06 aprile 2010

" La vita di Castruccio Castracani degl’Antelminelli narrata da se stesso medesimo" di Giovanni Boccardi


di Luciano Luciani

Lavoro atipico, originale questo La vita di Castruccio Castracani degl’Antelminelli narrata da se stesso medesimo, di Gianni Boccardi, appassionato e colto indagatore della storia toscana e dei suoi nessi con quella nazionale: storia di un tempo remoto, ma per tanti versi ancora attuale nelle ragioni e passioni degli uomini di quell’epoca lontana.

Pagine, queste di Boccardi, inusuali e per niente scontate: intanto per la scelta del personaggio eponimo del libro, quel Castruccio Castracani in genere più citato che davvero conosciuto e studiato: forse, come argomenta con lucidità l’Autore nella sua Introduzione, anche poco amato. Una sintetica scheda ci potrà aiutare a comprendere meglio la natura dell’uomo, il suo ruolo nella storia d’Italia e d’Europa tra basso Medioevo e Rinascimento aurorale e la successiva damnatio memoriae calata su di lui.

Castruccio nacque a Lucca nel 1281 da Puccia Streghi sposa del ricco mercante Gaio Castracani. Capo ghibellino, sconfisse i Guelfi di Firenze guidati da Filippo d’Angiò e i loro alleati napoletani nella battaglia di Montecatini del 1315. Dal 1316 fu Signore di Lucca, soppiantando Uguccione della Faggiola grazie a una rivolta popolare. L’imperatore Ludovico IV il Bavaro lo nominò Duce e Vicario Imperiale nel 1327: valoroso condottiero, politico abile fu il primo a tentare la creazione di una signoria territoriale in Toscana, come più di un secolo più tardi faranno i Medici, ma non poté proseguire nella creazione di uno stato regionale perché morì, probabilmente di malaria, nel 1328. Quasi contemporaneamente fallì il tentativo dell’imperatore Arrigo VII (1275-1313) di ristabilire la propria autorità in Italia: qualche anno più tardi Ludovico il Bavaro (1287-1347) riuscirà sì a farsi incoronare imperatore a Roma (1328), ma, in un breve volgere di tempo, dovrà rinunciare ai propri progetti e ritornare in patria. E il suo successore, Carlo IV, sarà costretto a prendere atto dell’impossibilità di restaurare l’impero: la Bolla d’Oro del 1356, definendo una volta per tutte i sette grandi principi tedeschi cui spettava il diritto di eleggere l’imperatore, ridurrà, di fatto, l’Impero a una questione interna della Germania.

La crisi dei due grandi principi universalistici, la Chiesa e l’Impero, che avevano retto l’Europa per circa mezzo millennio era comunque destinata a liberare energie nuove, a favorire processi inediti: nell’Europa occidentale andranno a formarsi gli Stati nazionali; in Italia, soprattutto al Centro e al Nord, si costituiranno Stati signorili a dimensione regionale. In molte città del Centro e del Nord, infatti, si assisterà alla definitiva crisi delle istituzioni comunali, che, nell’ambito della organizzazione civile e politica del vecchio Comune risultavano ormai ingovernabili. Un solo Signore finirà per concentrare su di sé tutta l’autorità e amministrerà l’intero potere attraverso un apparato che rispondeva unicamente a lui. Le libertà comunali e le limitate forme di democrazia che esse garantivano vennero soppresse, mentre risulteranno rafforzati vecchi particolarismi feudali, mai del tutto aboliti dalle istituzioni comunali: gli storici parlano in proposito di una ‘rifeudalizzazione’, fatta di antichi diritti feudali, di nuove forme di potere e di dipendenza personale da un Signore, forte di un’organizzazione statale più organica, centralizzata, unitaria e moderna nel rispetto dell’autorità. È il caso di Matteo Visconti di Milano, di Cangrande della Scala a Verona, di Castruccio Castracani a Lucca. E arriviamo all’eroe eponimo del lavoro di Boccardi, un protagonista importante della storia dell’Italia del periodo. Poco fortunato anche dal punto di vista storiografico, fin quasi a sfiorare una sorta di damnatio memoriae.

