di malsicura
pubblicazione
El
pueblo unido jamas serà vencido.
I
fatti, come è noto, si incaricarono di contraddire tale perentoria
affermazione. El pueblo non solo fu vencido, ma pure pesantemente: con la
durezza spietata che i potenti sono soliti riservare a quanti hanno osato
ribellarsi, magari anche con un certo successo iniziale, alla loro autorità. Ai
poveri di quel lontano Paese latinoamericano fu inflitta una lezione da non
dimenticare che parlasse, e in maniera esplicita, anche alle altre genti del
"cortile di casa": non si azzardassero ad alzare la testa, altrimenti
gliela avebbe fatta abbassare il big stick nordamericano. Per piegarlo,
il popolo cileno, si allearono le multinazionali del rame e i generali felloni,
i reazionari, che anche in quel Paese non mancavano di sicuro, e le
logiche di dominio dell'imperialismo americano.
Il presidente socialista Salvador Allende, legittimamente eletto attraverso
libere elezioni, muore mentre difende la sua casa, il palazzo della Moneda, e
quella di tutti i cileni. Le ultime foto lo consegnano alla storia che indossa
un improbabile maglione da casa, un elemetto militare e imbraccia un mitra.
Glielo aveva regalato Fidel sempre scettico, ma lungimirante, sulla correttezza
democratica degli Usa.
Dopo
la Cecoslovacchia di qualche anno prima, un altro colpo durissimo all'idea
dell'autodeterminazione dei popoli: chi si ostinava a crederci non poteva che
sentirsi più solo e impotente. Non fu una bella esperienza quella di dover
ammettere già a venticinque anni che la storia, anche la nostra, quella che
vivevamo ogni giorno con una straordinaria passione civile quale non ho mai più
ritrovato negli anni successivi, assomigliava "sempre più a un mucchio di
macerie e di speranze distrutte, deluse e infrante che a una logica di progresso organizzata per
tappe di superamento".
La
prima giornata senza automobili della mia vita.
Ma
quell'anno straordinario doveva ancora regalarci ancora un'indimenticabile
intersezione tra la Storia grande e quella minore, se non minima, di ognuno di
noi.
Accadde
che in autunno l'Egitto attaccò Israele sul fronte del Sinai, mentre la Siria
si faceva sotto nel Golan. È la guerra del Kippur dal nome della festa ebraica
che si sta celebrando in quei giorni: dura solo 15 giorno e già il 22 ottobre
le parti accettano un cessate il fuoco. Bene, viva la pace e tutto bene quel
che finisce bene? Nient'affatto, perché la guerra avrà pesanti conseguenze per
i Paesi industrializzati, in genere filoisraeliani. Strumento di guerra
individuato come destabilizzante dai Paesi arabi, sconfitti sul terreno
militare, l'aumento del 70% sul prezzo del petrolio, mentre ne veniva diminuita
la produzione tra il 10 e il 25%. Ne derivò un pesante aumento del prezzo del
greggio e già in novembre il governo di centro sinistra è costretto a varare
una serie di misure piuttosto impopolari tese a contenere i consumi
petroliferi: limiti di velocità su strade e autostrade; divieto di circolazione
per le auto nei giorni festivi, cinema e teatri chiusi entro le 23,00,
illuminazione pubblica ridotta... Si esaurisce un periodo di prosperità e
inizia un decennio di stagnazione e disoccupazione diffusa e dentro quella
piega presa dalla politica e dall'economia c'eravamo dentro tutti noi fino al
collo e anche di più. Non ricordo se maturassimo per quella contingenza
geopolitica la giusta preoccupazione. Certo è che nel filtro della memoria
personale sono rimaste alcune immagini della prima domenica senza auto per
risparmiare la benzina: una giornata luminosa e ventosa e tutti - tutti noi - a
camminare sull'argine destro dell'Arno in direzione della corrente. Mete?
Riglione di sicuro; magari Cascina, e perché no? Pontedera... E se le gambe
avessero retto ancora, ancora più in là... Camminavamo in gruppo - pisani,
calabresi, milanesi, romani - e parlavamo. Ad alta voce, perché quel silenzio
strano, ignoto a tutti, di strade e piazze senza rumori di automobili,
frastornava e un po' inquietava. E allora per spezzare quella tranquillità
inusitata e strana, ci mettemmo a cantare. Intonammo un po' di tutto: Lucio
Battisti, subito abbandonato perché si diceva che fosse un mezzo fascio; La
canzone di Marinella e Carlo Martello ritorna dalla battaglia di
Poitiers, Amore che vieni, amore che vai di De Andrè e poi, a grande
richiesta tante, tante canzoni di lotta: Ivan Della Mea, i testi arrabbiati del
Canzoniere Pisano e del suo capofila Alfredo Bandelli, mentre Il pueblo
unido jamas serà vencido degli Inti Illimani, il complesso folk cileno che
non piacerà a Lucio Dalla, venne urlato a squarciagola nel tentativo di turbare
la serenità domenicale indifferente di quella periferia pisana non più città e
non ancora campagna. Incancellabile nella mente e nel cuore, allora come oggi,
una sensazione - mai più provata in seguito -
profonda, struggente e lancinante al ricordo: di essere amici e invincibili,
invincibili perché amici. Anzi di più: fratelli. Anzi di più ancora: compagni!
E quindi immortali, eterni... Per cui Pinochet e fascisti di qui e di lì,
Agnelli e Rumor, Nixon e Kissinger a noi ci fate una sega, anzi
una bella sega!
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