di Gianni Quilici
Guardo
la foto e mi colpisce. Però soltanto con
uno sguardo attento mi conquista e si
scolpisce.
Perché
se si dà un’occhiata veloce la forza e la varietà dei volti può essere “distratta” da uno squilibrio
compositivo: il profilo in primissimo piano della ragazza che invade quasi metà
dell’inquadratura. E l’occhiata sarebbe comunque corretta se la foto non avesse quella
complessità di segni difficili da cogliersi senza un’osservazione più meditata.
Mi
colpiscono, infatti, in questa foto di William Klein, due elementi che, per
comodità espositiva, separo, ma che inevitabilmente si fondono.
Primo
elemento: l’intensità di alcuni volti e l’anonimato di altri, tutti ( o
quasi) tagliati e scolpiti nella loro
inconsapevolezza, persi nei loro pensieri fatui o concentrati che siano. Su
questi spicca con singolare evidenza il profilo della ragazza, per l’energia
espressiva e l’incisione dello scatto.
Secondo:
la profondità ritmico-musicale della composizione, nella quale i visi si
scandiscono dai primissimi piani fino al campo medio nello sfondo più
impersonale dell’obiettivo fotografico armeggiato da una mano.
E’
una delle numerose foto in cui William Klein, dentro una folla o un gruppo, rappresenta
felicemente l’anima della metropoli, attraverso immagini ravvicinate degli
attori che la vivono. Foto più o meno “rubate”,
corpo a corpo coi corpi, ripresi con grandangoli potenti, adatti a ritrarre
molteplici varietà di stati d’animo e di espressioni in poco spazio,
moltiplicando il rapporto tra di essi e gli sfondi. Da qui la necessità di superare l’inquadratura
perfetta in tutti i suoi molteplici canoni, in favore dell’attimo nel suo
movimento, casualità, possibile deformazione, caos.
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