Alle sue scarse fortune in questo senso non giovò, certo, il fatto di essere stato ghibellino in una fase storica in cui le vicende di questa parte politica andavano decisamente declinando in Italia e il ghibellinismo si andava configurando come “famiglia perdente”, come “un ramo secco” della storia, suscitando, di conseguenza, entusiasmi via via sempre minori e sempre più rari seguaci sia sul terreno politico, sia su quello della difesa della memoria. Non farà meraviglia, poi, che in età risorgimentale la storiografia patriottica, fin troppo nutrita di sentimenti antitedeschi, abbia rimproverato a Castruccio un accesso di contiguità agli imperatori germanici. Troppo ostile alla Chiesa, poi, Castruccio per essere apprezzato dalla storiografia neoguelfa e cattolica.

Quindi ben vengano le pagine di Gianni Boccardi, che, coniugando il rigore storico del saggio alla fruibilità del romanzo storico, compiono un’apprezzabile operazione di divulgazione, riproponendo all’attenzione del lettore dei nostri giorni, un protagonista significativo della storia italiana ed europea. E, sia detto a maggior merito dell’Autore, non era un compito facile scrivere di Castruccio perché si tratta di una personalità complessa, versatile, polimorfa.

È lucchese Castruccio, figlio di mercanti: un borghese, di quella borghesia comunale senza complessi, spregiudicata, abituata da tempo a gestire il potere, ad assurgere ai più alti incarichi di governo nella propria città. Guelfo bianco in origine, come Dante, attraverso la vicenda dell’esilio della sua famiglia per motivi politici (un destino che spesso toccava in sorte, quasi un istituto, ai maggiorenti politici del tempo), riuscì ad avere una formazione non angustamente municipale, ma più larga, italiana, nazionale e poi europea.

Ce la racconta bene Boccardi questa educazione. Prima in Inghilterra alla corte di Edoardo I, dove Castruccio si fece uomo. Edoardo I (1239-1307) è un grande sovrano: spezza le resistenze feudali; afferma il potere centrale monarchico, avvia una rigorosa politica di espansione territoriale, limita la giurisdizione ecclesiastica. Un modello per il futuro Signore di Lucca. Né meno utile fu la successiva permanenza di Castruccio nella Francia di Filippo IV il Bello (1268-1314). Personaggio discutibile oggi agli occhi dei lettori di letteratura popolare grazie a Dan Brown e al suo Il codice Da Vinci come persecutore dell’ordine dei cavalieri senza macchia e senza paura, i Templari, anche il re francese fu un grande modernizzatore, difensore delle prerogative della monarchia e di un forte potere centrale, impegnato in un aspro scontro con le pretese universalistiche di papa Bonifacio VIII. Probabilmente rappresentò un altro punto di riferimento per il giovane Castruccio, che, mentre definiva meglio la sua appartenenza, del tutto strumentale, al ghibellinismo, maturava a sua volta l’idea di un solido potere centrale monarchico, fondato sulla forza delle armi e su una spregiudicata abilità politica. Perché questo fu soprattutto Castruccio: un uomo d’ordine, un condottiero, un abilissimo comandante che sapeva unire al “mestiere delle armi”, svolto con feroce competenza e spietata professionalità, non comuni doti di iniziativa politica che due secoli più tardi lo renderanno benemerito agli occhi di Niccolò Machiavelli, che nella breve Vita di Castruccio Castracani da Lucca del 1520.riconobbe in lui tratti che erano già stati del suo Principe. Quindi non stiamo parlando di un rozzo soldataccio di ventura, magari più abile e fortunato di altri: no, qui stiamo trattando, e Boccardi giustamente nel suo lavoro non trascura anche gli aspetti più privati del suo personaggio, di un personaggio affascinante, capace di fare strage non solo di uomini, ma anche di cuori femminili. Un uomo che, a giudicare dalle rare immagini di lui rimaste negli affreschi del ciclo del Trionfo della Morte nel Camposanto di Pisa, appare attraente, giovane, bello e biondo, arguto narratore, poeta a sua volta e abile declamatore di versi propri.

Amico di sovrani, fidato luogotenente di imperatori, invincibile sul campo di battaglia, privo di scrupoli morali sul terreno politico, eppure sempre mosso da una sua fedele coerenza ai principi del ghibellinismo, Castruccio sembra davvero incarnare, forse anche meglio del Duca Valentino, il Principe machiavelliano, le famose caratteristiche della ‘golpe’ e del ‘lione’...

