di Luciano Luciani
Li chiamano runners, corridori, non risparmiandoci neppure in questo caso l’anglismo di moda. Piccola minoranza sino a pochi anni fa, oggi corrispondono a una porzione rilevante della popolazione. Corrono tutti: gli uomini e le donne, gli adolescenti e gli anziani, gli impiegati di banca e i percettori di reddito di cittadinanza, le partite Iva e i dipendenti pubblici… Periferie e centri storici, viali e ville comunali, lungofiumi e lungolaghi sono attraversati a tutte le ore da decine, centinaia, migliaia di amanti della corsa e dei suoi presunti benefici. Dicono, infatti, che faccia bene alla salute. E così, in nome di una buona qualità dell’esistenza, li vediamo, questi forzati salutisti, corricchiare, trotterellare, galoppare sulle brevi e brevissime distanze e camminare di buon passo per tratti appena appena un po’ più lunghi. Zelanti interpreti degli attuali stili di vita, sudati, sbuffanti, ansimanti, scaracchianti, col linguaggio di un corpo messo a dura prova, significano a noi, inveterati lentopedisti, tutto il senso di una fatica tanto improba quanto probabilmente inutile.
Ma un breve libro autobiografico di un giovane autore romano di origini romene, Iulian Murgoci, col racconto della sua passione per questo sport, la corsa a piedi, rivaluta, anche ai nostri occhi scettici, la pratica fisica eroicamente nobilitata da Filippide due millenni e mezzo fa e che ogni quattro anni in occasione delle Olimpiadi ci regala sempre non poche emozioni. Ci comunica, Iulian, il suo personale approccio e il suo entusiasmo per il running: utile per rimodellare un corpo, il suo, che non gli piace e con cui convive a fatica; per reagire, a colpi di prestazioni sempre migliori, a bassi, bassissimi, livelli di autostima; per uscire dall’umor nero dello sconforto e della depressione che l’hanno già portato a gesti insensati di autolesionismo. L’Autore, con pagine di un dettagliatissimo e straziante iperrealismo letterario, ci aggiorna momento per momento sulla sua situazione esistenziale, fisica e psicologica. Ci racconta la scoperta della corsa come terapia, i suoi piaceri, le emozioni e le soddisfazioni che una tale gara con se stessi e con gli altri può regalare. Ma correre può bastare a restituire senso, direzione e significato alla propria vita? Certo, i buoni risultati aiutano, danno morale, contribuiscono a contrastare almeno per un po’ il sentimento sempre in agguato dell’inadeguatezza… E quando poi l’Io narrante, Iulian, dopo una lunga e minuziosa preparazione, partecipa, con un ottimo piazzamento, all’ultramaratona intitolata al Passatore, romantico brigante romagnolo della metà dell’Ottocento, cento chilometri con partenza da Firenze e arrivo a Faenza, lungo le severe strade dell’Appennino, al Nostro sembra di toccare il cielo con un dito perché sta per entrare nell’Olimpo riservatissimo dei grandi runners.
Ma si sa la vita non fa quasi mai regali, anzi! E prima o poi ti presenta sempre il conto che talvolta risulta essere salatissimo. Soprattutto quanto tu quella vita l’hai provocata con eccessi, comportamenti sregolati, e condotte al limite. E così quel corpo, per troppo tempo costretto a tempi, distanze e prestazioni d’eccellenza ti abbandona e ti lascia ancora una volta fragile, malato, vulnerabile. Per Iulian inizia così la vera gara: quella per continuare a vivere e ritrovare un equilibrio psicofisico che sembra perduto per sempre. E anche qui fatiche e sofferenze, le tue e quelle di chi ti vuole bene, salite e discese dietro le quali si nasconde la morte o la sua succedanea, la malattia invalidante. Ma Iulian è uno tosto e non molla. Neppure quando la disperazione comincia spesso, troppo spesso, a fare capolino tra le pieghe di giorni ospedalieri sempre uguali, in mezzo a terapie provate e abbandonate perché inadeguate, alle prese con un organismo e un cervello che non ne vogliono sapere di trovare una stilla di requie. Poi, a poco a poco, Iulian riesce a fare pace col proprio corpo: lo aiutano i medici e gli infermieri, una madre vigile e inflessibile nel rispetto delle terapie, l’amata cagnetta Nadine e la solidarietà e la condivisione di tanti e tanti altri compagni di sfortuna.
Oggi Iulian appare un uomo nuovo: non lo spaventa un’impegnativa patologia diabetica che gli impone controlli continui e snervanti e non poche complicatezze alimentari. I pensieri autolesionistici sembrano lontani, ormai alle sue spalle. Ha anche ripreso a correre, sia pure con moderazione. Durante i lunghi giorni d’ospedale si è guardato spesso intorno e ne ha ricavato l’impressione di un mondo solo apparentemente “social”, ma nel profondo egoista, fatuo, narcisista a cui il nostro giovane scrittore non vuole arrendersi. E scrive: “non credete anche voi che lo slogan “andrà tutto bene” uscito fuori durante il lockdown dovrebbe prendere la forma di un abbraccio reale, braccia strette attorno alle nostre spalle in maniera fraterna anziché postare foto in rete?”
Una domanda retorica. Certo che sì, Iulian.
Iulian Emil Murgoci, Il Passatore. Diabete e vita “asocial, Abra Books Narrativa, Vicenza 2020, Euro 12,00
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