30 aprile 2014

"Il prato di Bez" da “Memorie di un cacciatore” di Ivan Turgenev




di Maddalena Ferrari

Memorie di un cacciatore sono venticinque racconti che Turgenev pubblicò, per vari anni, a partire dal 1847, sulla rivista “Il contemporaneo” e che poi uscirono riuniti , con il suddetto titolo, nel 1852.

Più che di veri e propri racconti si tratta di quadri, scene, situazioni, dove non sono importanti gli eventi, ma lo scorrere delle ore nella vita quotidiana.

Forte è in queste pagine il sentimento della natura, come anche lo sguardo realistico sulla realtà sociale e sulla materialità delle figure che vi compaiono, per lo più contadini, segnati dall’appartenenza alla terra ed al padrone ( siamo negli anni antecedenti la soppressione della servitù della gleba, attuata da Alessandro II nel 1861 ) e soggetti ad ogni genere di angherie; all’interno di questa umanità le donne appaiono ancora di più costrette ad un’esistenza di repressione e anonimato.

“Il prato di Bez” , un racconto particolarmente intenso, affascinante e poetico, si immerge in una natura solitaria e misteriosa. Si articola in due momenti.
Nel primo il narratore-cacciatore si perde in una vastità di paesaggio suggestiva e vertiginosa: ha perso ogni punto di riferimento e a più riprese si chiede: “Dove sono?” Intanto cala la notte e si passa al secondo momento, in cui il protagonista s’imbatte in un gruppo di ragazzi pastori, intorno ad un fuoco. La descrizione dell’aspetto e dell’abbigliamento li individua socialmente e psicologicamente e il narratore ha anche il modo di esprimere una sua preferenza riguardo alle loro personalità. Ha poi inizio una conversazione fra i ragazzi, che prendono a raccontare storie incentrate su ciò che è spaventoso e sulla morte.         

Non c’è quasi rapporto tra le battute dei personaggi e la loro precedente caratterizzazione, ma la conversazione fluisce realisticamente. Soprattutto i suoi contenuti danno corpo ad un fantastico popolare, che affascina il cacciatore, ma che non può essere suo, tant’è che egli rimane sempre estraneo, in silenzio ad ascoltare; ed è un fantastico che era presagito dallo smarrimento del narratore, sull’imbrunire e che scompare con il ritorno della luce del sole, quando tutto si risolve, non senza però qualche eco di ciò che è trascorso.

Il tempo notturno è passato, segnato dal grande fuoco, dalle ombre, dai corpi, parte illuminati, parte oscuri, dalle parole evocatrici, che si sono come smaterializzate in un mondo al di là del reale, per lasciare poi spazio al silenzio e al sonno. 

Ivan Sergeevic Turgenev. Memorie di un cacciatore. Istituto De Agostini. Traduz. Di Gianlorenzo Pacini.

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