29 aprile 2014

"Marianela Garcia Vilas, l’Antigone dei poveri" di Luciano Luciani





Un continente in 
rapida trasformazione

Le vicende recenti e recentissime del continente latino–americano appaiono contrassegnate dallo sviluppo, talora impetuoso a volte più lento, di importanti processi democratici che investono sia la dimensione del rinnovamento istituzionale, sia quella di significativi cambiamenti sul terreno dei rapporti sociali. Sviluppo e processi che non avrebbero avuto l’attuale forza e larghezza e, forse, non si sarebbero neppure sviluppati se nei decenni precedenti alcune straordinarie figure femminili, in grande solitudine, non avessero testimoniato in maniera coerente e senza tentennamenti una fortissima esigenza di legalità e rispetto dei diritti umani. Pensiamo, per esempio a Rigoberta Menchu, l’india maya guatemalteca emblema della sofferenza e della lotta del suo popolo, premio Nobel per la pace nel 1992 o alle madri argentine di Plaza de Mayo, imperterrite e implacabili nella loro ricerca di verità e giustizia in nome dei figli scomparsi senza lasciare traccia nelle carceri dei macellai in divisa argentini. Senza trascurare l’immensa moltitudine di donne destinate a rimanere senza nome, duramente impegnate nel privato di durissime esistenze quotidiane e nella politica, a trasformare la realtà per sé e per i propri figli in qualcosa degna di essere vissuta a partire proprio da condizioni minimali di vita come la salute, l’istruzione, il lavoro: dignità e giustizia sociale, per capirci. Dobbiamo anche alla loro tenace e intelligente resistenza, l’affermazione alle massime cariche rappresentative di donne che con coraggio hanno saputo reagire alla maledizione latinoamericana dei governi corrotti, dello strapotere delle multinazionali, delle oligarchie finanziarie e degli interessi geopolitici nordamericani: stiamo parlando della presidentessa brasiliana Dilma Roussef, considerata una delle donne più potenti del mondo, dell’argentina Cristina Fernandez de Kirchner dalla fine del 2007 alla guida del suo Paese, della socialista Michelle Bachelet da poco insediatasi alla presidenza del Cile. Una vera e propria rivoluzione in un continente dove milioni di mujeres continuano a soffrire per le discriminazioni e la violenza e un a diffusa cultura machista

Si chiamava Marianella Garcia Vilas

Di una, però, soprattutto non intendiamo smemorare e, ricordando lei, vogliamo fare ancora una volta memoria di tutte le donne che con il loro sacrificio hanno illuminato, e dato senso, nonostante tutto, agli anni difficili e complicati che ci siamo trovati e ci troviamo a vivere: intendiamo parlare della salvadoregna Marianella Garcia Vilas, l’Antigone latinoamericana, la sorella dei morti, l’avvocato dei poveri e degli oppressi, l’antagonista del tiranno che ha fatto della sua breve vita e della sua atroce morte avvenuta il 13 marzo 1983 un esempio e una testimonianza per l’America latina e per il mondo intero. Una scelta portata fino in fondo con le sole armi della parola, della denuncia coraggiosa e instancabile, della condivisione.
Marianella era nata nel 1948 da una famiglia dell’alta borghesia del Salvador, il più piccolo e il più tormentato tra i tormentati paesi dell’America centrale. Formatasi in un ricco e prestigioso collegio religioso spagnolo, passa dalla militanza nelle file della Democrazia cristiana salvadoregna agli arresti e alle persecuzioni ad opera delle forze di sicurezza del democristiano Napoleon Duarte. La sua presa di coscienza assume caratteri sempre più radicali in risposta alla situazione di violenza e terrore scatenata nel paese dagli ‘squadroni della morte’ strumento di un’oligarchia latifondista e militare che fa tacere con l’assassinio anche la voce del vescovo Romero, cui Marianella è legata da un intenso rapporto spirituale fatto di profonda amicizia e collaborazione.
“Io non so se avrei la forza di sparare e di uccidere qualcuno per difendere la mia vita o quella di altre persone; penso che mi farei ammazzare”: non violenta per scelta in un paese dominato dalla violenza, per tutta la durata della sua breve vita, Marianella si batte con le armi della ragione e dell’amore contro la logica della violenza e della sopraffazione esercitate a spese dei più deboli, degli emarginati, dei ‘senza voce’.

