20 novembre 2013

"Manifesto per la soppressione dei partiti politici" di Simone Weil



di Gianni Quilici

E’ un manifesto di 20 pagine scritte da Simone Weil pochi anni prima della sua morte, avvenuta nel 1943. Un manifesto per la soppressione dei partiti politici. Perché? Perché lo scopo di un partito –sostiene Simone Weil - non è il bene e il giusto, ma la propria crescita, senza alcun limite. Il partito è una macchina per fabbricare una passione collettiva che esercita una pressione condizionante in ognuno degli esseri umani che ne fanno parte. Per questo ogni partito è totalitario in nuce e nelle aspirazioni.
Questo argomenta in sintesi Simone Weil.

Per capire la forza e l’importanza di questo manifesto dobbiamo collocarlo negli anni ’40, quando predominava nella sinistra, e in particolare nel PCF, lo stalinismo. Il manifesto è quindi anche uno strumento coraggioso di lotta politica e ideologica contro  il clima regressivo dominante.

L’ambizione di Simone Weil va, però, oltre la contingenza politica. Vuole assurgere a verità assoluta allora come oggi. Ed oggi per la crisi dei partiti potrebbe apparire ancora più urgente e più credibile.
Pur non avendo letture e esperienze per affrontare a fondo questa questione, vorrei porre alcuni temi di riflessione.

La prima: se ogni partito è in nuce totalitario, allo stesso modo anche qualsiasi gruppo o movimento, che si pone, soprattutto, il problema di governare, ha in seme questa possibile totalitarietà. Può esistere, quindi, una democrazia che ci comprenda tutti, oppure più verosimilmente esiste una continua dialettica tra autoritarismo  e libertà?

 La seconda riflessione: Jean Paul Sartre osserva che “il partito è in rapporto alla massa una realtà necessaria, perché la massa in sé non possiede neppure una spontaneità”. Però osserva Sartre che “appena il partito diventa istituzione, è –salvo casi eccezionali- reazionario in rapporto a quello che esso sollecita o crea gruppo in fusione”. E  in questo che si potrebbe chiamare anche movimento,  Sartre individua diverse forme di coscienza di classe molto diverse tra loro: da una parte una coscienza avanzata, dall’altra una coscienza che quasi non esiste e fra di esse una serie di mediazioni. Il partito di fronte a questo “diventa un bene, perché impedisce di cadere nella serializzazione completa”. Tuttavia “rispetto a una massa in fusione il partito è sempre in ritardo, anche quando tenta di dirigerlo, perché la impoverisce, cerca di subordinarla a sé, se addirittura non la rifiuta, non la smentisce”... Perché esso “cresce come un insieme di istituzioni, quindi come un sistema chiuso, appesantito, tendenzialmente sclerotizzato”. (1)

Sartre pone quindi questo dilemma: come superare la contraddizione inerente alla natura stessa del partito, in modo che questo costituisca una mediazione attiva fra sé e gli elementi serializzati e massificati dei movimenti?

Problema che si pone anche Lucio Magri, che tuttavia è perentorio nella necessità del  partito. “Puoi fare tutte le manifestazioni che vuoi sull’articolo 18, sulla pace, sui diritti dei cittadini, su una giustizia giusta- dice Magri- “ma se queste mobilitazioni non si sedimentano, se non vi è un progetto politico, se non vi è un partito capace di raccogliere queste esperienze –come dimostra la storia di questi anni- ogni patrimonio rischia di disperdersi”. (2)

Ma allora che tipo di partito? Su questo interrogativo  Lucio Magri offre molti spunti ancora   oggi validi, difficili da schematizzare, presenti in una pubblicazione oggi introvabile “Classe, consigli, partito” (quaderno n. 2, realizzato dal manifesto, alfani editore) .

Infine,  una teoria del partito, per essere oggi all’altezza dei tempi, deve non solo avere consapevolezza che si vive in una società fortemente tecnologizzata e globalizzata, dove uomini, donne, bambine, bambini rischiano di diventare sempre più un prolungamento delle macchine, frantumati nel pensiero, nei sentimenti e nel tempo; ma anche che una risposta a questa tendenza contraddittoria non può non avere un forte spessore culturale e immaginativo, raccogliendo il meglio del pensiero sociologico e psicoanalitico. Una scommessa comunque difficilissima per la sproporzione tra i mezzi del capitalismo e quelli di chi si rivolta siano essi movimenti, partiti o stati.

1) Quando si pensava in grande. Tracce di un secolo. Colloqui con venti testimoni del Novecento di Rossana Rossanda (Einaudi, pagg. 241, euro 17,50)
2) Alla ricerca di un altro comunismo di  Lucio Magri. Il saggiatore., pagg. 288, euro 18.50)

Simone Weil. Manifesto per la soppressione dei partiti politici. Castelvecchi, collana Etcetera. pagine 60.  € 6.

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