26 giugno 2012

"Le lucciole" di Gianni Quilici




Non so nulla delle lucciole. Non ho mai saputo nulla. Ne’ ho mai cercato di sapere. Potrei cercare,  ora qui su Google, ma non voglio.
Le ho vissute soprattutto; le vivo ancora. Non più con gli occhi del bambino che ero. Con gli occhi disincantati che ora ho.
Eppure l’incanto può continuare a vivere quando nasce da una realtà che trascende la realtà stessa, che potrebbe ancora oggi diventare mito, sia pure piccolo mito personale, per tanti occhi ingenui che ancora esistono.
Le lucciole continuano a rimanere, infatti, una di quelle immagini forti, che l’infanzia ha scolpito in immagini  mitiche, con aggiunta la novella (bellissima) dei soldi che le lucciole avrebbero fatto una volta catturate e messe sotto un bicchiere. Come dire due miracoli: le lucciole in sé e la filiazione di soldi.

Non è un caso che Pier Paolo Pasolini individuò “la scomparsa delle lucciole” nei primi anni sessanta, a causa dell’inquinamento dell’aria e soprattutto delle acque, come simbolo di un’epoca che finiva, la civiltà contadina, e ne apriva un’altra, la civiltà consumistica-edonistica, che avrebbe portato “ad una nuova epoca della storia umana” facendo diventare gli italiani “in pochi anni un popolo degenerato, ridicolo, mostruoso, criminale” . Metafora che ha avuto molto successo, anche se poco consenso.
Perché le lucciole hanno un grande fascino. Un fascino onirico, vicino al sogno. Le lucciole, infatti, sono la notte, che come osservava Giacomo Leopardi, è indefinita; le lucciole sono la bellezza della natura notturna: un prato in distesa, un campo di grano verdeggiante; le lucciole sono esseri minuscoli che, su questi scenari autentici, si accendono e si spengono, appaiono e scompaiono ad intermittenza, dialettica tra luce-buio, tra essere-non essere, bellezza fragile che vive e muore nell’arco appena di una mezza stagione, tra la primavera inoltrata e l’inizio dell’estate, metafora luminosa, si potrebbe azzardare, di una giovinezza fugace.

Infine, le lucciole stanno tornando. In alcuni luoghi dove la campagna è rimasta campagna ed è stata, almeno parzialmente, disinquinata sono ritornate. Nella mia corte luccicano numerose tra campi e viottoli. Se mi sposto però non le ritrovo facilmente. Trasmettono una dialettica tra l’utopia di un sogno possibile e una realtà, che appare compromessa da un’urbanizzazione dissennata. Ti possono dire: c’è la possibilità di una direzione diversa che faccia propri modelli economici e   ecologici, estetici e culturali in cui anche le lucciole possano vivere ed infittirsi per il bene di tutti. Ma è davvero poco di fronte a paesaggi che di umano non hanno più nulla.

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