Della persona e della
biografia di Massimo Bordin, (giornalista e storico, voce eminente di Radio
Radicale, conduttore, fino allo scorso primo aprile, della rassegna “Stampa e
regime”, attento osservatore e castigatore di quanto accadeva “dentro e fuori
il Regime”, per usare un gergo radicale) in molti hanno già scritto bellissime
parole e ricordi commossi, da quando ci ha raggiunti la notizia, tristissima,
della sua dipartita. Essa addolora conoscenti e amici, ma anche numerosi altri
estimatori, seppur fra le fila di differenti posizioni politiche ed
ideologiche.
Per aggiungere qualcosa a
quanto già detto sulla caratura umana e professionale di Bordin, non resta che
lasciare spazio alle sue stesse parole (a seguito riportate) ed al ritratto
che, con dichiarazioni autoironiche e preciso affondo, egli stesso è andato
facendo di sé:
“Sono romano, la scuola l'ho fatta
male, direi che l'ho bazzicata più che frequentata. Quando andava bene passavo
con il sei, se no ero bocciato. Elementari col fiocco e il grembiule alla Ugo
Bartolini, medie alla Settembrini, poi semiconvittore al San Leone Magno,
quindi all'Eur al liceo Vivona. Ogni tanto mi espellevano, spesso litigavo con
i professori ed ero costretto a cambiare scuola. Nel 1965 avevo 14 anni e
vagamente frequentato il Pci di via Tagliamento, leggevo "La
sinistra", la rivista di Lucio Colletti, e vivevo con mia madre, Elisa,
che si era separata e lavorava presso uno studio medico. Mio fratello Cristiano
viveva con mio padre, Antonio che lavorava al ministero. Oggi abita a Verona
dove ha una libreria antiquaria. Bordin è un cognome veneto, perché la famiglia
di mio padre era del Delta Padano, provincia di Rovigo, contadini, commercianti
di granaglie, acqua e pianura: sono luoghi mitici della cultura italiana, gente
senza ombra. Divenni trotskista prima ancora di
diventare adulto. Io per la verità mi impegnavo con i libroni, ho letto persino
Pietro Secchia, e collaboravo con "Praxis", la rivista di Mario
Mineo, roba per palati fini. La letteratura invece non aveva gran seguito e
ancora oggi, che pure la amo, preferisco la saggistica". "Nonostante
la mia sveglia suoni alle 5, non riesco ad andare a letto presto. Sono alto
1,90, ma Pannella era più alto e fumava più di me, e ora anche io come già
accadde a lui, fumo quasi solo sigari perché mi hanno trovato un blocco
respiratorio. Garantismo, non violenza, diritto, libertà, anche quella di dire
sciocchezze, battaglie perse, ma senza scioperi della fame e tanto meno della
sete, in difesa di un bellissimo mondo che è sicuramente radicale e
pannelliano, ma senza lo spiritualismo di Pannella, perché io sono razionale e
non ho slanci ideali, mi piace la sintassi, la prosa più che la poesia, il
liberalsocialismo, Calamandrei, Salvemini e anche Marx che è il mio primo
amore."
( Il racconto in F. Merlo, Massimo Bordin, radicale libero,
da Il Venerdì 1
febbraio 2019)
Ne emerge il quadro di un
intellettuale elegante, lucido e razionale (tanto che per lui si è
parlato di “socialismo scientifico”), nonché coltissimo (lettore onnivoro, le
sue conoscenze enciclopediche spaziavano
dal cinema ai saggi, passando per il calcio).
Al tempo stesso egli appare
capace di prendersi in giro ma mai di sottovalutare gli altri (lo si trovava
puntualmente dalla parte delle minoranze e degli sfruttati, naufraghi o precari
che fossero).
A conferma di tale genuina attenzione agli altri, valgano le parole di Adriano Sofri:
“Come tanti altri (dovremmo
radunarci tutti oggi simbolicamente, da qualunque parte proveniamo) quando
improvvisamente volevo sapere qualcosa, e farmela spiegare, gli telefonavo:
nemmeno una volta mi ha detto di chiamarlo in un altro momento, che aveva da
fare. Aveva un daffare strepitoso.”
E davvero, rileggendo le analisi acute e i numerosi scritti di Bordin, si evidenzia quanto la sua perdita sia grave e profonda non solo per il mondo del giornalismo, ma per tutti noi in generale.
Da Massimo Bordin, quanti
scrivono o ambiscono a farlo traggano una lezione di precisione e disciplina e
di una forza ideologica mai disgiunta dall’autoironia.
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