Pasolini aveva la faccia dell’artista.
Perché era una faccia scavata, a volte quasi allucinata, con
occhi piccoli e incavati, che esprimevano una concentrazione ed un’energia che
strabordava, si imponeva e si impone. Una forza autentica, ma anche forse
cercata: l’idea che PPP aveva di sé e voleva trasmettere. Un attore-autore con
una parte sola: creare incessantemente creare. Non è un caso che, per
interpretare Giotto nel Decameron,
abbia scelto se stesso e che il risultato sullo schermo sia esemplare nel
delineare la tensione corporea e psichica di chi crea, in questo caso, con
colori e pennello.
Proprio per queste ragioni molte delle sue foto sono
indimenticabili, perché vanno oltre quei volti “medi” o “piccolo borghesi”,
che, la maggior parte degli artisti si porta appresso. Ha detto a questo
proposito Moravia:” Quando si svegliava al mattino presto, col sonno, veniva
fuori una faccia da uomo delle caverne. Abbastanza paurosa. Da primitivo. Poi
si ricomponeva e assumeva la sua faccia dolce”
Questo volto è stato molto ripreso. Soprattutto da fotografi di scena durante i
suoi film: Mario Tursi, Angelo Novi, Mimmo Cattarinich, Maril Parolini, Angelo
Pennoni, Deborah Beer, Divo Cavicchioli, Paul Ronald e altri. Tra le tante foto significative una
emblematica di Mario Tursi sul set di Medea:
Pasolini su uno sgabello, vicino alla macchina da presa, il volto chino, poggiato sul braccio, pensoso
e scultoreo, ma con leggerezza, e completamente estraniato dalla folla di
curiosi “normali”, vicini e lontani sullo sfondo. Sono queste le ragioni
probabilmente, per cui sono molti sono i libri usciti, dove l’immagine di PPP e
dei suoi film è predominante.
L’ultimo, “Scatti per Pasolini” di Mario Dondero (5
Continents editions), raccoglie diverse immagini di PPP e dei suoi amici,
alcuni di questi antologiche come quello di Pasolini ripreso di fianco in piano
americano con dietro, ad altezza di spalla, leggermente sfuocata, a formare
quasi un prolungamento, la madre Susanna, così straordinariamente simile a lui.
Tra gli altri fotografi, straordinari sono gli scatti di Giovanni Giovannetti,
perché lo colgono, in primissimo piano,
in un dibattito alla festa nazionale dell’Unità a Firenze, attraverso
una successione di immagini, che formano una sequenza cinematografica unica e
nello stesso tempo variegata: mentre medita, legge, forse scrive, parla,
gesticola.
Ma gli scatti più
interessanti non soltanto in sé, ma per il progetto che sottintendevano sono
quelli di Dino Pedriali. Perché, come si desume dalla testimonianza dello
stesso fotografo, allora giovanissimo ed alle prime armi, quelle foto
iniziavano un reportage, che avrebbe dovuto essere inserito nel romanzo della
sua vita “Petrolio”, poi rimasto incompiuto.
Un progetto, ecco la novità, di cui Pasolini stesso era il
regista. Infatti senza togliere nulla al talento fotografico di Pedriali,
confermatosi anche in seguito, forse per la prima volta, Pasolini sceglie la
macchina fotografica con l’idea di utilizzarla ai fini di un lavoro creativo,
di cui lui è l’ideatore e il progettista. Pochi giorni dopo sarà ucciso, ma
queste prime foto delineano già il progetto: essere “colto” durante lo scorrere
della sua vita quotidiana. Così lo vediamo a Sabaudia, mentre passeggia e sullo
sfondo ventoso del lago, lo vediamo all’opera sui tasti della macchina da
scrivere, lo vediamo infine in piedi in camera e mentre legge, nudo, sdraiato
sul
letto …
Un progetto appena iniziato, che Pasolini non avrebbe mai
veduto. Cosa ne sarebbe venuto fuori è impossibile immaginare.
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