23 febbraio 2010

"L'ubicazione del bene" di Giorgio Falco


di Luciano Luciani

Nove racconti scritti ora in prima ora in terza persona con protagonisti diversi ma, in fondo, uguali: uomini e donne senza qualità, trenta/quarantenni, figli del nostro tempo alle prese con un quotidiano color “grigio desolazione”. Coppie giovani di recente formazione, ma già ‘scoppiate’; villette a schiera; mutui da pagare incombenti, ossessivi, minacciosi; lavori retti da logiche aziendali giapponesi, quando non vagamente naziste… Ma, al di là del legame tematico, queste nove storie sono collegate organicamente tra loro dallo scenario in cui si svolgono: Cortesforza, un posto immaginario ma reale della Padania dei nostri giorni. L’Autore ce lo descrive puntigliosamente, utilizzando il linguaggio dei consulenti tecnici del tribunale di Milano che si occupano dei pignoramenti delle case di chi non arriva a pagare il mutuo. Qui è ubicato il bene, inteso come dato immobiliare, e, antifrasticamente, come male morale.

È qui che il disamore dei tempi nostri trova il suo brodo di coltura.
Una periferia allargata che non è più campagna e non è ancora città. Stradine, stradone, campi e cortili, agglomerati in cui, attorno ad antiche residenze contadine, spuntano disordinatamente negozi, garage, fabbrichette, centri commerciali, villette a schiera e condomini realizzati in fretta e furia in pretto stile “palazzinaro spinto”, inframmezzati da lande desolate occupate da capannoni industriali in disuso e abbandonati da anni. E poi raccordi, scorrimenti veloci, circonvallazioni… Luoghi “non luoghi” abitati da TIR, da SUV, da fuoristrada di città. Tapis roulant di uomini e merci.

L’ex Bel Paese è pieno di posti così al Nord come al Sud, come al Centro, Toscana compresa.

Un paesaggio irrimediabilmente bruttato da un’urbanizzazione dissennata che non ha mai risposto, non dirò a una ragione estetica, ma a una ragione qualsivoglia, che non sia quella della speculazione e di un profitto immediato e rapace.
Cortesforza potrebbe essere Garlasco, oppure Erba, scenari delle più disperanti, perché assurde, storie di cronaca nera di questi ultimi anni. E poiché, come sappiamo, il sonno della ragione genera mostri, mostruose sono le figurine che Giorgio Falco ritaglia sul teatrino delle sue storie: famiglie in crisi; uomini o donne sprovvisti di passioni vere; un’umanità straziata anche perché convinta, fino in fondo, che la loro sia l’unica forma di esistenza possibile. Relazioni algide, mai segnate dalle emozioni e sempre filtrate dall’inventario dei mediocri beni posseduti o desiderati ben rese attraverso i gelidi dialoghi tra i personaggi che lasciano trapelare solo vite banali e dolenti.

Nei racconti di Falco il cosiddetto hinterland del benessere rivela come il ceto medio diffuso, la piccola borghesia e la microborghesia che popolano il nostro mondo satollo e benestante, abbiano perduto, se mai l’hanno avuti, moralità e valori.
Tutto questo l’Autore lo ottiene con una scrittura secca, scabra essenziale, ricca di tecnicismi, di gerghi professionali, da quello aziendale a quello dei commercialisti e dei periti: una scrittura che non di rado si fa stranita, stralunata, a significare gli impazzimenti individuali e collettivi che segnano sempre più spesso i nostri giorni: fallimenti che si consumano nei modesti metri quadri di una villetta unifamiliare; piccole ma dolorose derive quotidiane; apocalissi minime su scenari suburbani…

Questo racconta la penna, affilata come un bisturi, di Giorgio Falco: secondo moduli narrativi che la critica al suo libro ha voluto spesso, e anche con qualche ragione, ricollegare a Carver, il padre riconosciuto del minimalismo letterario, la corrente che fa dell’asciuttezza propria del racconto breve la modalità di un atto narrativo che procede più per sottrazione, che preferisce lasciare intuire piuttosto che svelare.

D’accordo su Raymond Carver, ma io direi anche Federico Tozzi per la crudeltà e Bianciardi, il grande Luciano Bianciardi per la disillusione e il ripiegamento.

Giorgio Falco, L’ubicazione del bene, Einaudi Stile libero big, pp141, Euro 16,00