30 marzo 2014

“Le Antigoni” di George Steiner



appunti di Emilio Michelotti

Questo magistrale studio si apre con la constatazione dell’esistenza, nel testo tragico, di imbarazzi atavici legati all’organizzazione familiare incestuosa (la comunità mostruosa delle origini umane – Caino e Abele sposati alle sorelle). Le figlie-sorelle di Edipo (Antigone e Ismene) sono un essere solo, “comune”, figlie e nipoti di Giocasta. Vi è un legame di sangue iperbolico, assimilazione-ingerimento dell’una nell’altra.

Anche la casa di Laio ha una coesione genealogica, ma ben diversa: Polinice-Etèocle –i due fratelli rivali rappresentano una fusione di dualità. La sintassi della separazione individuale (la nostra), va contro i misteri e i diritti di sangue. Il coro, nell’ottica di Steiner, è vestigia della collettività tribale che rendeva possibili e necessarie le fusioni di sensibilità, intenti e azioni. Antigone è“ innamorata, appassionata, dell’impossibile”(V.90).
Nel V stasimo il coro è “ditirambicamente” teso all’arrivo di Dioniso, mentre nel I stasimo, ”l’Ode all’Uomo”, (gli stasima sono le odi corali) è insita una dialettica insolubile fra un ritorno al focolare totemico e il nuovo focolare, un’istituzione privata garantita dalla legge.

Solo in un ritorno alle tenebre, alla “notte della tomba di roccia”, Antigone potrebbe ritrovare la collettività primitiva e ricongiungersi alla triade Edipo-Polinice-Etèocle. Ma non è sicura che la morte non si rivelerà una solitudine ancora più acuta di quella che deve sopportare in vita (il destino è falso e ironico).
Le sovranità dell’individuo proclamate dal metodo cartesiano hanno lasciato l’uomo nudo. Per Steiner è convincente l’interpretazione junghiana della natura corale dell’arte e del mito. Le voci della consanguineità emergono dalle incertezze consolatrici dell’ombra e, allo stesso tempo, cercano di ritornarvi.

L’autore paventa un rischio e individua un’antinomia: il proliferare delle interpretazioni rischia di seppellire il poema, eppure la sua sopravvivenza è anche assicurata dal processo ermeneutico
Versi 198-206 – Creonte lancia a Polinice una triplice accusa: vuole ridurre in schiavitù i tebani; vuol mettere a ferro e fuoco la città; è venuto per “per bere il sangue, per cibarsi dei suoi congiunti”. (Lo stile di questo passo è, dice Steiner, “primitivo”, con influenze omeriche e dei Sette contro Tebe di Eschilo).

L’editto di Creonte che condanna all’insepoltura i resti di Polinice non è solo furbizia per far aderire il coro e i cittadini a una causa dispotica. Anche se fosse questo il pensiero di Sofocle, oggi, dopo l’affermarsi della critica ermeneutica, non possiamo accettare, dice Steiner, il potere assoluto dell’autore nel determinare i significati. Inoltre, per Steiner, il decostruttivismo ermeneutico era già inerente alla pratica drammatica greca, era già presente e in azione nel coro, in modo “autosovversivo”.

La tragedia, ma tutta la cultura greca, riflette e comunica l’esperienza umana in termini conflittuali e polemici, agonistici, come nessun altro pensiero prima di Hegel.

 Antigone, rifiutando la “verità di guerra”, manifesta un’etica femminile e antieraclitea (nella visione di Eraclito la guerra è totale, coinvolge dèi, mortali, animali e natura). Per lei la guerra è calamità che stravolge il sistema stabile di fedeltà “parental-trascendente”.

Eric Dodds, ricorda Steiner, ha studiato magistralmente gli atteggiamenti dei Greci nei confronti dell’irrazionale. Pochissimo sappiamo però delle “sospensioni di incredulità” che la tragedia dionisiaca implicava (conoscenze mitologiche, accettazione del divino e del demoniaco, grado di ironia letteraria nel corpo della tradizione mitica). In che misura il miracoloso si trasformava in metaforico? Nelle Baccanti di Euripide, ad esempio, persiste una forza primordiale di nudo terrore.

 Nei miti è incisa la possibilità del soprannaturale, sia in quelli erosi, sia nei miti-ombra che formano le metafore e la stessa sintassi umana, dove affiora, specie nei poeti, il misterioso, l’extrasensoriale, l’allucinatorio, l’ipnotico. Conrad (Cuore di tenebre) è profondamente sofocleo. –Solo la musica può compiere questa estrinsecazione in modo più tenebroso ancora del linguaggio. Per questo i versi 417-425 sono “intraducibili”.

