05 novembre 2012

"Domani nella battaglia pensa a me" di Javier Marìas




di Mirta Vignatti

Mi sono avvicinata a questo capolavoro dello scrittore spagnolo Marìas con colpevole ritardo e ne sono rimasta talmente affascinata che mi propongo ora di leggere tutto il resto della sua produzione letteraria. E' tra l'altro di questi giorni la notizia che l'autore ha rifiutato il “Premio Nacional de Narrativa” (20.000 euro) assegnatogli in Spagna per “Gli innamoramenti”, la sua ultima fatica letteraria: Marìas dichiara di non accettare il premio per divergenze con la politica culturale del governo spagnolo e considerando la situazione generale del suo paese che non consente certo sperperi di denaro pubblico. Un personaggio, dunque, di forte dirittura morale e di inattaccabile coerenza: tipologia non proprio diffusissima di questi tempi; mi fa pensare a Sartre che (con altre motivazioni) rifiutò il Nobel nel '64.

So bene che molti, tra coloro che hanno letto “Domani nella battaglia pensa a me”, hanno parlato di difficile leggibilità della scrittura dell'autore, di tempi lunghi e lenti della narrazione, di non linearità della trama. In realtà, pur riconoscendo che uno scrittore come Javier Marìas non può certo essere considerato “popolare” né che il suo libro sia di “facile” lettura (ma questi nel mondo delle lettere non sono comunque degli obblighi)- credo sia il caso di stabilire dei punti fermi, che possano aiutarci a inquadrare bene il romanzo prima di iniziarne la disamina. 

Il primo: fin dall'inizio di “Domani nella battaglia pensa a me” si capisce che la scrittura di Marìas è di quel tipo particolare che definirei “filosofico”; figlio egli stesso di un apprezzato filosofo e quindi formatosi in un contesto probabilmente facilitante, l'autore sviluppa il romanzo partendo da nuclei di concetti di tempo, del qui e dell'altrove mentale, di estraniamento, di identità, di senso di colpa. Trasporre tanta materia filosofico-esistenziale sul piano narrativo non credo sia cosa semplice ed automatica: l'autore sceglie dunque -e non poteva che essere così- di narrare per flusso di coscienza, con continue espansioni geometriche di pensieri e sovrapposizioni di pensieri laterali, aiutato in questo da personaggi che si interrogano di continuo su se stessi e che si lasciano vivere trascinati dal flusso casuale degli avvenimenti. 

Secondo punto: con il suo personaggio Victor Francés, Marìas crea deliberatamente un “antieroe”, un “uomo senza qualità” che -con tutte le sue autoanalisi e i suoi dubbi esistenziali- nobilita uno spunto narrativo che magari avrebbe potuto risolversi in “feuilleton” (l'avventura di una notte con la donna che muore prima che l'adulterio sia consumato), e si trasforma invece in letteratura alta o -come usano definirla con termine tecnico gli amanti dei forestierismi- in “mainstream”. Essere riusciti a creare da un punto di partenza e da una situazione tutto sommato triviale un contesto di stimoli mentali in continua espansione e in illuminazioni filosofiche (“fermandosi, rimanendo immobili, le cose non accadono” oppure “inventare altre realtà e non perdersi tra l'una e l'altra, non cadere in contraddizione”- per non fare che degli esempi) è quello che dà grandezza al libro.

