di Marigabri
Di quanti simulacri è fatta l’identità? Quanti strati di esfoliazione devono essere sollevati per permetterci di arrivare al centro, al nocciolo di ciò che impunemente osiamo chiamare ‘io’?
E, allo stesso modo, come possiamo accedere all’identità dell’altro, quel ‘tu’ che riconosciamo nostro intimo e nostro sodale? Di quali e quanti misconoscimenti è costituita la nostra relazione?
Quando possiamo definirla autentica, vera? (ammesso che sia possibile)
O siamo invece frammenti baluginanti di un un gigantesco sogno dove impalpabili bolle di inconsapevolezza si contendono, senza averne diritto, il primato della realtà? Siamo dunque immersi nella volubile turbinante festa dell’apparenza di nicciana memoria (oppure nella kunderiana festa dell’ insignificanza)?
Kundera gioca, da par suo, con questi temi facendo di Chantal e Jean-Marc personaggi specchio dei nostri più segreti rovelli, capovolgendo spesso i luoghi comuni e mostrando il lato nascosto degli assiomi che governano le nostre vite.
Ad esempio:
“Quale giudice ha mai stabilito che il conformismo è un male e l’anticonformismo un bene? Conformarsi non vuol dire forse avvicinarsi agli altri? E cos’altro è il conformismo se non l’ampio spazio comune verso cui tutti convergono, e in cui la vita è più intensa, più fervida che altrove?”
Oppure:
“ Del resto, si domandò, che cos’è un segreto intimo? È forse ciò che racchiude quello che vi è di più misterioso, di più personale, di più peculiare in un essere umano? Sono forse i suoi segreti a fare di Chantal quell’essere unico che lui ama? No. È segreto quello che c’è di più quotidiano, di più banale, di più ripetitivo, di più comune a tutti: il corpo i suoi bisogni, le sue malattie le sue manie […] Se nascondiamo pudicamente tutte queste intimità non è perché esse siano strettamente personali, ma al contrario, per la loro assoluta, deprecabile impersonalità.”
Come sempre la scrittura letteraria di Kundera è fatta di metaletteratura, di sospensioni della narrazione verso digressioni, interrogazioni sul senso dell’essere e dell’esserci, questioni e domande che intraprendono un dialogo serrato e avvincente con l’intelligenza di lettrici e lettori.
A libro terminato abbiamo subito l’impulso di riaprirlo sulle domande che ci ha suggerito, sui dubbi che ci ha insinuato, sui veli e sulle ombre che ci ha fatto intravedere.
Milan Kundera.
L’identità.
Traduzione di Ena Marchi.
Adelphi 2003.
1 commento:
Per me Kundera è un gigante della letteratura. Anche la parte saggistica è straordinaria. Intelligenza finissima. Mi riprometto di leggere tutto ciò che è stato tradotto in Italia.
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