09 febbraio 2018

"Una nuova parola: resilienza" di Silvia Chessa




Ai seguaci e non della Crusca, agli Accademici e a coloro che, semplicemente, ma con buon senso, vigilanza, ironia e sagacia, riflettono e studiano i lemmi, amano le parole, detestando i luoghi comuni, e a chi non concorda con le nuove espressioni e trova superflui certi neologismi.( E taluni, davvero, penso anch'io che lo siano).
 
Resilienza.
Ha senso dirla, averla inventata? O le si dovrebbe, forse, Resistere ?

Ben vengano i neologismi. Prima di tutto. Ma solo quelli sensati nonché indispensabili.
E, per me, resilienza ha un senso nuovo. Plurimo. Che prima non c'era. Per questioni appunto temporali e cronologiche. Un significato che racchiude gli anni...tutti gli anni in cui abbiamo resistito da dopo che è nata la parola Resistenza.
 

Resilienza non può esserci in passato, direi, appunto in relazione al suo nuovo e contemporaneo significato: al senso, decadente ma anche eroico, di strenuo resistere che vuole esprimere e che trascina con sé.. dunque non è una puntuale e semplice resistenza (se mi attacchi, posso resistere ovvero oppongo resistenza) e neppure opposizione, bensì viene a comunicare una lunga e difficile storia di resistenza, l'essersi opposti, sì, ma da illo tempore; l'aver, da sempre, resistito. A lungo. E negli anni. Aver superato la sconfitta e la caduta. Essere sfiniti, esausti, ma non mollare. Malgrado tutto e tutti ... Aver sopportato l'indifferenza ed altresì l'insulto. Ed esserci ancora. Oggi. Non ieri né ai tempi degli antichi e dei nostri avi. Ma il tentativo attuale, radioso e resiliente, appunto, di non rassegnarsi. Di riprovarci ancora. E ancora. E ancora.



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