Versi 422-423- Che cosa evoca il discorso della guardia? Terrore imminente, possibilità di un intervento soprannaturale: la colonna di polvere vorticosa nasce dalla terra e s’innalza verso il cielo. Il primordiale santuario dei morti, la terra, è trasformata in un vortice di polvere: quella che Antigone sparge sul cadavere di Polinice sale verso gli stessi dèi che l’hanno suscitata. C’è una contiguità fra la sepoltura che Antigone dà a Polinice e il vortice sollevato dagli dèi, le cui polveri si uniscono indissolubilmente.
Il nido-letto di Antigone sarà vuoto, non diventerà mai sposa e madre, la sua progenie è annientata in nuce (Freud e Sofocle coincidono sull’identificazione del nido-grembo-letto). Il lamento e gli strilli da uccello di Antigone sono più antichi, meno razionali dell’uomo e del suo discorso.

 Il coro è sensibile alle manifestazioni fenomeniche del divino ed è timoroso che tali manifestazioni siano pericolose per la città: solo nel V stasimo, fuori-di-sé, valicherà il limes della razionalità e della Tebe civica, con l’invocazione estatica a Dioniso.
 L’astensione, l’esclusione dei fatti della fisicità violenta dalla scena dà al “mondo della parola” un’urgenza di intensità paradossale, che acquista energie e forze: la parola diventa attore, si libera dall’asservimento alla (simulata) azione.

“Su ciò di cui non si può parlare non si può tacere”, Heidegger (e Steiner con lui) rovescia Wittgenstein: egli scorge anche in Sofocle, come in Holderlin, una presenza residuale, gli ultimi fuochi dell’Essere stesso, del nucleo ontologico che precede il linguaggio e da cui il linguaggio attinge le sue capacità di significare molto di più di ciò che può essere detto.

19)- Nei versi 441-581 Sofocle realizza la totalità delle categorie dei conflitti attraverso i quali l’uomo definisce se stesso –avvenimento unico, per Steiner, nell’intero quadro universale dei testi letterari: dialettica dei sessi, delle generazioni, della coscienza privata e del bene pubblico, della vita e della morte, del mortale e e del divino. Sono le componenti radicali dell’umanità, che va sempre provata e delineata daccapo nel confrontarsi con l’altro. Esaminiamole.

1- Se di tutta la letteratura ci restasse solo questa scena centrale dell’Antigone, i lineamenti fondamentali della nostra identità e della nostra storia, certamente per quel che riguarda l’Occidente, sarebbero visibili. Il primo assoluto in conflitto è fra uomo e donna, essi sono una sola cosa eppure sono inalienabilmente diversi: è il paradosso del fac-simile, fonte originaria dell’incomprensione e forse della stessa tragedia dionisiaca. Ogni scambio verbale è drammatizzato da una dualità psicosomatica, perché mostra l’unità dell’amore e dell’odio.

2- La centralità dell’erotico è un fenomeno cristiano. Qui al centro è posto l’ordine naturale (cosmico) e la sua gerarchia fondamentale: la forza “maschile” (politica) di Antigone nega la virilità di Creonte. “Nessuna donna mi governerà”, afferma il re: meglio andare in rovina per mano di un uomo che soccombere, anche di poco, a una donna (questo dirà Penteo nelle Baccanti).

3- Eppure, una volta vittima, evolve la femminilità di Antigone: ella piange dentro di sé le altre vite future che solo una donna può generare. Anche il suo suicidio ha un’aura femminile, perché è risposta primordiale alla insensibilità maschile; e la morte illibata –come il parto illibato presente nei miti di tutte le culture- conduce al centro ctonio di quello che è la donna.

