20 aprile 2010

"Con il cuore e con la mente Vite femminili in Lucchesia tra fascismo e ricostruzione 1920 - 1947" di Alessandra Fulvia Celi e Simonetta Simonetti

di Luciano Luciani


Lavoro importante e impegnativo questa di Alessandra Celi e Simonetta Simonetti, Con il cuore e con la mente Vite femminili in Lucchesia tra fascismo e ricostruzione. Libro che rientra negli studi di ‘genere’, di genere femminile, sempre meno rari, ma, comunque, non frequentissimi e già solo per questo meritevole di attenzione e rispetto. Altro motivo di apprezzamento del libro il fatto di superare lo spartiacque del ’45, della Liberazione, avventurandosi negli anni immediatamente successivi, quelli cosiddetti della Ricostruzione, individuando continuità e discontinuità coll’immediato passato. Anche questo negli studi storiografici recenti appare sempre meno raro, ma comunque da sottolineare per il fatto di essere coniugato, declinato, modulato nella corposità, nella palpabilità della vita provinciale, della nostra provincia.

Poi, tra le qualità del lavoro, mi sentirei di indicare l’utilizzo intrecciato, direi sapientemente intrecciato, di documenti scritti e fonti orali. Anche questa non è una novità assoluta, ma si tratta di un metodo di lavoro ancora non del tutto accettato e diffuso, nei confronti del quale, poi, tanta Accademia storica storce ancora la bocca e guarda con sufficienza.

Anche il periodo preso in esame merita qualche considerazione, perché ricostruirlo storicamente, se pure nella dimensione provinciale, è un compito da far tremare le vene dei polsi: procede, infatti, dagli anni immediatamente successivi alla Grande Guerra, - che, paradossalmente, per l’emancipazione delle donne fece più di decine e decine d’anni di lotte sociali e dei primi, timidi, provvedimenti legislativi dell’età giolittiana - fino alle prime elezioni a suffragio universale, quelle in cui per la prima volta nella nostra storia nazionale le donne furono ammesse al voto, le elezioni amministrative della primavera del ’46. In mezzo, c’è poco più di un quarto di secolo in cui in Europa e in Italia accade tutto e il contrario di tutto: la nascita del fascismo; l’affermazione di un regime autoritario di massa; l’impero; le due guerre mondiali; la “morte della patria”; l’8 settembre; la resurrezione dell’Italia nella lotta contro i tedeschi e i fascisti; la Liberazione; la faticosissime ricostruzione… Come vissero le donne tutto questo? Come lo vissero le donne in carne e ossa di Lucca, delle campagne lucchesi, della Versilia e della Garfagnana?

Alessandra e Simonetta con un paziente, sensibile lavoro che si muove tra la stampa nazionale e quella provinciale (soprattutto “L’Intrepido” e “L’Artiglio”), con l’utilizzo di fondi archivistici locali probabilmente ancora inesplorati, con la ricerca e la lettura intelligente di fonti documentarie poco considerate (le relazioni delle responsabili femminili di fasci locali o addirittura paesani; delle visitatrici, delle responsabili a tutti i livelli dell’Onmi, delle Colonie estive…penetrano in profondità nell’universo femminile fascista, contiguo al fascismo, o dal fascismo organizzato e, con grande professionalità, ci offrono risposte, che, con alcune specificità lucchesi, non si discostano dal quadro nazionale.

Il fascismo, anche quello lucchese, ridusse le donne, alla fine del primo conflitto mondiale già in cammino per il riconoscimento dei loro diritti, a sole Mogli e Madri per la Patria, alla sublimazione di una inferiorità che veniva dalla storia, alla dedizione totale ai Doveri.

Solo le attività assistenziali offrirono ad alcune di loro uno spazio minimo, seppur controllato, di socialità, pagando però il prezzo di atteggiamenti autoritari o paternalistici verso le altre donne.

Una scelta politica di opposizione era difficilissima e fu di poche, pochissime in tutta Italia (qui non ho trovato casi del genere, ma può darsi che sia stato lettore disattento).

La maggior parte delle donne riuscì a crearsi qualche spazio di libertà esclusivamente nel chiuso della casa, nei luoghi di lavoro, sempre, comunque, all’interno di un costume di vita rigidamente fissato nelle sue norme esteriori.

La specificità lucchese è rappresentata dalle organizzazioni cattoliche, la cui trama organizzativa sociale, ricreativa, assistenziale, culturale, particolarmente fitta in Lucchesia suscitò ben presto la gelosia del regime che arrivò nei primi anni ’30 a vere e proprie forme di persecuzione e repressione.

La condizione delle donne negli anni del regime è bene espressa da Gadda in Eros e Priàpo: “ Lui le voleva macchine enfiate per ogni nove mesi, per ogni tre, se natura per dannata ipotesi lo avesse concesso.”

“La donna per il regime è una macchina che produce figli per lo sfruttamento e la guerra; la donna è ridotta a una mammella rigonfia che allatta, le donne sono “funzionarie” dei servizi domestici (Laura Mancini).

Con un formidabile ossimoro, Gadda parla della “virile vulva della donna italiana”.

