del “fratello”, oltre Polinice ed Eteocle, anche Edipo. E conduce altresì a  considerare il rapporto col “fratello” di natura incestuosa.

Con Lacan ella sostiene, però, che Antigone non ama il contenuto del fratello, ma il suo “puro essere”, un'idealità che appartiene all'orizzonte del simbolo, l'ordine simbolico essendo garantito appunto dalla negazione della persona vivente.

Antigone persegue un desiderio che non può che condurre alla morte, appunto perché sfida le norme simboliche. Anche il nome Anti-gone è costruito come anti-generazione. Edipo, che cosa ha allora generato? Quale sarà l'eredità di un Edipo che si forma in situazioni come la nostra attuale, con il padre assente, la figura materna occupata da varie altre figure, coi fratellastri che sono  anche amici, famiglie nella quali l'ordine simbolico non regge più?

Antigone sostiene di non aver vissuto, di non aver amato, non aver avuto figli, di aver servito la morte per tutta la vita, perché colpita, come i suoi fratelli, dalla maledizione di Edipo. Forse è il desiderio sottaciuto col quale convive, l'incesto stesso, che rende la sua esistenza una morte vivente? “O sotterranea dimora che mi custodirà, io vado incontro ai miei cari morti”. E' per la qualità mortale dei suoi amori che questo genere di amore non trova posto nella cultura greca e occidentale?

Antigone è figlia di un legame incestuoso e si consacra a un amore incestuoso e a un legame di morte col fratello.Il suo linguaggio si avvicina a quello di Creonte(quello dell'autorità e dell'azione),
privando il sovrano della virilità (l'editto di Creonte è un ordine imperativo, ha il potere di produrre ciò che proclama: divieto assoluto di seppellire quel corpo).

La fatalità dell'uccidersi nella tomba dove Creonte l'ha reclusa è per Antigone una necessità?
Antigone “non parla con voce incontaminata”. Essa non può rappresentare il femminile al di sopra o al di là dello stato. Non è espressione degli dèi del focolare, come vorrebbe Hegel, e forse neppure la sua morte è l'esito accelerato dall'insopportabilità simbolica del suo desiderio, come sostiene Lacan.

Il rapporto psichico con le norme sociali presuppone queste eterne e non trattabili, ma la configurazione come norme si verifica già in ciò che Freud ha definito “cultura della pulsione di morte”. Antigone è, quindi, solo in parte fuori dalla legge. E' intrappolata in una posizione in cui si vìola la legge umana per seguire la legge divina, e quella divina per seguire l'umana.

Non c'è giustificazione per la rivendicazione di Antigone. Quale sarebbe questa legge  al di là della legge che fa apparire il suo atto – e la difesa verbale di questo – null'altro che una violazione della legge? Non si tratta della legalità di ciò che è inconscio, ma di una rivendicazione che l'inconscio avanza nei confronti della legge.

Non solo ella ha commesso il crimine, ma ha l'audacia di proclamarlo. Ma ella è al di là della colpa, abbraccia il proprio crimine come abbraccia la tomba nuziale. Il suo reato è quello nel quale “il soggetto prepolitico rivendica un'azione furiosa all'interno della sfera pubblica”. Agisce in modo ambiguo, perché la sua rivendicazione non si oppone che apparentemente a Creonte.

Ella si appella infatti sia alle leggi della terra sia ai comandamenti degli déi. Il suo desiderio è tanto diverso da quello del sovrano? Entrambi sostengono di avere gli déi dalla loro parte. Di che tipo di déi si tratta, e perché hanno voluto la reciproca rovina?

Per Lacan, ricorrere agli déi significa collocarsi al di là della vita umana, insediare la morte nella vita, andare verso l'autodistruzione. L'invocazione di quell'altrove fa precipitare il desiderio verso la morte. Antigone “vìola i limiti dell'Ate”,e troppo a lungo: sfidando la legge pubblica, citando una legge che giunge da altrove. Agisce su istruzione della morte. Non si colloca, quindi, nell'ambito dell'ordine simbolico, trasmette quella catena ma ne arresta l'operare futuro, conformandosi alla maledizione in atto contro di lei.

E' il tabù dell'incesto che stabilisce la norma, la possibilità di trasgressione rende necessario e cogente il tabù. Antigone non produce una conclusione eterosessuale: forse una teoria psicoanalitica basata sulla sua figura potrebbe avere questo punto di partenza. Infatti sembra opporsi all'istituzione eterosessuale rifiutando di rimanere in vita per Emone, di diventare madre e moglie, abbracciando la morte e la tomba come camera nuziale.

Camera nuziale-tomba: la parola distrugge il suo oggetto. La parola opera la distruzione dell'istituzione. Antigone è una figura inammissibile all'interno del sistema parentale. L'umano confina col non umano, come risulta dall'unificazione in un solo luogo, il corpo esposto di Polinice, le figure simboliche di Eteocle e di Edipo. I proclami luttuosi gridati da Antigone presuppongono l'esistenza della sfera di ciò che non può essere pianto. Il suo crimine l'allontana dal genere femminile spingendola nell'hybris, in “quell'eccesso distintamente maschile” che fa dire alle guardie, al coro e a Creonte: “Chi è l'uomo qui?”


Judith Butler. La rivendicazione di Antigone, Bollati Boringhieri, 2003

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