4- Nemmeno i conflitti fra generazioni sono negoziabili: tema antropologico ma anche poetico (le radici dell’Ellade si trovano forse nel XXIV dell’Iliade, dove il vecchio Priamo e il giovane Achille si incontrano per discutere la restituzione al padre del corpo di Ettore). La vecchiaia è degna di onore perché sinonimo di saggezza, eppure significa rischiare la derisione per le proprie infermità e per il declino della sessualità. Nella morte dell’eroe giovane in Sofocle c’è la stessa simmetria fra spreco e gloria che in Omero: è meglio non esser mai nati, o altrimenti morire giovani. La vecchiaia è quel che di peggio possa capitare (Sofocle-Edipo a Colono)

5- Qual è il peso della giovinezza di Antigone quando s’appresta a morire? Ella indica la mostruosa singolarità della procreazione incestuosa –è sorella e figlia di Edipo- e, al tempo stesso è “la più filiale delle figlie” (Edipo a Colono). E’ selvaggia e rozza come suo padre e come i cani mangiatori di carne umana dai quali bisogna preservare i resti di Polinice. La forza oscura dei versi corali, dice Steiner, lascia intravedere nel testo un rapporto inquietante fra l’istinto primitivo dell’uomo e quello delle bestie predatrici e divoratrici di carogne.

6- E’ nella natura dell’uomo (Creonte assassino di figli, gli grida Euridice) provocare la morte violenta della sua progenie. Sofocle indica una norma prescrittiva: si deve sacrificare anche la vita delle persone più care agli ideali più nobili di difesa della città e della civiltà. (E’ la motivazione con cui statisti e generali spediscono i giovani alla tomba).

7- Il conflitto fra coscienza e stato, com’è “inventato” da Sofocle (v.450seg), rappresenta il testo canonico della percezione occidentale dell’individuo e della società: è un dialogo fra sordi. Dove si situa l’abisso fra le domande di Creonte e le risposte di Antigone? Creonte è la temporalità (diritto, giustizia, legge –una violenza contro la physis?-), Antigone è l’eternità (forze soprannaturali e arcaiche non scritte ma ancora vive, non soggette a revoca,  armonia originaria del cielo con la terra). Ma questo ritorno all’assoluto può verificarsi nell’ordine temporale dell’esistenza o solo con la morte? Se le “leggi non sovvertibili” invocate da Antigone hanno un’universalità e un’eternità manifeste perché non sono incise anche in Creonte e nel coro?

8- Non c’è risposta: il tempo non è in comunicazione con l’eternità, Antigone sceglie coscientemente una morte che Creonte non può capire, perché essa ha una legittimità tutta anarchica, precedente alla ragione civica. Sofocle, come gli Eleatici prima di lui, vede nell’invenzione della parola un passo immediato verso l’organizzazione statale. Ma, come dirà Freud, egli sa che la stessa civiltà produce i propri malesseri mortali, generando costrizioni e autodistruzioni.

9- Non si può sfuggire al paradosso della colpa innocente (il parricidio e l’incesto involontari di Edipo), eppure deve avvenire la transizione da un codice di relazioni solipsistico-familiare a un codice di storicità e ragione civica: sul filo di intuizioni contraddittorie, l’azione maledetta di Antigone sembra incarnare le aspirazioni etiche dell’umanità, mentre invece il legalismo civico di Creonte provoca la devastazione.
L’intelligenza misteriosa dell’uomo ha dominato il cosmo, ma Eros, padre della pazzia e della discordia, dominando l’uomo, ha dominato tutto, compreso gli immortali. La pienezza dell’essere si collega a un potenziale minaccioso di distruzione essendo al di là del bene e del male, al di là della sfera etica: Eros è collocato a fianco delle leggi eterne. Antigone sfida anche queste leggi, rinunciando, con le sue nozze con la morte, all’iniziazione e alla consumazione sessuale: è una strada velleitaria, che disegna una dialettica inconciliabile fra legge morale e vitalità.

George Steiner
10- Versi 1115-1152. Ogni elemento di questi versi contribuisce a dare il senso della possessione ditirambica (un pensiero dalla profondità straordinaria, suppone Steiner, veniva danzato, mettendo il linguaggio “fuori di sé”, in un’illuminazione violenta di musica e gesti). Dioniso ha potere di vita e di morte, di rinnovamento e di distruzione, sia nella trance che nella lucidità –l’epifania di Dioniso è anche rovina. L’intera città è contaminata (verso 1141) dall’animalità dell’uomo, ma è anche minacciata dalle visitazioni del divino. Sofocle è ossessionato da presentimenti in merito a una fragilità radicale che incombe sulla città dell’uomo, dalla consapevolezza della terribile facilità con cui l’uomo può essere abbassato al di sotto o elevato al di sopra della sua condizione –due movimenti ugualmente fatali per la sua identità e il suo progresso.

