di Gianni Quilici
Un corto di 15 minuti (presentato in anteprima mondiale al 38° Torino film festival) in un bosco di alberi alti e svettanti lungo la linea di un confine, in un paese imprecisato dell’Europa dell’Est. Tre ragazzi cercano resti appetibili lasciati dal passaggio di profughi. Tre ragazzi con personalità contrapposte. Il protagonista contemplativo verso la bellezza del creato (lo sguardo volto anche verso l’alto tra alberi e cielo), ma soprattutto profondamente empatico verso la tragedia che questi poveri oggetti lasciano trapelare e che per associazione gli rimandano una tragedia che quel bosco aveva conosciuto, durante la seconda guerra mondiale; gli altri ragazzi, diversamente, vivono la futilità del loro presente consumistico, chiusi a ciò che sta accadendo, come dentro a una cappa che li rende ciechi.
Un corto realistico e simbolico, poetico e politico. Apparentemente semplice, in verità complesso per il sottotesto simbolico. Cinematograficamente ambizioso, perché mescola nello stesso tempo e con il medesimo linguaggio realistico il passato come visione immaginaria (la ferocia dei nazisti nei confronti di una coppia con la loro bambina) con il presente ( donne, uomini, bambini in fuga dalla guerra e dalla fame picchiati e ammassati alla frontiera), rendendo implicito il messaggio didascalico.
Una scelta che mi ha fatto pensare all’ultimo Buñuel, dove immaginazione e realtà si fondevano naturalmente. In Buñuel con la leggerezza di una sottile adorabile ironia; in Emanuela Ponzano attraverso uno sguardo, lo sguardo drammatico del protagonista, Zoltan Cservak, già visto nel premiatissimo “Il Figlio di Saul”.
E questo straordinario sguardo, è l’utopia. La contrapposizione contro la ferocia del Potere, e di un certo potere, presente e passato, ma anche verso l’indifferenza apatica dei suoi due compagni. Ed è questo sguardo doloroso, empatico, riflessivo e infine anche propositivo, di chi agisce come può, la “nuova prospettiva” come utopia possibile. Utopia che nasce dalla memoria, da una scelta morale che diventa azione.
Qui attraverso il cinema, il linguaggio del cinema che, come nota Mimmo Mastrangelo ne La linea dell’occhio , “trova un alto compimento tanto nei trattenuti movimenti di macchina di Emanuela Ponzano, quanto nella curata fotografia di Daniele Ciprì”.
Regia: Emanuela Ponzano
Anno di produzione: 2020
Interpreti: Zoltan Cservak , Donatella Finocchiaro, Ivan
Franek.
Sceneggiatura: Emanuela Ponzano, Simone Riccardini
Musiche: Teho Teardo .Montaggio: Marco Spoletini. Costumi:
Grazia Colombini.
Scenografia: Cristina Bartoletti, Ilaria Sadun. Fotografia: Daniele Ciprì
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