10 marzo 2014

"La linfa dell'eros: Nozze a Tipasa" di Albert Camus


di Emilio Michelotti

Critici autorevoli hanno rilevato la circolarità del percorso culturale e umano di Albert Camus. In questo breve racconto giovanile compaiono, in effetti, alcuni dei temi tipici della sua produzione letteraria e filosofica: la fisicità, l'individuo di fronte a sé e al mondo, l'orgoglio dell'appartenenza a una stirpe, a una specie e a una condizione, quella di uomo, che “ci fa un dovere d'essere felici”.

E' un giorno di sole vicino ad Algeri, c'è il mare, le rovine d'una antica civiltà, una natura rigogliosa che grida le sue fioriture multicolori. C'è una donna, lo s'immagina dal “noi” che talvolta compare. Non verrà mai descritta, né chiamata per nome, solo marginalmente evocata. L'attenzione dei giovani sensi è tutta proiettata verso la contemplazione estatica, quasi un amplesso erotico con la grandiosità degli spazi, l'intensità dei profumi, la vivezza dei colori.
“Perché, davanti al mondo, negherei la gioia di vivere? Non c'è disonore a vivere felici, l'imbecille è colui che ha paura di gioire. A Tipasa, io vedo equivale a io credo”

In altra parte Camus dichiara: “Qui, lascio ad altri l'ordine e la misura. E' il gran libertinaggio della natura e del sole, che s'impossessa completamente di me”. Persino il mare partecipa di tale esaltazione erotica, poiché “succhia le rocce con un mormorio di baci”.

Il tripudio di queste nozze ierogamiche fra il giovane Camus e la tumultuosa linfa vitale che lo circonda dà le vertigini. Ma non al punto da fargli smarrire del tutto il pensiero critico, che lo riporta a un socratiano – e mai più abbandonato - senso del limite: “Che bisogno ho di parlare di Dioniso per dire che mi piace schiacciare le bacche del lentisco sotto il naso?”

Ma non è così facile diventare ciò che si è, ritrovare la propria misura profonda. E' il 1937, la guerra e gli stermini sembrano, a uno sguardo incantato, non appartenere al futuro. L'assurdo dell'esistere e la rivolta contro la propria falsa coscienza covano, per ora, sottaciuti di fronte a quelle concordanze dei sensi chiamate “amore”. Che non dobbiamo, con debolezza, rivendicare per noi soltanto, ma, come suggerisce Platone con le parole di Diotima nel Simposio- e come rivendica a sua volta Camus – estendere all'universo intero.

Nozze a Tipasa, in “Camus, Saggi letterari”- traduzione di Sergio Morando. Bompiani 1959                                                 

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