Accusata di terrorismo, armata solo di macchina fotografica

Forte del suo coraggio e armata solo di una macchina fotografica, cerca testardamente di dare un nome ai poveri resti di uomini e donne, contadini e intellettuali, operai e preti, suore e guerriglieri, abbandonati per le strade, denunciando con determinata fermezza in tutte le sedi nazionali e internazionali – quale presidente della commissione per i diritti umani del Salvador sarà spesso in Europa e in Italia tra il 1981 e il 1982 – le atrocità di cui è testimone, documentando con paziente minuziosità gli orrori dell’ esercito salvadoregno che aveva cominciato a fare ricorso all’uso delle armi chimiche contro la popolazione civile.
“Presto sentirete parlare di me, perché mi ammazzeranno” aveva detto ai suoi amici italiani. Nonostante questa profonda consapevolezza, Marianella sentiva di non poter, non voler fuggire il suo destino e sceglieva di rientrare clandestinamente in Salvador per portare sino alle estreme conseguenze la sua scelta dei poveri e degli oppressi, la sua lotta per i diritti umani. “La mia storia”, affermava Marianella  “è parte della storia di tutto un popolo; posso essere un testimone, ma non un personaggio; il mio non è un caso unico, singolare fuori dal comune; quello che è successo a me è successo a migliaia e migliaia di uomini e donne in tutto il Paese. Il mio è un caso comune. Certo, ci sono le particolarità e di ogni vita, incidentalmente si possono aver vissuto momenti peculiari e diversi, ma la sostanza è quella di un cammino che si confonde con quello di tutti…”
Il 13 marzo 1983, Marianella viene catturata dall’esercito, brutalmente torturata, uccisa. Due giorni più tardi un comunicato stampa delle forze armate informava che presso il villaggio di La Bermuda, nel Cuscatlan, in uno scontro a fuoco assieme ad altri guerriglieri era caduta la terrorista Marianella Garcia, ovvero  la ‘comandante Lucia’ che guidava il gruppo: secondo uno stile e una prassi già tristemente collaudata in Salvador si cercava di far apparire l’ennesima esecuzione extragiudiziale come conseguenza di uno scontro armato. D’altra parte, l’unica arma trovata in possesso della ‘pericolosa terrorista’ era una macchina fotografica, la stessa che l’aveva fedelmente accompagnata nel suo lavoro di ricerca della verità. Marianella è il numero 43.337 nell’elenco delle vittime civili di El Salvador, un Paese un po’ più piccolo della Sicilia, el Pulgarcito de América, “il Pollicino d’America” con sei milioni di abitanti.

Un libro per ricordarla

La vicenda e la testimonianza estrema di questa donna straordinaria sono state recentemente riproposte in un libro intenso e commosso scritto da un saggista italiano, Anselmo Palini per favorirne il ricordo e la riflessione. Nel titolo, Marianella Garcia Vilas “Avvocata dei poveri, difensore degli oppressi, voce dei perseguitati e degli scomparsi” è racchiuso il senso di un’esistenza e l’alto valore simbolico di questa Antigone dei nostri tempi che entra a pieno titolo nella storia dolorosa dell’emancipazione dell’America latina e di tutto il Terzo mondo: a oltre trent’anni da quella tragica fine, la storia di amore e morte per i poveri di Marianella Garcia Vilas ancora ci appartiene, ancora chiede ragione a tutti quanti noi che, figli dell’Europa affluente e dell’Italia satolla siamo stati – e per molti versi siamo a tutt’oggi – spettatori muti, distratti ma non incolpevoli.

Anselmo Palini, Marianella Garcia Vilas “Avvocata dei poveri, difensore degli oppressi, voce dei perseguitati e degli scomparsi, Editrice AVE, prefazione di Raniero La Valle, postfazione di Linda Bimbi, pp. 266, Euro 12,00

Nessun commento: