20 maggio 2017

" Gargantua e Pantagruel" di François Rabelais




nota di  Davide Pugnana

"Gargantua e Pantagruel" e siamo appena nel Cinquecento francese! Da sempre ne consiglio la lettura integrale, vincendo la pigrizia della mole. Il risarcimento è assicurato. È spassoso come solo Picwick di Dickens riesce ad essere; ironico e sbracato quanto basta per non farci dimenticare, nella favola dei giganti, di che pasta terrestre siamo fatti; è linguisticamente geniale nell'uso dell'iperbole, del guizzo lessicale impertinente; scanzonato nei passaggi lubrichi del dico e non dico tra i veli del pudore e del piccante; ed è una profonda meditazione sulla vita, sulla natura umana, sugli splendori e le miserie della commedia umana prima che Balzac e Flaubert ci educhino coi Goriot e gli Homais, i Bouvard e i Pecuchet.
 

Leggi Rabelais e lo ami per sempre: lo ami col rimpianto che sui banchi di scuola "Gargantua e Pantagruel" non sia testo d'uso, come un rovescio di controcanto all'eros censurato del Manzoni. Del resto, fu Italo Calvino a trovare un'immagine calzante per miracoli del genere: «I capolavori letterari sono libri-carciofo: li apri e sotto ogni lembo scopri qualcosa di nuovo e di diverso». E non esitò a semplificare: «La Commedia, il Chisciotte, Gargantua e Pantagruel...». 

Ecco, Il «Carciofo» di Rabelais contiene di tutto, proprio di tutto: nel concatenarsi sempre stringente, in base ad un sapientissimo calcolo, delle più disparate avventure si susseguono gestazioni di undici mesi, sbornie e mangiate colossali, vestimenta smisurate, giocattoli monumentali, cavalcature enormi, inversioni strabilianti (come quella di un nettaculo a base di cappello di pelo, «perché asterge completamente la materia fecale»): e siamo neppure a metà del primo dei cinque libri del romanzo.

" E volete, sentirne una, ragazzi? Che il mal di botte v'inghiotta! Questo piccolo porcaccione palpeggiava sempre le sue governanti sopra e sotto, davanti e di dietro e arri somari! E cominciava già a esercitare la braghetta che ogni giorno le governanti gli adornavano di bei mazzolini, di bei nastri, di bei fiori, di bei fiocchi. Esse passavano il tempo a farla rinvenire tra le mani come il maddaleone da impiastri, poi scoppiavano a ridere quand'essa levava le orecchie come se il gioco fosse loro piaciuto.
L'una lo chiamava: mia cannelluccia, l'altra: mio bischero, l'altra: mio ramoscello di corallo, l'altra: mio cocchiume, mio turacciolo, mio trapano, mio stantuffo, mio succhiello, mio pendaglio, mio rude gingillo duro ed arzillo, mio mattarello, mio salciccin di rubino, mio coglioncin bambino.
- È per me, diceva l'una.
- È mio, diceva l'altra.
- Ed io, diceva una terza, debbo dunque restarne senza? Ma allora perbacco lo taglio.
- Tagliarlo! diceva un'altra; ma gli farete male signora mia; tagliereste il pipi ai bimbi? Verrebbe su il signor Senzacoda.
E perché si divertisse come i bambini del paese, gli fabbricarono un bel mulinello con le pale d'un mulino a vento del Mirabelais."
(Rabelais, "Gargantua e Pantagruel")


Nessun commento: