di Luciano Luciani
A volte ritornano... Si tratti di lontani parenti emigrati e poi dispersi in inospiti plaghe patagoniche o neozelandese; oppure, di antichi rimorsi per il non detto e il non fatto nel corso della propria deprecabile esistenza; o anche di sogni, sempre uguali a se stessi, tranne qualche piccolissima variante, appena un dettaglio, importantissimo, che comunque svanisce come neve al sole appena ti svegli e la sua ricerca assillante basta e avanza per rovinarti la giornata...
A volte anche i racconti ritornano. Magari perché a essi e al loro Creatore pare di non aver adempiuto sino in fondo al destino per cui erano stati faticosamente fatti emergere dal Gran Magma delle Storie e dal Caos dell'Ispirazione. O, più semplicemente, si riaffacciano perché ritenuti finalmente maturi per un pubblico che sembra aver aver mutato in meglio rispetto a un tempo precedente gusti e sensibilità. In fondo non è male tornare sulle storie, vere o inventate, di una volta e riproporle affinché qualcuno possa coglierne meglio gli umori profondi, i significati più intimi, i risvolti più riposti. Simili, questi "racconti lontani", a buoni vini ben adatti all'invecchiamento che impreziosiscono col tempo.
Vengono da lontano le storie raccontate in questa seconda sezione dell'antologia. Addirittura dal secolo scorso e da un'esperienza editoriale tanto generosa quanto sfortunata che forse qualcuno potrebbe - anche questa - "tornare" a raccontare. Comunque, se l'Autore ha deciso di riproporre i suoi racconti di allora sta a significare che, a suo parere, possono presentare ancora una qualche loro utilità al pubblico dei Lettori di oggi
E purtroppo, dobbiamo ammetterlo, ha ragione: perché la catastrofe planetaria evocata nel racconto Grani di sabbia, contrappuntata dalle immagini della straordinaria bellezza della basilica di San Frediano a Lucca, incombe perenne su di noi e il fatto che se ne parli sempre meno invece di tranquillizzarci dovrebbe, piuttosto, allarmarci di più e di più; le pagine di Guglielmo ci ricordano melanconicamente che spesso dentro di noi c'è un male subdolo come un tumore che ti piglia alla gola e sembra metterti in relazione diretta col Dolore. Ti nasce dentro, senza un motivo apparente, non ti lascia mai e tu non sai neppure dargli un nome: qualcuno l'ha chiamato depressione, ma forse è un termine alquanto riduttivo. È la qualità della vita che peggiora, le relazioni familiari e amicali che degradano, lo studio e il lavoro che si fanno sempre più deludenti, mentre il cibo non dà più piacere né il sonno riposo... Tutto è sofferenza. Puro disagio, fatica di vivere e ricerca senza scampo di una qualsivoglia via di fuga che non si riesce a individuare, siccome non si accetta l'idea di farsi aiutare, perché non è mai facile ammettere la propria impotenza.
La pescia, invece, è una favola ecologica. In essa il degrado ambientale indotto e accelerato dall'egoismo umano imposto alla Natura viene letto con gli occhi ingenui e l'elementare consapevolezza di un'abitante dei fondali del Serchio: un pesce, meglio una pescia, un pesce femmina, a cui l'Autore attribuisce doti di maggiore sensibilità e uno sguardo più lungo circa il destino degli esseri minori, minimi, più fragili e indifesi. E così anche il loro dolore, anche la loro sofferenza entrano nel circuito insensato del male universale e eterno dove non c 'è requie, responsabiltà, vergogna.
Beppe Calabretta, I sogni del vecchio marinaio e altri racconti, Tralerighe Libri, Lucca 2018. pp. 96, Euro 14.00
16 maggio 2019
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