di Daniela Toschi
Nel
titolo dato alla versione italiana di questo libro pare evidente che il
traduttore si è ispirato alla nota poesia di Pessoa. Come il poeta, forse anche
il dislessico è fingitore: deve nascondersi, portare una maschera per
proteggere se stesso e gli altri, come dice a un certo punto David, il
protagonista. E’ costretto a dissimulare tante cose, e in primo luogo “a
fingere che non è dolore il dolore che davvero sente”…
Un mondo
affascinante, quello della dislessia, cui appartengono alcuni dei massimi geni
creativi ma anche tante persone comuni.
Parlando
di dislessia viene da pensare ai bambini di cui finalmente si occupa la legge
170 del 2010, trascurando il fatto che ci sono altrettanti adulti, mai
diagnosticati e mai informati sui motivi per cui ai tempi della scuola avevano
difficoltà così strane, a dispetto della loro vivace intelligenza. E questo
soprattutto in Italia, vista la peculiare lentezza con cui in questo paese si è
giunti ad affrontare il problema.
Adulti
che si nascondono, temendo a ragione di non essere compresi e di essere
soggetti a perfidi pregiudizi. E che magari, essendo spesso geniali e portati a
raggiungere il successo, solo dopo averlo ottenuto osano riaffrontare le
terribili cicatrici del periodo scolare per chiedersi: “Ma cosa c’era in me che
non andava? Perché per me la scuola è stata un tale inferno?” E così giungono
alla diagnosi. Come è accaduto, tra gli altri, a Steven Spielberg, che ha
chiarito di essere dislessico solo pochi anni fa e lo ha dichiarato di recente.
In Italia
attualmente sono pochissimi i centri pubblici dove un adulto o un giovane
adulto può essere diagnosticato, tramite appositi test.
Ma anche
vicino a noi stanno iniziando a sorgere centri dove vengono adeguatamente
supportati gli studenti universitari. Giovani talenti da coltivare, se riescono
a superare l’impatto tremendo con l’istituzione scolastica, ancora,
globalmente, alquanto dislessica nei confronti della la dislessia. Molti,
forse, non ci riescono.
L’autore
di questo romanzo breve, Alex Nile, ci risulta essere il nome d’arte di un
accademico inglese, lui stesso dislessico, che ha scritto e curato diversi
trattati sul tema, non da ultimo “Dyslexia and creativity”.
Intendiamoci:
la creatività dislessica non va intesa come qualcosa di estroso, stravagante o
necessariamente artistico. È piuttosto, secondo la definizione più corretta e
concreta del termine ‘creatività’, la capacità di trovare nuove
soluzioni, di risolvere quei problemi complessi che costituiscono una sfida al
pensiero comune. Da cosa deriva? Ci sono varie ipotesi: pensiero laterale
rispetto al pensiero verticale, possibilità di sfuggire alla “euristica
dell’ancoraggio” proprio grazie al deficit negli automatismi e all’incapacità
costituzionale di conformarsi, e così via. Ma l’autore ci fa venire in
mente anche il concetto di “crescita post-traumatica”: il trauma (o meglio, in
questo caso, i numerosi traumi subiti sin dal primo contatto con la
scuola) oltre ad effetti distruttivi reca anche effetti costruttivi, inducendo
una precoce maturità e una spinta a trovare strategie di sopravvivenza e di
ricostruzione continua di una immagine positiva di sé e degli altri quotidianamente
minacciata.
Il libro
è ambientato in Inghilterra, dove l’interesse per la dislessia non è certo
recente come da noi. Nonostante ciò il protagonista ignora di essere
dislessico, ma è ben consapevole che, per quanto sia riuscito a laurearsi, non sa
fare cose che per tutti sono banali, ad esempio scrivere senza fare errori
grossolani… Perciò si sente costretto a mantenere un basso profilo nel lavoro e
nella vita per non essere giudicato superficialmente e deriso come gli capitava
a scuola. La storia è a lieto fine: David scoprirà la ragione dei suoi
paradossi, deciderà di osare una disclosure coraggiosa e troverà persone
che gli consentiranno di sviluppare le sue capacità creative, avanzando di
carriera e portando benefici all’azienda in cui lavora.
La storia
di David è scritta in modo apparentemente semplice, ma chi ha letto i libri
dell’esperto che si nasconde dietro il nome di Alex Nile si accorge con stupore
che contiene tutto ciò che occorre sapere riguardo alle problematiche
psicologiche, relazionali e sociali che un dislessico adulto deve affrontare.
Il tutto, però, è qui narrato con sobria leggerezza. Non dimentichiamo che il
libro è stato scritto da un dislessico, che, in quanto tale, non ama gli
sprechi di parole, prediligendo ‘la parola incarnata’.
Viene
quasi da chiedersi se tanto interesse recente per la dislessia non scaturisca
dalla nausea per gli abusi di parole (declamate o stampate) che abbiamo subito
per anni e che ancora stiamo subendo, e dall’urgenza di trovare un nuovo stile,
di vita e di scrittura, che restituisca alla parola il suo schietto ruolo
comunicativo e che indirizzi il pensiero a trovare soluzioni reali, nuove ed
efficaci.
Il
traduttore, Valerio Innocenti, è insegnante di lingue straniere presso un liceo
viareggino. Ha realizzato la versione italiana di questo libro in occasione del
convegno “Una volta non c’era…” Storie vere di dislessia (Montecatini, 27
ottobre 2012).
La versione
italiana, come quella originale, sono disponibili come e-book su Amazon.
Alex Nile-
Storia di David, il dislessico fingitore. Traduzione italiana di The deceitful dyslexic, di Valerio
Innocenti.
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