L’arte che fa bene
Ho incontrato l’artista Teresa
Cinque, donna originale e sensibile, le ho fatto alcune domande sul suo lavoro.
Entro subito nel cuore della tua forma artistica, le stoffe, da dove nasce
l’idea di utilizzare diversi tessuti ritagliati e poi farne delle installazione?
Il mio lavoro con i tessuti nasce
da un’idea pura.
Qualche giorno fa in radio ho
sentito la citazione di un poeta che diceva “ il primo verso te lo da Dio poi tutto il resto è lavoro”. In effetti
mi è accaduto così: l’idea originaria è arrivata da sola poi l’ho sviluppata e
quello è stato il mio lavoro d’artista. Il nucleo base dell’idea non è tanto
qualcosa che fabbrichi ma qualcosa che ricevi, percepisci o avverti. Dunque
l’idea arriva quando meno te lo aspetti, non la puoi controllare, poi sta a te
portarla avanti. Tutto quello che uno può fare è cercare di creare le
condizioni di vita ed esistenza dove ci sia sufficiente apertura verso le cose,
la natura, l’aria.
Dunque una sera stavo pensando a
degli oggetti d’arredo (abajur, mobiletti) e li ho visualizzati come siluette
di stoffa. I primi tentativi li ho fatti con il feltro, che però non era
stabile una volta tagliato, quindi soddisfaceva la sensazione tattile che
cercavo ma non funzionava. Ne è scaturito un processo di ricerca e messa a
punto tecnica che si è sviluppato negli anni.
Tengo a precisare che non è il
mio unico canale espressivo ma sicuramente quello più importante. Più lo
sviluppo e più ne vedo il potenziale. Credo che sia qualcosa a metà tra il
linguaggio e la tecnica. E’ una modalità espressiva che non avevo trovato
prima: non è pittura, non è disegno, non è scultura. Anche se tecnicamente è
scultura, per quanto sottile. Così per pacificarsi con la terminologia, si
parla di installazioni, parola molto utile e pertinente nell’ambito dell’arte
contemporanea.
I tuoi temi sono il quotidiano che ti circonda: il tuo guardaroba, gli
oggetti d’arredo ma soprattutto la natura (alberi e foglie), non posso
chiederti cosa preferisci tra questi ma ti chiedo a quale tra i progetti che
hai realizzato fin ora sei più affezionata e perché.
Si è vero l’ispirazione mi viene
da cose che trovo vicino a me. Mi piace scoprire la bellezza in quello che ho intorno,
vederla rivelarsi e cercare di trasmetterla.
E’ difficile dire a quale
progetto sono più affezionata perché il sapore che trovo in ciascun lavoro è diverso
e simile a un tempo.
Il chandelier #1 in gobelin è un’opera che amo particolarmente.
Essa accoglie in sé qualcosa della ramificazione dell’albero, le forme sinuose e
sensuali dei bracci del candeliere è come se fossero piene di vita così come i
rami di un albero e insieme c’è la rievocazione di uno sfarzo pomposo,
monumentale, inevitabilmente decadente.
Il soggetto con cui lavoro di più
ultimamente è quello degli alberi. La natura è una fonte inesauribile, gli
alberi e i boschi forniscono infinite possibilità di sperimentare e giocare con
le loro siluette e le loro combinazioni.
Attualmente poi sto sviluppando un
progetto con le Rovine che sono per
me un tema molto attuale legato alla bellezza ed alla fragilità. La rovina non la
intendo tanto come memoria del passato, ma per quello che è adesso, nella
contemporaneità, scultura, architettura viva. Mi interessa la rovina per ciò
che comunica: il senso del cambiamento, il segmento temporale di un mutamento
costante, insieme alla delicata bellezza. Per questo tipo di lavoro scelgo
tessuti fioriti e sete a volte sottili, raffinate, consunte.
Nel tuo particolare lavoro artistico ci sono tante figure professionali
come l’arredatore e la sarta che entrambe hanno in comune il disegno, quanto è
importante per te il disegno nei lavori che fai?
Il disegno è per me la cosa più
importante, è la base di tutto. Non sono un’arredatrice, non sono una sarta,
vengo da una formazione del tutto diversa: ho fatto il liceo artistico e poi ho
studiato Storia dell’Arte all’Università di Pisa. La mia formazione sul piano
tecnico è ecclettica anche se amo più di tutti il disegno.
Quando ho cominciato a mostrare i
primi di questi di lavori qualcuno ha detto, se si trattava della riproduzione
di oggetti di design: “sei una designer”. Voglio chiarire che è come se a un
fotografo che mostra lo scatto di un frutteto dicessero: “sei un botanico” o a
un pittore che riproduce un nudo dicessero: “sei un medico”.
Io parto da una posizione di libertà
di espressione e poi qualcuno ne può vedere oggetti d’arredo o anche
decorazione. Non importa. Io mi sento libera artisticamente di fare ogni pezzo
come deve essere fatto e sviluppare questo tipo di linguaggio-tecnica senza
preoccuparmi dei giudizi e delle funzioni che può avere. Anche un quadro nasce
per essere quadro poi può anche abbellire e decorare una sala ma è una funzione
secondaria e non necessaria all’opera d’arte in sé.
