Gianni Quilici. Autoritratto |
non certo una recensione (E. M.)
di Emilio Michelotti
Stamani un che fra l'angoscia e la frustrazione mi ha svegliato. In pratica mi scappava follemente da pisciare. Sono corso in bagno, lo stimolo era insopportabile, ma l'atto di impossible realizzazione: il cazzo s'era talmente indurito che non me lo permetteva. Aspetto. Niente, non vuol saperne, si rifiuta.
Ho nel cervello, chissà perchè, il primo tema della Renana, e negli occhi della mente lo struscio ritmico delle cosce di una femmina felliniana che, sbucando da dietro una colonna, avanzando lentamente mi porge due tette come due lune, bianchissime, dai piccolissimi capezzoli.
Sprazzi della visione arrivano confusamente a coscienza. Ero responsabile di un viaggio del PCI, forse verso un congresso o una manifestazione nazionale. Da quali immagini proviene dunque il senso di inadeguatezza e smarrimento che mi pervade?
Intanto l'uccello fa il suo dovere di pisciatore e mi libera. Oh, indicibile pesantezza dell'esserci! Oh, straniamento di una fuga ai tropici! Ecco, ricordo: mentre mi sderenavo per sistemare tutti in un albergo-casermone-antro metamorfico, senza letti e senza infissi (l'aria effettivamente spifferava dalla finestra rimasta aperta tutta le notte), i compagni s'erano dileguati, forse ripartiti verso dove chissà.
Ero solo, nel cuore desertico di una piccola città sconosciuta. E pensare che avevo preparato un discorso, ma la brunetta che fuma, esile e dalla carnosa bocca vermiglia, mi aveva gridato narciso, egocentrico. Avevo quindi una spiegazione per il nodo alla gola.
Eppure il romanzo, nel tempo che pare segnato dalla fine della forma-romanzo, mi è piaciuto. Forse ha giocato, nelle inquiete apparizioni notturne, la bulimia, la pretesa di decrittarlo in un solo pomeriggio. O forse è perché così siamo fatti: quando una vicenda sta per finire (perfino quella soggettivamente centrale dell'esistere) ti accorgi che era bella e quanto ti mancherà.
“Non è che l'inizio” mi ha dunque convinto, caro Gianni, per il tuo modo nuovo di raccontare, per la sfasatura e l'intersecarsi del tempo, per la spasmodica ricerca di senso che ci hai messo (non so se volutamente, ma che importa?), per l'esigenza di protagonismo, per la sete di autoconfessione. Ma anche per l'esito frustrante esistenzial/generazionale delle avventure interpretate dal personaggio che dice “io”. Ancora e paradossalmente per la smania di vivere il fallimento, di gestirlo ostinatamente fino in fondo, magari con dichiarate speranze di resurrezioni future, che appaiono derivate (scusa la franchezza) da un aporetico ottimismo dell'intelligenza. Con (antifrastica conclusione) la certezza di restituire le ali al famoso sarto di Ulm.
Gianni Quilici. Non è che l'inizio. Tra le righe libri. Euro 13,00.
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