Acquerello di Umberto Vittorini -1957- |
1
maggio 2019. Desiderio di altro. Altro paese, altro paesaggio, altro tempo. Ma
dove? Ci penso, ma niente mi attrae. O il paese è troppo lontano. O già troppo rivisto. Alla fine decido: Barga. A metà tra
la cittadina e il paese è il più
medievale e ricco di sorprese della Garfagnana, penso. Ci sono stato tuttavia
più volte. Mi convinco, però, che abbia senso rivederla. Ho visto in
superficie: la bella porta, i vicoli, il Duomo in alto, ma ho fotografato più
che osservato.
Sulla
strada una fila di moto argentate, di grossa cilindrata, potenti, una dietro
l’altra sfilano lentamente davanti agli occhi. Mi piacciono? Sì, ma provo un
leggero fastidio. Forse perché non ho mai guidato una moto, solo motorini, e
immagino l’autocompiacimento di chi ne è alla guida con quella potenza
scattante, i manubri alti e larghi che danno al pilota una sembianza quasi
ieratica.
Nel
parcheggio in basso l’erba è piena di margherite fitte, che fanno primavera,
anche se il cielo è multiforme: grigio, scuro con chiazze celestine.
La
porta Mancianella ( o Porta Reale) prosegue con un alto muraglione che arriva
ad una villa (chiusa), mentre sottostante la piazza rettangolare adibita a
parcheggio (infatti è sempre piena di
macchine), è fiancheggiata da una fila di platani, protesi nudi come braccia
verso il cielo.
Alla
fine di questa piazza si sale con brevi, verdeggianti gradinate verso il
monumento in bronzo dedicato a Antonio Mordini, garibaldino e poi senatore
barghigiano al primo Senato dell’Italia Unita. Una collocazione teatrale in
alto con lo sfondo dell’aria e con enormi sassi ai piedi. Salendo appena si
arriva ad un bastione su cui si erge un maestoso cedro del Libano
piantato-leggo- nel 1823.
Rientrando
dalla porta si prende la via delle mura, che sale stretta, si incontra un
giardino con panchine, un palazzo liberty, il conservatorio e la chiesa di S.
Elisabetta, oggi chiuse, e poi ecco le scale scenografiche che salgono al
Duomo.
Sul
piazzale largo e quasi solitario la bellezza della facciata del Duomo, la
distesa dei tetti e delle terrazze della antica e nuova Barga e un paesaggio
che dalle Alpi Apuane prosegue con gli Appennini e le Pizzorne nello sfondo di
un cielo rabbuiato.
Davanti
al Duomo il sagrato marmoreo e l’interno ci accoglie nel silenzio appena appena
illuminato da una luce che filtra dalle finestre romaniche chiuse da lastre di
alabastro egiziano. A parte le acquasantiere lucenti del XII e XIII secolo è il
Pulpito l’ornamento più rilevante e prezioso. Ha la forma di cassa rettangolare
ricco di sculture ai lati, è sorretto da quattro colonnine, che poggiano su due
tranquilli leoni, che tengono tra i loro artigli rispettivamente un drago e un
uomo.
Fuori
nel piazzale un gruppo folto di ragazze e ragazzi disposti in circolo stanno
giocando. Li fotografo e capisco che c’è una di quelle competizioni fatte con
il sorriso sulle labbra. Dirige uno di loro che, a un certo punto, stabilisce
chi ha vinto tra i due gruppi. Tutti bravi, dice, ma per i video ecc, ecc. assegna la vittoria agli “arancioni” tra
sorrisi e mugugni.
“Ci
potrebbe fare una foto?” mi chiedono, consegnandomi un cellulare e una macchina
fotografica. Si mettono in fila uno accanto all’altro ed io scatto, chiedo un’esultanza
e riscatto. Inizia a pioviscolare. Ci sarebbero ancora tanti luoghi da vivere:
la Porta Macchiaia con i resti di mura, l’acquedotto, le piazze centrali con la
Loggia dei Mercanti, il Teatro e lì a un passo la loggetta del Podestà, oggi
Museo storico, ma scendendo lungo una
carraia, coprendo la testa con un fazzoletto “non è che l’inizio” penso.
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