di Giulietta Isola
“Sono un ragazzo di ventidue anni, potrei chiamarmi Anton o Adam o Gideon, il nome che di volta in volta suona meglio, e sono francese o tedesco o greco, ma albanese mai, e cammino esattamente come mi ha insegnato mio padre, a passi larghi e cadenzati, so bene come tenere alti petto e spalle, la mascella serrata a garantire che nessuno invada il mio territorio. E in momenti come questo la donna che è in me arde sul rogo”.
Una doccia fredda dalla prima all’ultima pagina. Fin dall’incipit siamo catapultati nella difficile esistenza del giovane protagonista Bujar, un racconto senza indulgenza che non perde mai di vista il punto nodale di una vita in stato di perenne transizione nella quale l’identità, non è solo di genere, ma anche di confini, di lingua, di famiglia. “Nei momenti di maggiore debolezza provo una tristezza opprimente, perché so di non rappresentare niente per gli altri, io non sono nessuno ed è come sentirsi morire. Se la morte fosse una sensazione, sarebbe questo: l’invisibilità, vivere la tua vita in abiti scomodi, camminare con scarpe strette”.
Salti temporali e racconto in prima persone ci mostrano il protagonista bambino in Albania, suo paese d’origine, e poi adulto ramingo per il mondo, perso fra le sue mille identità. Il padre lo ha educato secondo le tradizioni ed i miti albanesi, Bujar, alla sua morte, rinnega la sua patria e la sua famiglia per cercare una nuova esistenza insieme all’amico Agim, unico vero amore della sua vita.
Anche Agim è una anima dilaniata cresciuta in una famiglia ed in una società incapaci di accettare e perfino contemplare il suo orientamento sessuale. A quindici , sedici anni sono due ragazzini con il sogno di raggiungere l’Italia in lotta contro la fame, il freddo e le molestie, un progetto difficile ed ambizioso che Bujar affronta incapace di concepire la propria vita senza Agim. “Non importava dove saremmo finiti, perché tutti i luoghi dov’ero stato con lui erano stati una casa”.
In Italia Bujar arriva da solo, non trova quello che si aspettava, deluso comincia il suo viaggio fra mille identità e città. Lo seguiremo in Spagna, a Berlino, a New York, sempre perso in una nuova vita ed in nuova storia che vive a volte nei panni di donna e altre in quelli di uomo.
Ad Helsinki incontra Tanja che lo ama in maniera totale ed incondizionata e condivide con lui il difficile percorso per cambiare sesso e diventare finalmente e definitivamente la donna che si è sempre sentita di essere. Ma l’amore sembra non bastare, Bujar si sente un ladro di identità, una persona incapace di avere fiducia nel prossimo e soprattutto di accettare se stesso. Ambiguo e chiaroscurale, si reinventa continuamente, confonde realtà ed immaginazione, prende a prestito le vite degli altri e mistifica la propria, ma resta incompiuto e condannato ad una sostanziale inautenticità.
Questo libro di Pajtim Statovci rivendica la libertà di poterci definire, a partire dal nome, dal nostro paese d’origine, dal genere con cui ci identifichiamo. “Posso scegliere cosa sono, posso scegliere il mio sesso, la mia nazionalità e il mio nome, il luogo di nascita, semplicemente aprendo la bocca. Nessuno è tenuto a rimanere la persona che è nata, possiamo ricomporci come un nuovo puzzle. Però bisogna essere preparati. Per vivere innumerevoli vite, devi essere in grado di coprire le menzogne con altre menzogne”.
Una lettura sofferta che mi ha molto appassionato, mi ha fatto venire un nodo alla gola per come affronta tematiche scomode e dolorose con le quali dobbiamo fare i conti , ma soprattutto mi ha commosso questa vita a pezzi che vaga in paesi che appaiono colmi di superficialità e svuotati di qualcosa di davvero essenziale che si chiama accettazione, con nella menta e nel cuore il migliore amico, il suo tocco ed il suo amore. Stupendo.
“Sono un uomo che non può essere una donna, ma che volendo potrebbe sembrarlo, ed è il meglio che so fare, giocare a travestirmi, e decido io quando cominciare e quando smettere.
LE TRANSIZIONI di PAJTIM STATOVCI SELLERIO EDITORE
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