11- Molti, oltre a Kierkegaard, hanno osservato che Antigone è pervasa di morte: soprattutto la seconda metà della tragedia è costituita da una serie di variazioni su questo tema, caratterizzata com’è da una forte intensità e complessità, a partire dal canto di morte di Antigone fino alla visione apocalittica di Tiresia. Sofocle porta in scena la marcia inarrestabile dei morti sulla società in dissoluzione dei vivi. Persefone, dal profondo dell’Ade, attrae a sé Antigone, Emone, Euridice e Megareo: il Messaggero, nel verso 1173, afferma che appartenere ai vivi significa essere assassini di morti. Le barriere della città secolare si rivelano fragili e inadeguate: “cadavere abbraccia cadavere” (v.1240), è la morte ora ad essere “nuova” e “giovane” (v.1288).

12- Solo il coro, composto da vecchi, è radicato alla vita. Alle origini del pensiero metafisico, Anassimandro poneva una simmetria del soffrire col vivere e il mistero di un’ingiustizia ineluttabile implicita nelle azioni umane: Sofocle spinge quest’idea di compensazione fino al commercio, all’equiparazione, tra vita e morte.

13- Il quinto grande asse riguarda l’incontro tra uomini e divinità. Tutta la tragedia ha una dimensione esplicitamente religiosa, come la mitologia che ne è la materia di riferimento. E’ una singolarità della cultura attica, che spiega anche la brevità di questa esperienza creativa, data la sua tensione interrogativa e sovversiva, tra epifania del dio e metaforizzazione  -umanizzazione-  dei suoi poteri. Fra i riti enfatici, mimetici e catartico-terapeutici della tragedia e il contesto del dibattito politico-metafisico c’è un evidente iato: dalla collettività al singolo individuo, da Solone a Socrate, da una possibilità immediata di dispiegamento simbolico teso e conciso, alla ragione civica predominante.

Se in Eschilo c’è un sentimento di vicinanza con gli dèi, funzionale allo stadio titanico e precivico dell’evoluzione, se la duplicità di Euripide rende gli dèi irrazionali –più arcaici delle loro vittime mortali-, la sensibilità di Sofocle, dice Steiner, coglie sia la minaccia della pressione anarchica dell’irrazionale sulla civiltà, sia la hybris presente nelle energie del progresso e della volontà di potenza.

Le intimità primitive tra uomini e dèi sono ormai raggiungibili solo in modo eccentrico o “scandaloso”: l’incesto di Edipo è come il ricordo dell’incesto più grande, quello fra uomini e dèi. “Un umanesimo visitato dalla trascendenza” è la definizione di Steiner della pietas sofoclea.

Creonte vede il suo rapporto con Zeus come una relazione blasfema di utilità reciproca: un do ut des. L’Antigone  è  dunque antitheos? Sofocle è, per Steiner, per ben distante dall’accento omerico ed eschileo sulla sostanzialità imminente del soprannaturale: per lui gli dèi si accalcano vicino alla negazione, da qui l’ambiguità della prossimità umana col divino, che è tenuto a “distanza di sicurezza”.

La contiguità fra dèi e mortali è foriera di catastrofi: nelle Baccanti di Euripide l’ibrido Dioniso –misteriosa progenie di un incontro estatico di Zeus con la mortale Semele- supera la barriera del limes  per vendicarsi.
             Nell’esaltazione di una percezione invasata il coro nomina e danza i tre miti del terrore che si collegano all’incontro erotico e fatale degli dèi con gli uomini, perché il dio è lì, è presente sull’altare dell’anfiteatro: gli uccelli gridano barbaramente, Efesto rifiuta la sua presenza, la fiamma sacrificale non si accende e il grasso e le viscere non bruciano, perché la città è infettata dalla carne putrefatta strappata dagli uccelli al corpo insepolto di Polinice (vv.1039-1044). Creonte scaglia una bestemmia che con rozza impudicizia assale lo stesso trono di Zeus: mai farò seppellire Polinice, nemmeno se le aquile di Zeus portassero il suo cadavere fin lassù.

           Alla fine gli dèi arrivano e la civiltà e la struttura della ragione soccombono: il conflitto uomo- divinità, com’è messo in atto nella tragedia greca, ha carattere atemporale: non è negoziabile ed è necessario quanto insolubile. Da qui la condizione tragica dell’uomo: la ragione, che è la sua essenza, lo allontana irreparabilmente dalla physis, dal suo rapporto con l’unità del tutto
                                                                                                   
George Steiner. Le Antigoni. Garzanti.

Nessun commento: