Il
primo racconto troppo lineare. Il
secondo migliore, ma scontato. “Che cosa ha fatto Patricia Highsmith?” penso. “Si
è concessa una vacanza?”.
Invece via via che leggo i racconti prendono forza
fino a trovarne alcuni indimenticabili. Da diventare una trance de vie. Un po’ come succede in Giuseppe Pontiggia nei suoi
racconti Vite di uomini non illustri.
I
più belli sono: La donna oggetto, La puritana, La fattrice potente nella sua iperbolica e grottesca vicenda.
Il
campionario di donne che emerge, in questi diciassette racconti, è terribilmente
feroce, da una ferocia quasi matematica,
da teorema pasoliniano. E’ come se Patricia Highsmith ci dicesse che non sempre
i fatti della vita sono complessi o meglio che esiste una complessità lineare, cioè
ripetitiva.
In altri termini queste donne sembrano segnate da un destino. Non si inventano. Sono quelle che sono: finte invalide, vere assassine, mitomani, fatue, fanatiche, ossessionate, vittime, carnefici.
Patricia Highsmith. Piccoli racconti di misoginia. Bompiani
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