di Giulietta Isola
"Leggere le poesie in traduzione è come fare la doccia con l'impermeabile".
Questa è la difficoltà: i lettori di questo romanzo faranno un po' di docce con l'impermeabile. Ma forse non cambia moltissimo: a me sembra che nelle poesie di Anna Achmatova piova così forte che ci si bagna anche con l'impermeabile.
Né romanzo, né memoir, né saggio di critica letteraria, né biografia. Paolo Nori parla, attraverso Anna Achmatova, di noi e lo indica chiaramente nel sottotitolo Noi e Anna Achmatova, una lettura non semplice ma coinvolgente.
Nel primo capitolo conosciamo Anna : non bella ma più che bellissima, capace di spiccare ovunque andasse, di riempire i luoghi in cui entrava, ha imparato l'italiano solo per leggere Dante in originale e si chiamava Gorenko. Scelse il nome di Achmatova prendendolo in prestito da un suo avo, perché il padre le impedì di "disonorare" il suo cognome con un'attività così discutibile come lo scrivere poesie. Fu perseguitata dallo stalinismo che le imprigionò il figlio e fucilò il marito, una che voleva essere chiamata poeta e non poetessa. «Capisco» diceva «che ci debbano essere i bagni maschili e quelli femminili, in letteratura però no, non funziona così». Achmatova fu esclusa dall'Unione degli Scrittori in un disperato tentativo di bloccare la sua libertà di espressione, il Potere in pieno delirio pensava di riuscire a ingabbiare la letteratura o usarla per fare schieramenti ideologici proprio come fa oggi.
Nori lucidamente riflette su Russia e Ucraina, negli anni che erano di Anna e in quelli attuali, va oltre la contingenza e gli schieramenti, alla radice della "bestialità" che l’uomo mette in campo , quella espressa in queste pagine è una riflessione che lascia spazio al silenzio delle lacrime ed ai non lo so.
Interessante la riflessione sul furore iconoclastico , dopo l’annullamento dei seminari su Dostojevski alla Bicocca. Qui Nori racconta tra divertimento e spaesamento la marea di inviti che gli sono piovuti dalla Cina, dagli USA, dall'Unesco, dalla Persia, da tutte le parti, mentre in Italia e in Occidente si vietano mostre e balletti, concerti e proiezioni per quelli che, al pari di Dostoevskij hanno avuto «la sfacciataggine di nascere in Russia». Niente di nuovo, ad Anna Achmatova avevano messo dei microfoni in casa, per spiarla. Lei, in compagnia di una amica, parlava a voce alta di cose banali, chiacchierava del tempo, e intanto su un foglietto scriveva i suoi versi e li passava all'amica, che li imparava a memoria. Poi bruciava il foglietto. Quei versi , in questo modo, sono arrivati ad allietare e dare forza ai prigionieri nei gulag.
Il romanzo di Nori è disordinato, vaga per sentieri che niente hanno a che fare con la via principale, ma poi improvvisamente una citazione o un ricordo personale ci riportano in carreggiata ed al punto giusto in cui dovevamo arrivare.
Scrivere dell'Achmatova, è riflettere sulla libertà dell'arte, sull'umanità della poesia e sul ruolo dell'intellettuale. In questo momento buio della civiltà l’intellettuale deve "Scrivere delle cose belle" e “lottare contro la censura, di ogni natura e qualsiasi potere la sostenga. Io sono un feroce partigiano di questa libertà e dichiaro che uno scrittore che possa farne a meno somiglia a un pesce che dichiara pubblicamente di poter fare a meno dell'acqua” come dissero Brodskij e Bulgakov.
Il miele selvatico sa di libertà,
La polvere, di un raggio di sole,
Di Viola, la bocca di una vergine,
E l'oro, di niente.
D'acqua, sa la reseda
E la mela sa d'amore
Ma noi ormai sappiamo già
Che il sangue solo di sangue sa.
“Quel mutismo trascendeva la sua persona e arrivava come il grido pietrificato di una storia tragica: la sua e quella del suo popolo e di tutta l’umanità straziata dall’arbitrio e dalla violenza di un’epoca fatale”.
VI AVVERTO CHE VIVO PER L’ULTIMA VOLTA di PAOLO NORI MONDADORI EDITORE
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