di Marigabri
“Io ballo e canto, giro sempre più veloce, giro e tocco il cielo matto, giro e il sole saltella per la gioia, le siepi vacillano, gli alberi si ribaltano, cado in mezzo ai petali caldi di sole”.
Inès Cagnati, figlia di migranti veneti, nasce in una imprecisata zona dell’Aquitania e, insieme alle tre sorelle, vive un’infanzia povera ed emarginata nella sperduta campagna francese. E di questo prevalentemente scrive in questi racconti magici e magnetici.
Sono gli anni Quaranta, l’ambiente sociale è ostile, i padri sono pressoché ingrugnati e scontrosi, le madri dure e frettolose, le maestre manesche e vendicative. Le bambine invece, per il dono naturale di essere tali, sono (o potrebbero essere) leggiadre e felici, in completa sintonia con la natura, gli animali da cortile, l’acqua dei ruscelli, il cielo aperto e la terra dei campi.
Ma il contorno umano non aiuta, l’asprezza dei tempi percuote la soavità naturale dell’infanzia, i piccoli drammi riguardano la perdita o l’abbandono degli animali, la pena per i genitori affaticati, ma anche la discriminazione a scuola, la miseria e la solitudine che testimoniano la dura vita da espatriati considerati come rifiuti sociali.
Alcuni, tra i racconti, sono piccoli miracoli, soprattutto per il punto di vista della bambina che è la limpida voce narrante e ci conduce in una visione del mondo sradicata, intima e straniante, nel paese perduto e immortale dell’infanzia. Così La tacchinella, La bambina in azzurro (capolavoro), Le lucertole e L’infedele.
“Alla fine, il nonno e la nonna si risiedono sulla loro bella panchina bianca. Restano lì, con le mani in grembo, a guardare il volo vellutato dei pipistrelli nel crepuscolo violaceo.”
“Io ballo e canto, giro sempre più veloce, giro e tocco il cielo matto, giro e il sole saltella per la gioia, le siepi vacillano, gli alberi si ribaltano, cado in mezzo ai petali caldi di sole”.
Inès Cagnati, figlia di migranti veneti, nasce in una imprecisata zona dell’Aquitania e, insieme alle tre sorelle, vive un’infanzia povera ed emarginata nella sperduta campagna francese. E di questo prevalentemente scrive in questi racconti magici e magnetici.
Sono gli anni Quaranta, l’ambiente sociale è ostile, i padri sono pressoché ingrugnati e scontrosi, le madri dure e frettolose, le maestre manesche e vendicative. Le bambine invece, per il dono naturale di essere tali, sono (o potrebbero essere) leggiadre e felici, in completa sintonia con la natura, gli animali da cortile, l’acqua dei ruscelli, il cielo aperto e la terra dei campi.
Ma il contorno umano non aiuta, l’asprezza dei tempi percuote la soavità naturale dell’infanzia, i piccoli drammi riguardano la perdita o l’abbandono degli animali, la pena per i genitori affaticati, ma anche la discriminazione a scuola, la miseria e la solitudine che testimoniano la dura vita da espatriati considerati come rifiuti sociali.
Alcuni, tra i racconti, sono piccoli miracoli, soprattutto per il punto di vista della bambina che è la limpida voce narrante e ci conduce in una visione del mondo sradicata, intima e straniante, nel paese perduto e immortale dell’infanzia. Così La tacchinella, La bambina in azzurro (capolavoro), Le lucertole e L’infedele.
“Alla fine, il nonno e la nonna si risiedono sulla loro bella panchina bianca. Restano lì, con le mani in grembo, a guardare il volo vellutato dei pipistrelli nel crepuscolo violaceo.”
Inès Cagnati. I pipistrelli. Adelphi.
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