Uno spettro si aggira per l'Europa
Uno
spettro torna ad aggirarsi per l'Europa:
il filo spinato. Dopo aver tragicamente connotato le trincee e i campi di battaglia
del primo conflitto mondiale e i luoghi della detenzione di massa e dello
stermino del secondo, il filo spinato
riappare nella civile Europa invocato sia da politici xenofobi, sia da opinioni
pubbliche sempre alla ricerca di capri espiatori su cui scaricare le proprie
paure. E pensare che era nato come strumento, poco costoso e semplice da
impiantare, utile al contenimento del bestiame brado e a protezione delle
coltivazioni: un ruolo importante, quello del filo di metallo munito di spine,
nel passaggio da un economia fondata sull'allevamento del bestiame a una basata
sull'agricoltura.
Dalla
pace alla guerra
La
sua invenzione, o, per essere più precisi, il brevetto di tale semplicissimo
dispositivo, risale agli anni settanta del XIX secolo ed è ascrivibile
all'intelligenza pratica, appunto di un agricoltore dell'Illinois, tal Joseph
Glidden. La sanguinosa Guerra civile americana (1861-1865) ne aveva, però, già
scoperto la convenienza militare, cambiandone radicalmente segno e senso: da
protezione di allevamenti e possedimenti ai campi di battaglia e ai luoghi
della detenzione coatta. Così, conobbe le gioie del filo spinato la popolazione
cubana, imprigionata per volontà del governatore spagnolo Valeriano Wayler
negli anni immediatamente precedenti la guerra ispano-americana (1898); anche
gli inglesi, in quegli anni al punto più alto della loro espansione
imperialistica, non disdegnarono il filo spinato e lo introdussero in Africa
nel corso della guerra anglo-boera (1899-1902) intrapresa contro i coloni
sudafricani di origine olandese delle repubbliche del Transvaal e dell'Orange
che non avevano certo accettato passivamente le pretese britanniche di
impadronirsi delle loro ricchezze aurifere e diamantifere e si difendevano con
abilità e audacia ottenendo non pochi significativi successi sul campo. Allora,
l'esercito di Sua Maestà fece ricorso al filo spinato: prima per proteggere le
linee ferroviarie più importanti dagli assalti della guerriglia, poi per creare
immensi campi di concentramento in cui
imprigionare i soldati catturati e le famiglie boere.
I
"cavalli di Frisia"
Al
filo spinato fecero ricorso in maniera massiccia, alcuni decenni più tardi,
tutti gli eserciti che si batterono nella Grande Guerra. La lunghissima trincea
che per quattro anni spezzò in due l’intero continente europeo fu, infatti,
consolidata da sbarramenti di reticolati di filo spinato, detti “cavalli di
Frisia”, che contribuirono in maniera decisiva a trasformare il primo conflitto
mondiale in una micidiale guerra di posizione con milioni di uomini costretti a
vivere in condizioni durissime, esposti non solo ai pericoli bellici, ma anche
alle intemperie e alle malattie. L’unico modo per avere ragione dei reticolati
di filo spinato consisteva nell’aprirvi dei varchi, sotto il fuoco nemico,
ricorrendo a pinze e cesoie
oppure a esplosivi deposti manualmente. Solo nella ultima fase del conflitto il
ricorso all’arma più nuova, il carro armato, segnò il tramonto della trincea,
ma non il declino del filo spinato. Installazioni militari di ogni tipo
continuarono, infatti, a farne largo uso nel corso della seconda guerra
mondiale, ma fu la Germania nazista a intensificarne l'utilizzo per delimitare
campi di concentramento e di lavoro. Spesso elettrificando le recinzioni, così
da renderle assolutamente impenetrabili: un'idea già messa in pratica nel 1915,
quando le truppe del Kaiser fecero passare energia elettrica lungo il filo
spinato che separava il Belgio occupato dall'Olanda, provocando più di 2000
morti.
Pungente
e tagliente
Oggi,
questo congegno, tanto elementare quanto micidiale, capace sia di dissuadere
sia di ferire, simbolo della crudeltà dell'uomo sull'uomo nel XX secolo - come
ricorda il logo di Amnesty Internationale, la benemerita associazione che dal
1961 si batte contro prigionia e tortura che riproduce una candela accesa
avvolta dal filo spinato - torna prepotentemente alla nostra attenzione. Accade
a causa dell'iniziativa del premier ungherese Viktor Orbàn - leader del partito
xenofobo e anti-immigrati Jobbik, una sorta di Salvini danubiano - di innalzare
una recinzione di razor wire o "nastro spinato": una variante
moderna e incattivita del vecchio filo
spinato arricchita di rasoi, alta circa 4 metri e lunga 175 chilometri, la
lunghezza del confine tra Ungheria e Serbia. La chiamano anche
"concertina" questo tipo di filo spinato perché si può allungare a
piacimento come una fisarmonica: bobine di nastro spinato, arrotolate e fissate
a pali d'acciaio, che in pochissimo tempo si possono facilmente estendere e
posizionare al suolo... Obbiettivo di tale muro irto e tagliente rendere ancora
più difficile la vita ai disperati in fuga dalla Siria, dall'Irak,
dall'Afghanistan che, per raggiungere la Germania e l'Europa del nord,
attraversano le aree meridionali del Paese magiaro.
Colpisce
che a ricorrere a simili strumenti di contenimento sia un popolo di antica
civiltà, quello ungherese, che, in un passato ancora recente, molto ha dovuto
soffrire a causa della cosiddetta "cortina di ferro" fatte in gran
parte proprio di filo spinato. Tutto il mondo, lo ricordiamo, accolse con gioia
la notizia che nel 1989 il ministro degli esteri ungherese e il suo omologo
austriaco, con un gesto a forte densità simbolica, avevano tagliato il
reticolato ancora steso fra Austria e
Ungheria.
Consola
la notizia che l'azienda tedesca Mutanox, specializzata nella realizzazione di
recinzioni, a cui il governo ungherese si era rivolto per la messa in opera di
un tale lunghissimo incubo di nastri d'acciaio, spine e lame, abbia rifiutato
la commessa. "Non vogliamo", hanno dichiarato i rappresentanti della
ditta, "contribuire a ferire uomini, donne e bambini che non rappresentano
alcune minaccia e non hanno nessuna
responsabilità nelle cause che hanno determinato questa emergenza".
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