24 dicembre 2024

"Il mio primo libro: I figli del capitano Grant" di Luciano Luciani

 


Una recensione col senno di poi

 

        Il primo libro della mia vita di cui abbia sicura contezza? Ovvero, riesca a ricordare quando e dove l’acquistai, e poi l’autore, l’argomento e magari anche il prezzo… La memoria mi restituisce un Jules Verne, I figli del capitano Grant, in edizione non integrale, rivisitata e corretta per l’infanzia, copertina lucida e colorata, volumetto comprato a Roma in una piccola cartolibreria che affacciava sulla via Nomentana, a pochi passi dalla celeberrima Porta Pia. 

       L’anno? Mah, sicuramente alla fine delle scuole elementari… Ancora di là da venire la televisione casalinga, la lettura, a pari merito col cinema quando si dava, costituiva non solo il mio divertimento preferito, ma la mia gioia più intensa, più intima, più mia… 

        Ad alfabetizzarmi erano state le buone suorine dell’asilo privato del Preziosissimo Sangue di Gesù posizionato proprio davanti alla basilica di Sant’Agnese fuori le mura: ben presto tradite perché alle loro letture, a dir poco devozionali, ne avevo ben presto preferite altre assai più mosse e  accattivanti: Topolino, l’Intrepido, il Monello… E anche qualche libro. Inavvicinabili perché seriosi i pochi della dotazione familiare, decisi che avrei messo da parte i soldi per comprarmi le pagine degli autori dei quali, da qualche parte, pure avevo sentito parlare e “Giulio” Verne era tra questi. 

        Lette, ne ricavai qualche motivo di soddisfazione. C’era tutto quello che mi aspettavo: luoghi ancora remoti, inesplorati e inaccessibili, da conoscere e civilizzare, giovinetti eroici alla ricerca del padre disperso, adulti generosi ancora capaci di proteggere ed educare amorevolmente, buoni versus malvagi ai quali, però, viene comunque lasciata qualche speranza di redenzione. Primo capitolo della trilogia che sarebbe continuata con Ventimila leghe sotto i mari per concludersi con L’isola misteriosa, che avrei letto, l’uno e l’altro, qualche anno più tardi,  

         I figli del capitano Grant non mi deluse e, soprattutto, mi lasciò la voglia di continuare quel modesto esperimento di autonomia intellettuale: leggere quello che mi pareva, ricorrendo, stante le dimesse risorse economiche, al mercato dell’usato, allora fiorente in rivenduglioli e bancarelle improvvisate. 

        Subentrava velocemente una nuova stagione, quella della fantascienza: le esplorazioni spaziali e le saghe stellari comprese negli agili fascicoletti dei romanzi di “Urania”, in un veloce volgere di tempo, avrebbero sostituito i fumetti, Verne e i suoi succedanei salgariani. 

       Bussava alle porte della Storia Grande, e anche a quelle della mia privatissima, un tempo nuovo che appariva ricco di promesse, di inedite occasioni, di possibilità fino a quel momento sconosciute. Saltai bravamente tutte le letture canoniche proprie dell’età bambina (i Giannettini, i Minuzzoli, Cuore, e financo Pinocchio…), lessi, con qualche commozione, I ragazzi della via Paal, la storia amarognola della guerra tra due bande di ragazzi di Budapest per il possesso di uno spazio libero per i loro giochi. 

      Ormai il mio immaginario era tutto preso dalle apparizioni degli UFO e dalla “rossa” conquista, a piccoli passi, di porzioni sempre più larghe di spazio: prima con lo Sputnik, ottobre ’57, poi con l’astronauta sovietico Yuri Gagarin, aprile ’61, eroe della corsa alle stelle e primo uomo in orbita. Ricerca di un’autonomia di letture, gusto per l’avventura, fiducia, senz’altro ingenua, nel potere della scienza, della tecnologia e della politica per garantire a tutti un mondo più giusto e ordinato sia pure all’interno della perenne dialettica tra Natura e Civiltà… Non lo sapevo ancora, ma a tutto ciò fece da battistrada la lettura partecipe e appassionata de I figli del capitano Grant, sfortunato comandante scozzese della nave Britannia.


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