30 settembre 2016

“La società punitiva” di Michel Foucault




di Daniele Guasco



E’ stato pubblicato da poco tempo in Italia (Marzo 2016)  il corso tenuto da Foucault al collège de France tra il 1972 e il 1973: “La società punitiva”. Il testo è necessariamente legato al celebre Sorvegliare e Punire per via della tematica, ma non funziona né come appendice né come bozza di questo. Brilla anzi per ciò che di importante fa emergere sulla prigione e sulla criminalità rispetto al funzionamento della società capitalistica.


Ciò che vi è di più interessante in effetti – soprattutto pensando ai futuri sbocchi della ricerca foucaultiana – è che la prigione, nell’analisi di Foucault, così come gli altri dispositivi che popolano il campo sociale, serve al funzionamento dell’economia capitalistica. Eppure nei testi di Economia Politica non compare nessuna discussione sulle prigioni.


Perché, pur essendo implicate – dal punto di vista di Foucault – nel funzionamento dell’economia non si discute di prigioni e manicomi nei testi di Economia Politica? Per rispondere bisogna considerare che l’approccio foucaultiano a Marx è influenzato soprattutto da Althusser: sono questi due filosofi – Marx e Althusser – a condizionare fortemente gli studi e i metodi di Foucault in proposito. Sono questi due ad aver considerato il processo capitalistico non solo come un processo riguardante la produzione di beni e di profitti, ma anche di soggetti, ed è la divisione tra struttura e sovrastruttura a rendere gli studi di Marx non solo come critica dell’Economia Politica, - come i titoli dei testi di Marx dichiarano - bensì allo stesso tempo studi di portata sociologica e filosofica. E’ così che si passa dal binomio struttura-sovrastruttura a quello enunciati-pratiche. E’ così che nascono gli studi su prigioni e manicomi: luoghi dove si mettono in atto le pratiche del potere, ma anche luoghi dove si costituisce un sapere, dove l’occhio vigile del medico, dello psicologo, del criminologo danno luogo ad una produzione scientifica, volta a legittimare una “micro-fisica” del potere, uno sguardo che esercita un controllo capillare sugli individui. Così, nel connettere il funzionamento micro politico di queste istanze, come la prigione, con il funzionamento globale della società, si dispiega l’opera di cui si parla qui: durante il corso Foucault sostiene che la forma-prigione è la forma della società intera: un sistema di sorveglianze perpetue, di ricompense e di punizioni, di apparati entro i quali la condotta degli individui viene continuamente controllata e sanzionata. Così accade a Foucault di disegnare una sorta di geografia delle istanze del potere: la prigione, la fabbrica, la scuola, non funzionano senza l’apporto della polizia, dei tribunali. Così tutto gioca come in un circuito e ogni elemento è funzionale a tutti gli altri, ad essi essenziale. Giungiamo così al rapporto tra prigione e processo economico: tutte queste istanze implicate nella geografia del potere servono, secondo Foucault, alla produzione e alla riproduzione di forza-lavoro e alla protezione delle merci e del loro scambio. Così viene mostrato nel libro, attraverso dati storici della società inglese ottocentesca, la nascita della polizia – una sua forma embrionale – dall’esigenza di proteggere le merci dalla depredazione, l’imprigionamento di massa per reprimere il vagabondaggio e il furto, conseguenza a sua volta della disoccupazione, a sua volta condizione essenziale per il mantenimento del salario a livello più basso possibile.  E anche quando riuscirà a sfuggire a questo circolo, il lavoratore sarà ugualmente sottoposto a un sistema di disciplina e di controllo all’interno della fabbrica, dove la sua condotta sarà continuamente osservata e sanzionata.


Ma è soprattutto nel circolo vizioso prima indicato: disoccupazione per mantenere bassi i salari, dunque criminalità, dunque formazione di un apparato poliziesco e messa in pratica di un imprigionamento di massa, è questo circolo vizioso a mostrare i concatenamenti che conducono dalla prigione sino ai bassi salari, è la presenza di grandi accumulazioni di merci nei porti di Londra a essere legata allo sviluppo dell’apparato poliziesco, così come sono i processi economici, l’osservazione continua della condotta del lavoratore a mostrare il legame tra la forma-prigione e la vita di fabbrica.


Così ecco la peculiarità di questo importante scritto: più che in Sorvegliare e Punire, è visibile il legame tra il potere biopolitico e il processo economico, che va a creare dei soggetti asserviti alle necessità della produzione, controllandone e disciplinandone l’evoluzione vitale, anziché esercitare un potere sovrano sulla vita e sulla morte dei soggetti. L’operazione compiuta da Foucault è quella di rendere visibile l’azione del potere nella società capitalistica. Operazione questa, che non era stata svolta – bensì solo disegnata nei suoi princìpi - da Marx e da Althusser nella misura in cui erano troppo occupati a svolgere un altro tipo di lavoro. Potremmo dire che l’operazione di cui parliamo non ha impegnato solo il 1972 e il 1973, ma tutta la carriera di Foucault: quest’operazione coincide con la definizione del concetto di biopolitica. “La società punitiva” è una determinazione particolare di questa grande ricerca.


In aggiunta, si può dire che nel testo è anche difficile non presentire gli echi di Althusser come di Bourdieu, di Bataille e dell’Anti-Edipo di Deleuze e Guattari, uscito precisamente nel 1972, anno di inizio del corso di Foucault al collège de France. Più volte si parla di macchine, di corpi, di desiderio e di produzione dove questi erano concetti centrali nell’Anti-Edipo. Questi echi sono solo i primi segni di una forte influenza reciproca, influenza nell’evoluzione delle ricerche di Foucault e dell’accoppiata Deleuze – Guattari, influenza che andrà a definire tra i più importanti nomi di una grande stagione della filosofia francese.




Michel Foucault, La società punitiva, Feltrinelli, pp. 384, € 35,00

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