foto Gianni Quilici
Sul
treno due donne, una di fronte all’altra, tra i 40 e i 50 anni trascorrono il
tempo passando da una telefonata ad un’altra. Tra le due, la più giovane è infaticabile . L’altra ha
problemi: l’interlocutore non capisce, è costretta a ripetersi. “Hai capito,
ora?” dice sommessamente e alla fine, stanca o vuota, stacca, chiude gli occhi
e si appisola.
Il
mio problema è che odo quasi tutto. Così tiro fuori il taccuino, dove ho
scritto soltanto”Viareggio ore 10, 15 verso Genova” e per automatismo
psicologico mi metto a trascrivere stralci di ciò che sento. “…finisco di
lavorare alle sette, sette e mezzo, poi si va a mangiare da qualche parte, ora
non saprei dove, si decide lì per lì… io stasera avrei voglia di pizza… dove si
potrebbe andare? io intanto sento la Sandra se viene, però in quel ristorante
dell’altra volta non ci vengo, troppo
lenti, troppo formalisti, pirìpì parapà pirì parapà, piuttosto ascolta, ascoltami!
….” L’altra l’ho accanto, sussurra : “…domattina mi prendo la Barbara e la porto al parco
giochi, quello di Sestri Levante, sì quello… c’è uno scivolo incredibile lungo
cinque metri … ora siamo a Chiavari…. A Chiavari! hai capito a Chiavari! ”. La più giovane, intanto, continua a sciorinare
imperturbabile tutti gli appuntamenti che ha l’indomani come se ci avesse
ragionato a lungo… la voce è leggera, fluente,
senza affanni, potrebbe continuare così fino in Svizzera, penso. Mi sono portato due libri… volevo leggere e
scrivere ancora non ci sono riuscito, non ci riuscirò.
12.
10 Scendo a Genova Brignole. Lungo i portici nelle bancarelle vicino la
stazione compro il mio primo libro: “Viaggi viaggetti” di Sandro Veronesi nuovo
e a soli 3 euro, con una grafica adolescenziale che mi attira. Vedo viaggi in
Perù e Santiago de Compostela, Serifos e Sardegna, New York e Amsterdam e così
via, che possono diventare suggestioni per viaggi da fare. L’hotel è lo stesso
da qualche anno. Gestori due fratelli 50enni, quasi calvi, premurosi e chiacchieroni, di quelli che un
discorso diventa una catena che porta lontano. L’hotel è situato in una piazza
circolare, piazza Cristoforo Colombo, con portici e bancarelle di libri a metà
prezzo così bene incellofanati, che è faticoso poi scartarli. Ne comprerò una
decina lì e in altre bancarelle presenti nel centro storico: da Henrich Heine fino
ad una lunga intervista a Jung.
15.
30 All’inizio di via Garibaldi, di cui Cesare Brandi scrisse “una strada che
davvero non ha uguali al mondo” ecco il palazzo della Meridiana con le scale
che salgono verso la parte collinare di Genova. Qui è aperta la mostra:”Caravaggio
e i genovesi”. Di Caravaggio soltanto un quadro “Ecce Homo” già visto nel Palazzo Bianco di via Garibaldi.
Un quadro, di cui l’attribuzione è (quasi) certa, dopo che era rimasto ignorato
in uno scantinato. Ed in effetti è un grande quadro, che nella mostra risalta
magnificamente rispetto agli altri pittori (genovesi), che di Caravaggio hanno subito, per ragioni diverse,
l’influenza.
.I
quadri sono sufficientemente pochi, le sale sono soltanto tre, si può sedere di
fronte ad essi, condizione ideale per non rimanere soffocati dalla stanchezza,
nonché dal sovraffollamento visivo ed
umano. Faccio un giro meditativo. Mi colpiscono i quadri di Luca Cambiaso,
Gioacchino Assereto, Anton Maria Vasallo, Giovanni Battista Merano.
Ritorno
su “Ecce Homo” e mi siedo. Lo osservo nei dettagli e, come succede spesso, anche
l’insieme si allarga diventa più chiaro, più scolpito, più compreso.
Mi
colpisce, come in qualsiasi pittura di Caravaggio, la grande professionalità
nel disegno e nel colore. Squadro, per esempio, le mani di Ponzio Pilato,
splendidamente lavorate così difficili a delineare nel loro movimento e
intreccio, oppure considero la fascia
bianca intorno alla testa della guardia con tutte le pieghe che sfumano tra
luce ed ombra. E però è una verosimiglianza che ha un’anima profondamente sottile.
L’anima
sono i tre personaggi, che sono anche tre tipologie psicologiche, ideologiche e
politiche. Gesù Cristo , l’imputato e vittima, ma così immerso in se stesso da
sembrare “altrove” con occhi abbassati che non guardano; la guardia, puro
strumento del potere, che sembra che gli stia parlando, mentre lo sta coprendo
con il manto purpureo, premuroso come se intuisse la sua grandezza; Pilato, il
potere, che mostra con le mani Cristo catturato, mentre gli occhi sono rivolti
con una contorsione del corpo verso il popolo (fuori quadro). Un volto
eccezionalmente ben delineato con gli occhi incavati in tralice, le rughe
incise dalla concentrazione.
Infine
la scelta dei colori è vigorosamente simbolica nella contrapposizione fra il
luminoso corpo indifeso di Cristo e la veste cupa di Pilato in un chiaroscuro
che domina l’intero quadro.
17.30.
Al cinema il film più appetibile è “La casa di Jack” di Lars Von Trier. E’ uno
di quei film che ti lasciano titubante nel giudizio o semplicemente nell’impressione.
Tre ore di un regista che fa cinema giocando tra lo spietatezza senza sangue e
l’ironia spiazzante, mescolando il delitto come desiderio di fare arte con
inserti di Glen Gould al piano, conversando con una voce fuori campo, sorta di coscienza
pungente, che si paleserà nella figura di Bruno Ganz-Virgilio e con il quale Jack
scenderà poi all’inferno. E’ un film violento, che mi diverte, che mi
sorprende, di un talento che fugge dai rituali, che però non mi “tocca”, se non
cinematograficamente.
foto Gianni Quilici
21.20
Una trattoria tra i carrugi del Centro dove cenare è il piacere di soddisfare la fame
con piatti casalinghi alla buona, un prezzo modesto, atmosfera calda, senza quel
rumore assordante, che uccide la conversazione tranquilla.
Fuori
nel labirinto dei carrugi giovani soprattutto nei bar, nelle pizzerie dentro e
fuori. Nessuna nevrosi, ne’ tantomeno violenza in giro. Diversi gruppi di
africani uomini e donne. La serata è dolce e sono carico del passato presente.
Genova 1 marzo 2019
Genova 1 marzo 2019
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