nota di Gianni Quilici
Due elementi colpiscono in questo scatto
del fotografo spagnolo Fernando Herráez. Due elementi,
che nel loro contrasto si armonizzano, perché rendono la foto più complessa
formalmente e nei suoi possibili sensi e, per chi la osserva con attenzione, forse
indimenticabile.
Sulla sinistra vediamo un ragazzo colto
sospeso nell’attimo in cui si tuffa, le mani protese verso l’impatto con
l’oceano, le gambe ancora piegate dallo slancio ravvicinato.
Uno scatto realistico accentuato dal nero
acceso dello scoglio, del ragazzo stesso e dell’amico che galleggia nell’acqua.
Sulla destra, invece, un’enorme nave naufragata, disastrata e abbandonata nello
sfondo di una luce grigia nebbiosa, che dà un senso indefinito, onirico di
sospensione del tempo, quasi metafisico.
Ecco che si incontrano da una parte l’atto
presente, realistico anche
cromaticamente, del tuffo; dall’altra in contrasto l’immobilità di un tempo
sempre uguale a se stesso e senza orizzonte.
Da qui si potrebbe filosofeggiare. Questo
contrasto rafforza la foto, perché dà al tempo che scorre “l’essere vivo” nel
tuffo, ma nello stesso tempo nel suo sfondo la “sua morte”. E viceversa. Che è
il destino di ogni foto: rappresentare l’attimo, che subito muore.
Fernando Herráez. Castelo do Queijo, Porto. 1978.
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