di Marisa Cecchetti
“L’intera nazione in quegli anni si spostava dai campi all’edilizia e all’industria, Tutta l’Italia marciava, in Vespa, Lambretta, motocicletta, una a famiglia, non di più. Le case nascevano dietro gli angoli, finito il tetto la bandiera tricolore sventolava in aria, trionfante, la cena col capomastro era d’obbligo”.
Cesare, il protagonista de L’alfabeto a memoria, alter ego dell’autore, aveva quattro anni quando la sua famiglia lasciò il podere per trasferirsi in quel di Tirrenico, nome di fantasia di un paese della Maremma toscana: “Capitava di frequente che d’autunno, tutte le colline marittime fossero investite da un turbinio d’aria fredda. Arrivava dal nord, il vento di tramontana, il preferito nella sua asprezza. Che gusto sentir dire: oggi tira una tramontana che porta via! Tirrenico è un paese della Maremma pisana, la Maremma del nord, per capirci, ridente paese sulle colline, a trecento metri scarsi sul livello del mare […] Da lì Volterra appare, austera […] dignitosa, ferma nel voler difendere la propria bellezza”.
Sandro Bartolini fa rivivere la comunità di quegli anni, riportando alla memoria di chi è un po’ avanti con l’età usi e costumi di allora, quando mancava tutto, in inverno le case erano fredde e umide e infestate dalle piattole, i letti gelidi, l’acqua si prendeva al pozzo, la cucina povera, le case e il gabinetto - se così si può chiamare una buca o il campo aperto - era fuori; ci si spostava a piedi e in bicicletta, la vita era frugale per tutti, le maestre erano severe e colpivano col righello le gambe nude dei ragazzi. Ma i bambini erano liberi di scorrazzare tutto il giorno, dopo la scuola, di imparare dalla natura, di inventare giochi - i tappini delle bibite, le palline - anche giochi pericolosi come la fionda, con quella creatività e fantasia che erano d’aiuto quando non c’erano giocattoli a disposizione. Un richiamo della madre al momento di mangiare, e tutti correvano a casa. Non c’era la televisione e la sera Cesare, che aveva imparato a leggiucchiare, andava da due anziane vicine a leggere per loro qualche pagina di rivista.
Bartolini accompagna Cesare Stefani negli anni, oscillando tra presente e passato, ogni nuovo capitolo recante una lettera dell’alfabeto evidenziata tra le prime parole, e racconta attraverso una serie di quadri, trascinando dentro case, strade, piazze, a condividere quella vita. Lo fa con sottile precisione, con un po’ di nostalgia e una spolverata di ironia, con un registro linguistico che scova parole che solo i toscani riconoscono: c’è la brusta, il brusotto, ci sono i morecci, c’è la coltella ben distinta dal coltello, c’è la strombola, la pulenda che si girava a lungo nel paiolo appeso al camino… Ritroviamo la raccolta delle chiocciole e i piatti che se ne facevano; troviamo le donne insieme al lavatoio che tornano con la tinozza in capo di panni lavati; rivediamo sulla battigia le file ordinate di maschi e femmine delle colonie estive che attendono di fare il bagno sotto lo sguardo degli assistenti. Di quello stile di vita - che non era stile, bensì necessità, ineluttabilità, perché di meglio non si poteva - non si alza da nessuna parte un lamento, perché non si conosceva niente di diverso: tutti, con rare eccezioni che non facevano la regola, vivevano allo stesso modo.
Conosciamo i paesi della Maremma, i turisti che li scoprono, vediamo Livorno e le isole dell’arcipelago all’orizzonte. E poi c’è un personaggio felliniano, uomo di spettacolo, comico e cantante, che solca i teatri di provincia, circoli ricreativi e piazze, vive in un piccolo appartamento a Cecina, si sposta a piedi su per le colline, si ferma a salutare chi incontra, atteso e seguito come il pifferaio magico.
Ricco di fatti, di persone, di storie, L’alfabeto a memoria dona la sensazione di tornare indietro, a decenni lontani, e magari rivediamo noi stessi sul sedile di una Lambretta, aggrappati al babbo, stretti stretti ed emozionati: “Gli Stefani partirono da via dei Gorili dopo cena, Cesare, infagottato in mezzo, Edoardo alla guida della Lambretta Innocenti 125 e Maura sul sedile posteriore. Il freddo era pungente! Imboccarono lo sterrato del Fiorino, la motoretta borbottava, Edoardo scalava le marce. Da lì presero per Tirrenico, la strada asfaltata s’infilava nelle macchie, il tepore degli alberi accoglieva gli Stefani e fu proprio in quel momento, tra il babbo e la mamma che Cesare si addormentò”.
Sandro Bartolini, L’alfabeto a memoria, Edizioni ETS 2023, pag. 144
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