Le donne sono costrette a tornare a casa e a rimanerci: lo testimoniano la riduzione dei salari femminili, l’esclusione dall’insegnamento delle lettere e della filosofia nei licei, il raddoppio delle tasse scolastiche per le studentesse… Tutto questo, però, senza nasconderci quelli che furono i punti di forza del fascismo: le misure rivolte alla tutela della maternità (Onmi) e l’intervento sui problemi concreti delle donne, una pratica del tutto estranea al vecchio stato liberale che favorì un consenso delle masse femminili al fascismo: per loro, per le donne erano previste, poi, premiazioni, esibizioni ginniche, manifestazioni di vedove, fanciulle, madri prolifiche… E distintivi, tessere, medaglie: una strategia complessiva, a 360° tutta tesa a favorire una sorta di “ipnosi” (Virginia Woolf) con cui rafforzare il mito dell’ordine: il disordine delle persone era un segno di debolezza dello Stato, quindi gli individui andavano rassicurati con lo spettacolo dell’ordine. (Ricordate Una giornata particolare di Ettore Scola con Mastroianni e Loren?)

Dalla scuola alla fabbrica, ordinatamente, le donne dovevano praticare i lavori donneschi, allattare, produrre… e stare zitte!

Nei lavatoi pubblici compariva spesso una scritta: ”Lava bene e parla poco”.

Per recuperare la concretezza della condizione femminile nella nostra provincia, la materialità delle vite quotidiane, , rimando ai capitoli centrali del libro Le scene di vita femminile, squarci davvero di grande interesse di storia della mentalità: 1 L’Opera Nazionale per la maternità e l’infanzia, L’attività delle donne lucchesi; 2 Vita di fabbrica; 3 Donne cattoliche; 4 In colonia.

Pagine utilissime per comprendere la sostanza reale della condizione femminile nel fascismo, e anche lo scarto tra misure politiche e la loro realizzazione; tra intenzioni ed esistenze concrete; tra consenso e dissenso prima blando, latente, poi, negli anni della guerra, sempre più marcato, convinto, mai ideologico, però, e sempre legato alle concretissime questioni della qualità della vita.


E arriviamo alla sezione del libro che mi ha interessato di più, l’ultima parte, circa 1/3 del lavoro, La guerra e il dopoguerra delle donne, che presenta una scelta coraggiosa, controcorrente: cioè avere compreso nella ricerca, accanto alle donne e alle ragazze che scelsero il volontariato partigiano (attorno alle quali esiste un’ampia bibliografia scritta, però, in gran parte da uomini, con tutte le incomprensioni che da un fatto del genere possono derivare) anche le donne, le ragazze della Rsi: un filone di ricerca nuovo, inesplorato, affrontato finora solo in studi recenti e ancora parziali per esempio, La scelta di Marina Addis Saba.

Sì, non furono poche, anche nella nostra provincia, le ragazze che scelsero Salò: e mentre per molti dei loro coetanei maschi che aderirono alla Repubblica Sociale si trattò di presentarsi al bando di leva, obbligati dalle minacce di rappresaglia sui parenti, la scelta di queste ragazze non fu imposta, ma volontaria. Come si spiega? Forse le radici di questa adesione stanno nel consenso di massa tra le donne, che pure il fascismo aveva ottenuto, che era stato largo e che ancora durava; forse in un desiderio di protagonismo, di libertà e modernità che poteva finalmente realizzarsi; forse in una volontà di affermazione individuale, una voglia che trapela anche da certe interviste riportate nel libro, di essere padrone di se stesse, di contare nella vita sociale di quel momento storico: si poteva fare col fascismo, e arruolandosi nelle Ausiliarie, la prima formazione militare femminile nella storia dell’esercito italiano, se si escludono le portatrici carniche della prima guerra mondiale.

Fu una risposta, sbagliata, a quella “morte della patria” intravista l’8 settembre ’43; l’indignazione per la fuga del re, lo spettacolo miserevole della monarchia e dei comandi, per il tradimento operato nei confronti dell’alleato tedesco.

Certo è che le ragazze che scelsero Salò seguirono il senso dell’onore, delle gerarchie, dell’obbedienza, che sono i valori tipici del genere maschile, che erano stati loro inculcati con l’educazione del regime, in cui avevano creduto: la patria era stata tradita; gli uomini non la difendevano, avevano perduto l’onore e toccava alle donne rimediare all’oltraggio, difendere la patria venduta agli stranieri. Per questo si arruolarono sottoponendosi alla gerarchia militare, alla disciplina propria di un esercito, entrarono a far parte di un’organizzazione militare.

Diversa l’essenza della moralità delle ragazze e delle donne che parteciparono al volontariato partigiano: una novità assoluta, perché anche questo del volontariato politico-militare era un territorio esclusivamente maschile dal garibaldinismo dei Mille fino alla guerra di Spagna.

Anche in questo caso lo spartiacque è l’8 settembre.

Ecco, la vera novità storica, che emerge bene anche dalle pagine e dalle numerose testimonianze orali, riportate da Alessandra e Simonetta: in questo caso le donne fanno il loro ingresso nella storia seguendo valori tipici del genere femminile: la pietà, l’abitudine all’aiuto, alla cura, all’assistenza ai deboli, la condivisione… Un altruismo proprio della tradizione del genere femminile che viene velocemente rielaborato e si trasforma in altruismo civile, carico di una fortissima autonomia. Le ragazze partigiane non furono trattenute né disorientate da un malinteso senso dell’onore, della fedeltà al giuramento prestato, questioni esclusivamente maschili: un’invenzione di regole, un’imposizione di miti violenti, strettamente legata ai codici propri del mondo maschile e lontana dalle ragioni profonde della vita.

Forse è qui la differenza tra le due scelte e non è differenza da poco.



Alessandra Fulvia Celi – Simonetta Simonetti, Con il cuore e con la mente Vite femminili in Lucchesia tra fascismo e ricostruzione 1920 – 1947, Maria Pacini Fazzi editore, pp. 424, Euro 25,00