Non era facile raccontare un tale personaggio, la sua vita, le sue innegabili zone d’ombra, le complicatezze di un animo che fu anche tortuoso così come furono contorti e tortuosi i passaggi e i processi della storia del suo tempo. Boccardi ci riesce adottando un particolarissimo, inusuale punto di vista: fa, cioè, parlare Castruccio in prima persona, permettendogli in questo modo non solo di descrivere le vicende dei campi di battaglia e degli ancora più infìdi territori della politica, ma anche le vicende del cuore e, a volte, del cuore profondo, per non dire del ‘cuore nero’ di Castruccio. Poi, però, l’Autore, proprio per evitare un punto di vista eccessivamente soggettivo e quindi troppo squilibrato in favore di Castruccio, che gli è simpatico, introduce ampi inserti in terza persona ottenuti rielaborando fonti coeve (per esempio, la Cronica di Giovanni Villani, fiorentino Guelfo nero ma caratterizzato da una grande, notevole imparzialità di giudizio; oppure la Vita di Castruccio Castracani da Lucca del Machiavelli dove, però, tende a prevalere la idealizzazione del personaggio) con il compito di controbilanciare la soggettività altrimenti prevaricante di Castruccio e di contestualizzare al meglio fatti e vicende.

Il risultato finale delle fatiche di Boccardi è un buon libro, un bel libro di storia che realizza un difficile equilibrio tra l’autobiografia romanzata e il romanzo storico, tra il vero e il verosimile. Scritto per il pubblico largo dei lettori colti e non solo per gli addetti ai lavori, il Castruccio di Boccardi risulta non solo fruibile, ma divertente nella accezione migliore del termine e godibile anche per l’uso di una lingua che, programmaticamente, tende ad assumere nuances e sapori medievali: per esempio nell’uso dei termini tecnici soprattutto relativi all’arte della guerra e al mestiere delle armi. Avvincenti le numerose descrizioni degli eventi militari, delle battaglie di Montecatini e Altopascio, di cui non vengono taciute la ferocia e la spietatezza e che ci appaiono purtroppo, tristemente attuali. Così come, sconsolatamente contemporanee, ci si mostrano le faide tra guelfi e ghibellini, tra guelfi neri e bianchi, le alleanze sempre precarie, i patti continuamente dimessi o traditi…


Nel 1876, un filosofo Charles Renouvier, sul modello del termine Utopia, ovvero non luogo, nessun luogo, luogo che non esiste, coniò la parola Ucronìa, ovvero ciò che nel corso del tempo non è avvenuto, ma sarebbe potuto essere: per esempio, cosa sarebbe successo se nel 490 a. C. i Greci fossero stati sconfitti a Maratona? E se Alessandro il Grande non fosse morto nel 323 a. C.? Oppure se Annibale dopo la battaglia di Canne avesse attaccato Roma? E se Carlo Martello nel 732 non avesse sconfitto gli Arabi a Poitiers? Dove sarebbero oggi le radici cristiane dell’Europa? E cosa sarebbe stata la storia europea se nel 1588 l’Invincibile Armada avesse conquistato l’Inghilterra? Come sarebbero oggi l’Europa e il mondo se le forze dell’Asse avessero vinto la II Guerra mondiale? Lo raccontano, mirabilmente Philip Dick ne La svastica sul sole e Robert Harris in Fatherland. Un gioco, certo. Una sorta di war-game che viene usato, con qualche buon risultato didattico, nelle facoltà di storia anglosassoni.

Proviamo ad applicare questa modalità, la modalità di questo gioco a Castruccio Castracani che, a detta di Machiavelli, non fu inferiore né a Filippo di Macedonia, né al romano Scipione: cosa sarebbe stata la storia del nostro Paese se “ in cambio di Lucca, egli avesse avuto per sua patria Macedonia o Roma”? O, più semplicemente, quale sarebbe stata la storia del nostro Paese se Castruccio avesse potuto dipanare ancora per qualche anno il filo della sua esistenza e non fosse morto il 3 settembre 1328, forse di veleno, probabilmente di malaria? Se Castruccio avesse anticipato di un secolo e mezzo i fasti regionali di Lorenzo dei Medici in quale direzione sarebbe mutata la storia d’Italia nell’autunno del Medioevo? E se, già padrone di gran parte della Toscana e stimato com’era dall’imperatore Ludovico il Bavaro, avesse realizzato l’obbiettivo di farsi incoronare re d’Italia? Già, quale sarebbe stata allora la storia del nostro Paese? Quale il suo sviluppo? Chiediamocelo. Come gioco di simulazione, come esercizio intellettuale, come una piccola ebbrezza della ragione, piacevole e inquietante insieme.


Gianni Boccardi, La vita di Castruccio Castracani de gl’Antelminelli narrata da se stesso medesimo, Editrice Nuove Esperienze, Pistoia 2007, pp. 160, Euro 12,00