 E poi c'è la grandezza, direi la grandiosità del personaggio nel suo essere anche meschino. Victor Francés è personaggio che nasce dagli stessi lombi che hanno generato Zeno che mette a nudo la propria coscienza, o Leopold Bloom che in quella particolare giornata ragiona sui tradimenti della moglie o sul come tradirla, o -più tardi- quell'uomo pirandelliano che a seconda di come si guarda è uno nessuno e centomila, senza dimenticare l'Ulrich di Musil, che più che agire vive del e nel suo pensiero. Voglio dire che certa letteratura del XX secolo -quella alta- non può che muoversi in precisi alvei scavati da quelli che sono stati definiti “stati alterati di coscienza” dell'uomo moderno o -direi meglio- da una nuova coscienza critica, analitica e problematica: dobbiamo infatti sempre tenere a mente che il '900 è iniziato con la pubblicazione di due pietre miliari che hanno segnato un discrimine, un prima e un dopo nella storia della nostra civiltà e della nostra cultura: “L'interpretazione dei sogni” di S. Freud e “Il corso di linguistica generale” di F. de Saussure. Come dire la messa a nudo della grammatica e della sintassi del nostro inconscio e lo svelamento della struttura e dei meccanismi del nostro linguaggio. Ma Victor Francés è stato pensato da Marìas sul finire del XX secolo, e dunque -oltre a ciò che lo accomuna ai suoi illustri predecessori- raccoglie in sé tutte le crisi e le evoluzioni del secolo, ne è pervaso, e in particolare -non poteva essere altrimenti- è figlio del post-modernismo come anche (magari lo metterò in evidenza più avanti) della globalizzazione. Di qui lo sviluppo labirintico della trama, la complessità, il citazionismo, l'intertestualità, il punto di vista soggettivo che s'interroga -come fa sempre il personaggio di Marìas- sugli stati interni della propria coscienza. La realtà descritta nel romanzo non è certo lineare e determinata da meccanismi di causa-effetto; al contrario ostenta un grado medio-alto di illogicità e affonda le sue radici nell'incerto e nel multisemico. Nella brodaglia riscaldata che è la vita, tutto sembra determinato dalle casualità alle quali siamo condannati a soccombere. In “Domani nella battaglia pensa a me” Victor Francés è stato voluto da Marìas con tutte le peculiarità dell'antieroe: si nasconde nelle pieghe della realtà, si nasconde da se stesso (fa il ghost writer, collabora a sceneggiature ma non le firma, scrive discorsi per un uomo politico), si interroga sulle casualità senza trovare risposte: gli è sufficiente vivere di dubbi e di incertezze, anzi, dubbi e incertezze gli riempiono la vita dandole un senso. Che l'ispirazione di Marìas nel concepire il suo libro e nel creare il suo grande personaggio sia stata una di quelle che contano e che i suoi esiti rimarranno nella storia della letteratura, lo dimostra il fatto che (non a caso siamo in pieno post-modernismo) il suo è un libro ricco di spunti che ritroviamo riflessi e sviluppati in tanta cinematografia d'autore dei tardi anni '90, in particolare di Almodòvar (il topos degli incidenti mortali sotto la pioggia torrenziale presente in vari suoi film), e (penso in questo caso al personaggio che entra nottetempo nella casa della ex-moglie osservando, muovendo alcuni oggetti e spiando) del sud-coreano Kim Ki-duk (“Ferro 3- La casa vuota”). Certo, può darsi che Kim Ki-duk non abbia letto a suo tempo il libro di Marìas: difficile se non impossibile. Ma le più illuminanti affinità non sono forse quelle che si realizzano tra autori che non si conoscono nemmeno di nome?

Lo spessore narrativo del libro si arricchisce con l'entrata in scena del deuteragonista Déan, lasciato sapientemente in absentia da Marìas per farlo irrompere solo sul finale con tutte le sue contraddizioni, aggressività e sensi di colpa: un personaggio esattamente speculare al protagonista, che serve all'autore anche per mettere a fuoco tutte le sfumature della personalità di Victor e per alzare il livello di drammaticità del romanzo. Siamo ormai all'ultimo atto di una “tragedia ridicola” che si svolge sul palcoscenico della vita: è in questa fase che “tout se tient” e che acquisisce significato la citazione shakespeariana del titolo. Marta, la moglie di Déan, ha tentato di tradire fermata soltanto dalla morte; ma a sua volta era stata ripetutamente tradita da Déan e proprio nel momento della sua morte la tragedia colpisce il marito: la sua amante avrà lo stesso destino di Marta, forse contemporaneamente. Nel campo di battaglia che è la vita non ci sono né vincitori né vinti. Le menzogne non pagano e la condanna è fare continuamente i conti con la propria coscienza.
In prima di copertina di “Domani nella battaglia pensa a me” c'è un “urlo” di Pietro Citati che recita: “Forse il libro più bello composto da uno scrittore contemporaneo”. Non credo sia un'esagerazione.

Javier Marìas, “Domani nella battaglia pensa a me”, Einaudi 2000.

Nessun commento: