05 dicembre 2012

"Donne contro castità e silenzio" di Luciano Luciani







La quaresima dei sensi

Debole, come è noto, la carne. E ci sono stati tempi in cui le esigenze del corpo, i suoi desideri, le sue pulsioni risultarono oggetto di incomprensioni profonde e severe censure. Prendiamo il matrimonio: per la Chiesa non è che un remedium concupiscentiae e i rapporti sessuali tra coniugi sono ammissibili solo al fine della procreazione. Guai a desiderare troppo la propria moglie: ci si trasforma, allora, in peccatori, in adulteri. Tra le lenzuola la donna ha l’obbligo di mantenersi passiva, mentre l’iniziativa e qualsiasi altra attività sono prerogative lasciate all’uomo che le deve, però, svolgere in maniera moderata e senza particolare entusiasmo. Severamente vietate le pratiche contraccettive, abominevole la sodomia, non solo omo ma anche eterosessuale, condannata come diabolica insieme a tutte le altre pratiche (masturbazione, fellatio) con cui una donna avrebbe potuto tentare di legare maggiormente a sé un uomo. Il Decretum del vescovo di Worms a uso dei confessori informava dettagliatamente sulle modalità della copula tra coniugi: “se l’accoppiamento è avvenuto da tergo, alla maniera dei cani” era prevista una “penitenza di dieci giorni a pane e acqua”.

È l’atto sessuale in sé, anche se legittimato dal vincolo del sacramento del matrimonio, a essere peccaminoso. In fondo, sentenzia san Tommaso, l’atto coniugale costituisce sempre un peccato e, ancora un secolo dopo, il santo francescano e predicatore insigne Bernardino da Siena (1380 – 1444) consiglia agli sposi che se proprio devono intrattenere tra loro relazioni di tipo sessuale, lo facciano almeno come un dovere, evitando qualsiasi godimento o soddisfazione carnale.

La Chiesa, con la sua organizzazione capillare, attraverso la predicazione e l’esempio dei suoi esponenti migliori contribuì potentemente al diffondersi di una concezione sessuofobica e sessuorepressiva, che se anche non prevalse con pienezza sempre e dovunque, pure lasciò tracce profonde nel costume e nella mentalità di generazioni e generazioni di europei. Per secoli, irlandesi e inglesi, tedeschi, francesi e italiani plasmarono i propri comportamenti sessuali secondo dettami che risalivano a monaci, eruditi, santi e dottori della Chiesa medioevale. Per esempio, il Venerabile Beda (672 – 735), il cui Penitenziale prescrive inflessibili sanzioni per ogni manifestazione della sessualità: un anno di digiuno per chiunque si macchi della colpa di un rapporto sessuale prima del matrimonio; quaranta giorni di digiuno per un’erezione; sette salmi da cantare immediatamente inginocchiati accanto al letto per una polluzione notturna e altri trenta il mattino successivo appena alzati.

Non scherza nemmeno il santo benedettino francese Oddone di Cluny (879 – 942) quando nelle sue Meditationes si interroga su come mai quanti rifiutino di toccare gli escrementi o la materia purulenta che promana da una piaga, possano poi desiderare di baciare quel “sacco di sterco” rappresentato dalla donna.

Le rivoluzionarie cortigiane.

È destinata a durare a lungo la quaresima medioevale, mentre nel suo seno cova, lentamente la lussureggiante primavera dei sensi del Rinascimento. Un tempo ridotto, assai più breve del Medioevo, ma tale da porsi come un momento imprescindibile ed eminentemente dinamico nella storia dell’umanità. Con le sue specificità e le sue contraddizioni, le sue zone di luce e quelle in ombra, i suoi protagonisti e, per la prima volta nella storia, una ampia leva di protagoniste. Ovvero, donne che, partendo da una posizione subordinata quant’altre mai come quella di prostituta, seppero riscattare la loro condizione subalterna ed esercitare, di fatto, un potere non indifferente nella arti, nella cultura, nella politica, nella mentalità e nel costume. Un fenomeno che riguardò soprattutto la Penisola dove abbondavano le corti che rappresentavano centri di ricchezza e sedi di opportunità artistiche: qui molte occasioni si offrivano a donne intelligenti, ambiziose spregiudicate. Una minoranza, certo, ma comunque capace di impressionare in maniera indelebile l’immaginario europeo. Toccate in qualche misura da quella educazione umanistica che aveva conosciuta la sua massima espansione tra il XV e il XVI secolo, queste cortigiane, al canone consolidato della mentalità tradizionale che le voleva filatrici, tessitrici, silenziose e caste, seppero sostituire un ideale alternativo. 

Quello desunto dalla lettura e rielaborazione del Libro del cortigiano di Baldassar Castiglione (1478 – 1529) per il quale anche alle donne competeva la conoscenza delle lettere e della pittura, della musica e della danza: abilità e competenze a cui non era disdicevole, anzi motivo di merito, che si accompagnasse una conversazione vivace, arguta, colta. Forti di queste armi, oltre a quelle seduttive, le cortigiane osarono apertamente mettere in discussione “la duplice convenzione della castità e del silenzio femminile: esplicite, belle e coraggiose, la loro descrizione della propria posizione sociale e sessuale costituisce il fulcro del loro messaggio.” Ma durò poco, solo una breve stagione. La loro “è una lotta destinata all’insuccesso, dato che, alla fine del Rinascimento, la fissità dei ruoli sessualmente definiti della donna è stata riaffermata a ogni livello della società e della cultura, e la condizione femminile non è avanzata ma si è avviata a un progressivo declino”.





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