04 settembre 2018

‘Gli anni forti’ di Paola Martini




di Giuseppe Perez

Ci sono periodi storici talmente cruciali che sembrano caratterizzati da una cesura netta che li rende fortemente distinti rispetto a ciò che viene prima e a quello che segue.
Questo romanzo ha il suo centro proprio in uno di questi periodi: le vicende personali che vengono narrate sono inserite nel vortice del decennio tra il ‘68 e il ‘78, anni frenetici e ricchi di fermenti nuovi, entusiasmo e partecipazione, concludendosi con la deriva degli anni di piombo, prima dell’avvento dell’arida stagione del cosiddetto riflusso. Ma quella è un’altra storia.
 

La protagonista, nata in una famiglia della media borghesia agiata, giunta all’età cruciale dell’adolescenza si ritrova coinvolta nel periodo della contestazione giovanile, di cui fa sue le istanze di cambiamento e modernizzazione della società, della lotta per dare maggiori opportunità alle classi sociali più svantaggiate, del rifiuto della gretta e limitata visione dei rapporti sociali, specialmente nella provincia.
Si trova così a dover conciliare il meglio della sua cultura di provenienza, impartita dalla famiglia e gli ideali della contestazione giovanile, col suo anelito per la libertà dagli schemi imposti fino a quel momento e lo spirito egualitario, la messa in discussione delle basi della società, oltre al tentativo di realizzare un autentico cambiamento nel potere politico, fino ad allora blindato dalle logiche della geopolitica dei blocchi Est-Ovest contrapposti.
 

Nel corso del romanzo si alternano, dunque, descrizioni di episodi e momenti di vita più personali a quelli collettivi, comuni a molta della gioventù impegnata degli anni’60/’70, trattati con uno stile attento ai dettagli e alla accurata descrizione di persone e luoghi tale da farne quasi la sceneggiatura di un ipotetico film, un affresco su quegli anni cruciali, il tutto con una vena di sottile ironia e qualche toscanismo che non fa che rendere più viva e vera la narrazione.
 

Un dettaglio che si può scorgere tra le righe, anche se mai esplicitamente citato durante la narrazione, è che c’è sempre la ricerca di un 'noi' nella descrizione delle vicende che si susseguono nel tempo. Che si tratti della famiglia, negli anni dell’infanzia, degli amici dell’adolescenza, dei gruppi di varia estrazione religiosa o politica della prima giovinezza o della persona con cui formare una famiglia, c’è sempre la ricerca dell’appartenenza, dell’essere elemento attivo in una comunità, piccola o grande che sia. Un 'noi' in cui l’individuo non si annulli ma di cui faccia parte per realizzarsi. 
Questo, si intuisce, è la maggiore eredità di quegli anni, in seguito cancellata dall’imposizione dell’individualismo, dell’egoismo che la società consumistica ha interesse a coltivare.
 

“Parlavamo tra noi con l’intensità e la passione di chi condivide un progetto importante. Ci sembrava che il mondo fosse in attesa proprio del nostro impegno, che contasse sulla nostra energia, sul nostro coraggio, per liberarsi dalle catene del passato.”
Questo potrebbe essere il messaggio che questo romanzo lascia al lettore che non ha vissuto quegli anni: partecipare, mettere tutto in discussione insieme agli altri, non lasciarsi rinchiudere da soli in un recinto ma coltivare insieme lo spirito critico: come direbbe Giorgio Gaber, “Libertà è partecipazione.”


Paola Martini. Gli anni forti. Manni 2017.

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