Le tue installazioni sono site-specific?
Si spesso mi capita, anzi le
richieste sono spesso legate ad uno spazio e quindi lavoro su quello. Avere un ambiente su cui lavorare è un limite
che si rivela stimolante e può portare anche dove non si andrebbe senza quel
tipo di condizione.
Certi tuoi lavori hanno un che di terapeutico, come per esempio il Kit
dell’autunno, è vero?
Quel progetto nasce in un momento
di grazia. Anche in questo caso l’idea è arrivata e basta. Camminavo da sola in
una bella giornata d’autunno tra le foglie. Il lavoro è nato come risposta alla
generosità della natura, le foglie in autunno sono così abbondanti, colorate, coprono
le strade, i viali, i boschi. Ho voluto provare a contribuire anch’io a questa
generosità giocando sul fatto che normalmente le foglie vengono eliminate e
spazzate via dalla casa, dal giardino, dal terrazzo, invece, fatte di carta
velina, le ho riportate in casa.
Normalmente regalo il Kit che, per
me, è nato come un dono.
A proposito del concetto di
terapeutico, guardando i miei lavori mi è stato detto, più di una volta: “le
tue opere mi fanno star bene”. Inizialmente questo tipo di affermazione mi turbava,
condizionata da fatto che nell’arte contemporanea c’è la tendenza ad esaltare
molto la problematizzazione, la provocazione, sembra che l’opera debba porre
dei problemi, dei dubbi, e lavorare su un piano cerebrale. Mi sono chiesta: una
cosa che ti fa star bene è forse naife ed ingenua? Forse lo è, forse no. Con il
tempo ho capito però che era un ottimo risultato ed un complimento. Un po’ come
nella letteratura in cui si sente una tensione verso il bene e il bello ed anche
una armonizzazione delle due cose che tendono a coincidere. Per me è naturale
lavorare intorno alla bellezza che, ovviamente, non è una categoria solo
estetica.
Quali sono i tuoi Maestri d’arte a cui guardi mentre lavori?
Sinceramente non ci ho mai
pensato, ti ringrazio della domanda.
La prima che mi viene in mente è
una scrittrice. Cristina Campo, scrittrice
italiana del ‘900, forse una delle più importanti. Lavora molto sul tema della
bellezza in senso anche mistico e riesce con un linguaggio incredibilmente
raffinato ed attento a ritagliare immagini addentrandosi in un territorio non
facile e poco propenso a definizioni finali tenendo in uno squisito equilibrio
il dire e il non dire, il suggerire e l’indicare.
Poi mi piace Miranda July, artista contemporanea americana, cantante, performer,
si è espressa prevalentemente con il cinema come attrice e regista. Le sue sono
opere godibili e deliziose, ricche di ironia e poesia. Essa ha nutrito il mio
percorso e il mio lavoro.
Ancora una regista Jane Campion, ha realizzato film
famosi e meno famosi, io sono riuscita a vedere tutto, l’ho molto seguita. La
sua creatività ha una connotazione decisamente femminile ed il suo sguardo sul
mondo e sulle persone è uno sguardo benevolo. Le sue opere sono
straordinariamente belle perché in fondo c’è una tensione duplice verso la
bellezza e insieme verso la verità.
Infine Natalia Ginzburg, potrei definirla la maestra “del basso profilo”,
veramente il genio delle piccole cose. Scrive con umiltà, con un ritmo piano e
armonico e con una capacità di penetrare i concetti e di raccontare le storie,
insieme profonda e mai monumentale. La
sua è una voce è sempre modesta che mi mette a mio agio.
Dunque due scrittrici e due registe. Come mai il cinema?
Il cinema è per me una fonte importante
che probabilmente ha contribuito alla mia formazione come educatore alla bellezza.
Posso chiederti un’anteprima sul tuo prossimo lavoro, su cosa stai
lavorando?
Si, sto lavorando ad un progetto
che presenterò a Milano, il 14 Dicembre, si tratta di una collaborazione con Rubelli, produttore a Venezia di
tessuti italiani di altissimo pregio. Insieme con un gruppo di architetti, lo
studio Bollini, realizzerò
un’installazione su una parete di 8
m alta 3,50
m. Si tratta di un bosco di pioppi realizzato con un
tessuto luminescente di Rubelli, su un fondo blu notte, si chiamerà “Bosco di
notte”. Si tratterà di qualcosa di diverso, io generalmente lavoro sul muro,
normalmente bianco, come sfondo delle mie installazioni mentre in questo caso
avrò un muro scuro. Il colore scuro tende ad indietreggiare, mi auguro che in
questo caso dia maggior illusione di profondità e spazialità. Vedremo come
evolverà il lavoro; ogni volta si tratta di un salto nell’ignoto: un’installazione
la si vede solo quando è finita e montata.
Auguri Teresa e Buon lavoro!
www.teresacinque.it
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